Se il contribuente non si presenta al contraddittorio…

ormai è acclarato che il contraddittorio è il momento chiave dell’accertamento in base agli studi di settore, ma cosa accade se il contribuente non si presenta?

 

Con Ordinanza n. 15905 del 6 luglio 2010 (ud. 26 maggio 2010) la Corte di Cassazione è intervenuta ancora sugli studi settore, confermando il principio che l’assenza del contribuente al contraddittorio legittima l’ufficio ad utilizzare il solo studio di settore.

Il principio

Per la Corte di Cassazione, la censura posta dall’Ufficio è fondata “alla luce del principio affermato dalla Corte (Sez. U., Sentenza n. 26635 del 18/12/2009) secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce uri sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito”.

A tali principi non si è attenuta la CTR laddove, senza alcuna enunciazione di eventuali contestazioni sollevate dal contribuente, afferma che “l’Ufficio che ricorra alla ricostruzione dell’ammontare imponibile complessivo sulla base dei parametri deve dimostrarne l’applicabilità al caso concreto … spetta … all’Amministrazione integrare le presunzioni scaturenti dall’applicazione automatica dei parametri … con altri e diversi elementi”.

Brevi considerazioni

Anche se non espressamente previsto, il contraddittorio procedimentale amministrativo è necessario anche in materia tributaria in forza del principio generale dell’azione amministrativa del giusto procedimento.

La mancata partecipazione del contribuente, debitamente invitato, all’attività amministrativa istruttoria in contraddittorio con l’ufficio tributario legittima l’adozione dell’avviso di accertamento presuntivo.

Come è noto, con quattro sentenze a Sezioni Unite – n. 26635, 26636, 26637, 26638 del 10 dicembre 2009 (ud. del 1° dicembre 2009) – la Corte di Cassazione si è occupata dei parametri.

Per la Corte, l’applicazione della procedura di accertamento per adesione costituisce la modalità con la quale si realizza il contraddittorio, come “momento essenziale “ del procedimento di determinazione presuntiva dei ricavi: tanto emerge anche da quanto previsto dal paragrafo 6 della circolare 13 maggio 1996, n. 117/E, dove si precisa che “in sede di definizione dell’accertamento il contribuente potrà valersi del diritto di fornire la prova contraria, motivando e documentando idoneamente le ragioni in base alle quali la dichiarazione di ricavi e compensi di ammontare inferiore a quello presunto in base ai parametri può ritenersi giustificata, in relazione alle concrete modalità di svolgimento dell’attività”.

Da un lato, il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale ed imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa (in questo senso v. Cass. n. 2816/2008), dall’altro, “esso è il mezzo più efficace per consentire un necessario adeguamento della elaborazione parametrica che, essendo una estrapolazione statistica a campione di una platea omogenea di contribuenti, soffre delle incertezze da approssimazione dei risultati proprie di ogni strumento statistico – alla concreta realtà reddituale oggetto dell’accertamento nei confronti di un singolo contribuente”.

Tutte le circolari dell’Amministrazione finanziaria hanno sempre richiamato l’attenzione degli Uffici sull’esigenza dell’attivazione del contraddittorio con il contribuente.

Alla procedura di accertamento per adesione viene assegnato un compito necessario: l’instaurazione del contraddittorio tra contribuente ed amministrazione, che costituisce anche la via per giungere alla personalizzazione della stima necessaria a correggere la valutazione presuntiva, tenendo conto delle diverse situazioni gestionali e della localizzazione dell’attività svolta dal contribuente.

Un siffatto orientamento si è già manifestato nella giurisprudenza della Corte con le sentenze nn. 23602, 26459 e 27648 del 2008 e la n. 4148/2009. Tra le altre, quest’ultima ben pone in evidenza che tali coefficienti rivelano “valori, che, quando eccedano il dichiarato, integrano, in ogni caso, presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico – induttivo previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d): ma che, per i motivi sopra puntualizzati, sono, tuttavia, inidonei a supportare l’accertamento medesimo, ove contestati sulla base di allegazioni specifiche, se non confortati da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa”.

In questa prospettiva le Sezioni Unite della Cassazione prima e l’ordinanza per ultimo, ribadiscono che quel che da sostanza all’accertamento mediante l’applicazione dei parametri è “il contraddittorio con il contribuente dal quale possono emergere clementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell’impresa la presunzione indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri”.

Nel caso di inerzia, il giudice potrà valutare nel quadro probatorio questo tipo di comportamento (la mancata risposta), mentre l’Ufficio potrà motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione dello studio di settore, dando conto della impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito.

27 luglio 2010

Roberta De Marchi