E' sicuramente legittima la motivazione per relationem

la motivazione per relationem degli atti di accertamento è sempre molto contestata; oggi vediamo un caso riguardante la motivazione basata sugli atti del collegato procedimento penale

Con sentenza n. 20032 del 30 settembre 2011 (ud. del 6 luglio 2011) la Corte di Cassazione ha confermato, ancora una volta, la legittimità della motivazione per relationem, questa volta fondata sugli elementi di cui al processo penale.

 

La sentenza

Innanzitutto, la Corte rileva il difetto di autosufficienza del motivo del ricorso in quanto è stato ripetutamente osservato(tra le altre Cass. n. 10332/2007) che allorquando il ricorrente “deduce il difetto di motivazione dell’avviso impugnato, ma non riporta il contenuto di tale atto nè degli altri atti cui il predetto rinvia per relationem, benchè, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in base al princìpio di autosufficienza del ricorso per cassazione sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che in ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di Cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo (v. in termini Cass. n. 15867/2004)“.

Sotto l’aspetto specifico, viene riaffermato che “l’avviso d’accertamento motivato per relationem, quand’anche con riferimento “acritico” ad atti o verbali formati dalla Guardia di Finanza (come da altri organi deputati alla fase investigativa), non può considerarsi illegittimo in quanto l’obbligo di motivazione deve ritenersi assolto ogni qual volta il contribuente sia stato messo in grado di conoscere l’an e il quantum della maggiore pretesa fiscale, a nulla rilevando (Cass., trib., 21 maggio 2001, n. 6888) l’apprezzamento critico dell’ufficio accertatore rispetto agli atti e ai verbali presi a riferimento nell’avviso, avendoli comunque fatti propri nel momento in cui ha deciso di rinviare, per la esplicitazione dei motivi dell’imposizione, al contenuto degli stessi”.

 

Le nostre generali riflessioni

La Corte di Cassazione ha da tempo ammesso la possibilità di motivare l’atto di accertamento per relationem ad un p.v.c. della Guardia di Finanza o di altri organi verificatori1, fermo restando2 che la legittimità della motivazione perrelationem è riscontrabile in tutti quei casi in cui il p.v. sia conoscibile, anche se in concreto non conosciuto dal destinatario dell’avviso per propria colpa (verbalizzazione del rifiuto di ricevere copia del p.v.c.).

Resta fermo che la motivazione può assolvere la funzione informativa, che le è propria, facendo riferimento ad elementi di fatto offerti da documenti diversi, solo se tali documenti sono allegati o sono comunicati al contribuente, ovvero per altro verso dal medesimo conosciuti (Cass. n. 1825/2010). Non è invece sufficiente (come peraltro pure talvolta affermato: v. Cass., 17/1/1990, n. 4290; Cass., 17/1/1997, n. 4599) che il documento richiamato sia semplicemente conoscibile dal contribuente, a meno che esso non riguardi un atto compiuto alla sua presenza (i.e. il processo verbale di constatazione) o che sia stato a lui comunicato nei modi di legge (v. Cass. 25 maggio 2001, n. 7149; Cass. n.1825/2010).

Appare quindi una forzatura continuare a sostenere oggi la carenza di motivazione di un atto impugnato, in quanto l’atto richiamato – noto al contribuente in quanto notificato – non sia stato allegato a quello principale: l’obbligo di allegazione risulta invece rigorosamente da osservare in tutti quei casi in cui il contribuente non abbia avuto legale conoscenza dell’atto richiamato .

Il rinvio dell’atto amministrativo finale ad un atto procedimentale può esser effettuato, peraltro, non solo alle conclusioni, ma anche, in tutto o in parte, ai fatti accertati e alle ragioni addotte dagli organi istruttori per giungere alle loro qualificazioni giuridiche dei fatti accertati.

Infatti, il procedimento tributario, è solo l’esercizio terminale di un potere che è frazionato tra organi amministrativi diversi, anche di enti pubblici diversi, in dipendenza della divisione del potere di provvedere. In particolare, ai fini che qui interessano, è rilevante il frazionamento, che è ispirato alla natura del processo decisionale.

La riaffermazione della legittimità della motivazione per relationem non esclude che il rinvio possa essere dosato alla misura nella quale l’organo titolare del potere di adottare l’atto dotato di autonomia funzionale intenda recepire l’attività istruttoria e che la sua formulazione sia, perciò, adeguata allo scopo ( n questo senso si confronti la sentenza n. 20643 del 30 luglio 2008, ud. del 21 maggio 2008, della Corte di Cassazione).

