da ieri la conciliazione è un obbligo: alcune valutazioni su questa importantissima novità per i professionisti
Da ieri 21 marzo 2011, è obbligatorio il tentativo di conciliazione prima di instaurare la lite giudiziale. Gli ambiti di applicazione sono molto numerosi e vedono potenzialmente coinvolti tutti i professionisti iscritti in ordini e albi professionali perché solo i professionisti che hanno seguito appositi corsi di formazione potranno essere conciliatori.
Il Ministero della Giustizia ha definito i contenuti della formazione, ma quanti professionisti, pur avendo ottenuto l’abilitazione, si sentono pronti ad assumere il ruolo di conciliatore?
La risoluzione delle dispute, l’arbitrato e la conciliazione, hanno un’antica tradizione nei Paesi anglosassoni, ma quelli che hanno fondato il proprio corpus iuris sul diritto romano, come l’Italia, sono molto lontani sia da questo tipo di esperienza che di mentalità.
Da un punto di vista strettamente tecnico la conciliazione è una cosa semplice, ma non lo è altrettanto se viene esaminata dal punto di vista della comunicazione, sia verbale che non-verbale.
Non sarà facile, ad esempio per un avvocato, spogliarsi dell’abito mentale di difensore, abituato a sostenere fino allo stremo le ragioni del proprio cliente anche quando ha torto marcio. E come rintuzzare con efficacia (ma senza creare un ulteriore conflitto) un avvocato che si presenta alla conciliazione insieme al proprio assistito e che pretende di essere lui a parlare? Oppure, peggio ancora, che si presenta da solo e comunica che il proprio cliente non ha intenzione di conciliare? E come comportarsi quando l’ipotetico avvocato non lascia parlare il cliente?
E il conciliatore? Come può rimanere neutrale e cercare la conciliazione quando sin dal primo momento è portato a dare torto o ragione a una delle parti? E come non far trasparire le subitanee antipatie e non farsene condizionare? E’ molto, molto difficile, perché anche se le parole saranno eque, ci saranno comunque segnali non-verbali che faranno emergere quanto era meglio rimanesse nascosto.
Come fare allora?
Un primo aiuto viene dal monologo che il conciliatore fa all’inizio dell’incontro e che dovrebbe contenere tutte le informazioni procedurali, ma da realizzare secondo il proprio stile e la propria personalità, mettendo bene in evidenza ciò che non sarà disposto a consentire.
Il secondo aiuto, il più importante, gli sarà offerto dalla prima regola della comunicazione: ascoltare.
E il terzo aiuto sarà ricordare che una soluzione negoziale esiste sempre, forse non tradizionale (pre-concetti), non legata alle consuetudini (pre-giudizi), magari rileggendo, prima di ogni incontro questa antica storia di Trinidad.
Un uomo molto povero viveva con la vecchia madre cieca e con la moglie amareggiata per non avere figli. Un giorno quest’uomo si recò in un tempio a pregare, e la divinità, commossa dalle preghiere dell’uomo gli disse: “Chiedimi la cosa che desideri più di ogni altra e io la realizzerò”. L’uomo chiese i pensarci fino al giorno dopo e, avuto il permesso, tornò a casa e raccontò l’accaduto. La madre gli propose “Chiedigli di ridarmi la vista” e la moglie “Lascia perdere tua madre che è vecchia e chiedigli un figlio che possa prendersi cura di noi quando saremo vecchi”. La vecchia che aveva udito tutto prese a bastonate la nuora e finirono per picchiarsi con violenza. L’uomo, sconvolto, andò a chiedere consiglio ad un vecchio saggio e gli riferì i desideri delle due donne, aggiungendo che lui invece avrebbe voluto il benessere economico. Il vecchio rifletté per un po’ poi disse “Non devi scegliere fra le richieste della tua famiglia, sono tutte legittime. Domattina invece dirai alla divinità: io non chiedo niente per me, e nemmeno per mia moglie, ma mia madre è vecchia e cieca, e il suo ultimo desiderio prima di morire è riuscire a vedere un nipotino sano e vispo che mangia cibo abbondante da una tazza d’oro”.
22 marzo 2011
Laura Calciolari