Ancora con sentenza n. 21951 del 27 ottobre 2010 (ud. del 13 luglio 2010) la Corte di Cassazione richiama tutta una serie di pronunce (Cass. 23 gennaio 2006, n. 1236; 21 marzo 2008, n. 7766; 10 febbraio 2010, n. 2907), con cui è stato precisato che “il rinvio dell’atto amministrativo finale ad un atto procedimentale può esser effettuato, peraltro, non solo alle conclusioni, ma anche, in tutto o in parte, ai fatti accertati e alle ragioni addotte dagli organi istruttori per giungere alle loro qualificazioni giuridiche dei fatti accertati. Infatti, il procedimento amministrativo, anche quello tributario, è la forma della funzione e il potere di adottare l’atto amministrativo finale è solo l’esercizio terminale di un potere che è frazionato tra organi amministrativi diversi, anche di enti pubblici diversi, in dipendenza della divisione del potere di provvedere. In particolare, ai fini che qui interessano, è rilevante il frazionamento, che è ispirato alla natura del processo decisionale umano e che la normazione effettua diffusamente, del potere di provvedere nei preliminari poteri d’iniziativa e d’istruttoria rispetto al finale potere di decidere. Se questo è lo stato della formazione sull’organizzazione amministrativa e sull’attività amministrativa, si appalesa come manifestamente fondata la pretesa delle amministrazioni finanziarie di interpretare la norma sulla motivazione per relationem del provvedimento amministrativo come attributiva, al titolare del potere di decidere, del potere di richiamare nel proprio atto il contributo, d’iniziativa o istruttorio, apportato da un altro organo amministrativo, il cui atto sia normativamente inserito nello stesso procedimento”. E pertanto, è illegittima la decisione di secondo grado che “ha rifiutato erroneamente di attribuire qualsiasi rilevanza al PVC per il fatto che l’Ufficio lo avrebbe recepito acriticamente e ha, quindi, illegittimamente negato ogni efficacia di prova ai fatti accertati in sede istruttoria del procedimento amministrativo ed ha preteso infondatamente che l’Ufficio provasse nuovamente ciò che avrebbe potuto desumersi dagli atti procedimentali amministrativi”.

Ancora, con ordinanza n. 25211 del 14 dicembre 2010 (ud. del 27 ottobre 2010) la Corte di Cassazione, nel ribadire il principio secondo cui costituisce ius receptum la legittimità della motivazione degli avvisi di accertamento “per relationem”, rinviando al contenuto del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, realizzandosi un’economia di scrittura – avendo l’ente impositore fatto proprie conclusioni e non un difetto di autonoma valutazione-, ha affermato che tale principio trova altresì applicazione laddove il p.v.c. abbia ad attingere da altri atti, anche del procedimento penale. In proposito, osserva la Corte, la motivazione degli atti di accertamento “per relationem“, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma salutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, “che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto volgimento del contraddittorio (v. sul punto tra le altre Cass. n. 10205/ 2003)”.

Anche di recente, con ordinanza n. 25211 del 14 dicembre 2010 (ud. del 27 ottobre 2010) la Corte di Cassazione, nel ribadire il principio secondo cui costituisce ius receptum la legittimità della motivazione degli avvisi di accertamento “per relationem”, rinviando al contenuto del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, realizzandosi un’economia di scrittura – avendo l’ente impositore fatto proprie conclusioni e non un difetto di autonoma valutazione-, ha affermato che tale principio trova altresì applicazione laddove il p.v.c. abbia ad attingere da altri atti, anche del procedimento penale.

Nel caso di specie, gli avvisi di accertamento erano fondati su di una serie di elementi (prove documentali, dichiarazioni di ex dipendenti, risultati di una perizia redatta in sede penale) che avrebbero dovuto essere esaminati dai giudici d’appello al fine di affermare o escludere l’assolvimento dell’onere della prova (presuntiva) da parte dell’amministrazione.

In proposito, osserva la Corte, la motivazione degli atti di accertamento “per relationem“, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare un’economia di scrittura, “che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto volgimento del contraddittorio (v. sul punto tra le altre Cass. n. 10205/ 2003) e che il principio può trovare applicazione anche con riguardo alla asserita mancanza di una rivalutazione autonoma in sede tributaria da parte della G.d.F. degli elementi valutati in sede penale dal consulente del PM: richiamare nel p.v.c. gli elementi già valutati dal consulente e/o le conclusioni della consulenza, o anche riportare le suddette conclusioni eventualmente perfino con una identità di formule espositive non significa che sia mancata una autonoma valutazione in sede tributaria (insita invece proprio nella riferibilità del p.v.c. alla G.d.F. e nell’assunzione delle relative responsabilità), significa invece, salvo espressa prova contraria, che si è autonomamente ritenuto di condividere i risultati raggiunti dalla consulenza citata nonchè il relativo percorso logico sulla valutazione della documentazione”.

 

27 ottobre 2011

Francesco Buetto

1 Cass.,23.07.98, n.7218.

2 Corte di Cass. sez.I, 17 maggio 1990, n.4290.