Prestiti ai dipendenti

in caso di concessione di prestiti da parte del datore di lavoro al dipendente, concorre alla determinazione del reddito di lavoro dipendente “… il 50 per cento della differenza tra l’importo degli interessi calcolati al tasso ufficiale di sconto vigente al termine di ciascun anno e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi…”

 

      Le agevolazioni fiscali spettanti al dipendente che riceve dei prestiti dal proprio datore di lavoro sono applicabili anche nel caso in cui sia lo stesso lavoratore a scegliere l’istituto mutuante ed i contributi siano erogati direttamente sul suo conto corrente da parte del datore di lavoro. È questo l’interessante chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione del 28 maggio 2010, numero 46/E.

L’articolo 51, comma 4, lettera b), del TUIR, dispone che, in caso di concessione di prestiti da parte del datore di lavoro al dipendente, concorre alla determinazione del reddito di lavoro dipendente “… il 50 per cento della differenza tra l’importo degli interessi calcolati al tasso ufficiale di sconto vigente al termine di ciascun anno e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi…”.

Sino ad oggi tale disposizione è sempre stata interpretata in senso restrittivo, ovvero in modo tale per cui, per essere applicabile, il datore di lavoro avrebbe dovuto stipulare un’apposita convenzione con un istituto di credito, a cui poi il dipendente si sarebbe rivolto per avere un tasso di interesse convenzionato, che avrebbe determinato interessi, in parte addebitati al dipendente, ed in parte finanziati direttamente dal datore di lavoro.

Tuttavia, le dinamiche dei tassi di interesse sono divenute volatili a tal punto da far sì che un buon tasso concordato tra banca e datore di lavoro possa, a distanza di pochi mesi, essere peggiore di quello che potrebbe proporre al dipendente un istituto di credito non convenzionato, a seguito magari della repentina riduzione dei tassi di interesse.

Proprio per tal motivo, una fondazione ha richiesto chiarimenti all’Amministrazione Finanziaria circa la legittimità, ai fini dell’agevolazione in oggetto, di una procedura alternativa di erogazione del contributo, da parte del datore di lavoro, su un prestito ottenuto dal dipendente.

Il dipendente sceglie la banca, il datore di lavoro accredita il contributo direttamente in conto

La fondazione istante ha chiesto all’Agenzia delle Entrate di considerare la seguente procedura:

  1. il dipendente – in possesso dei requisiti per la concessione del contributo aziendale – presenta la relativa richiesta, allegando lo schema del contratto di mutuo predisposto dall’istituto di credito prescelto nonché il “preventivo di mutuo” recante i dati necessari per la predisposizione del piano di rimborso;

  2. l’azienda comunica al dipendente l’accoglimento della richiesta e invia all’istituto di credito mutuante l’informativa attinente all’erogazione del contributo medesimo, impegnandosi, altresì, a comunicare l’eventuale revoca del beneficio;

  3. successivamente alla stipula del contratto di mutuo, il dipendente consegna all’azienda il piano di ammortamento definitivo – che, in ogni caso, non può essere difforme da quello già autorizzato – nonché i riferimenti del conto corrente indicato nella disposizione permanente di addebito del mutuo rilasciata all’istituto di credito mutuante;

  4. l’azienda provvede ad accreditare il contributo tramite bonifico sul conto corrente su cui avviene la disposizione permanente di addebito del mutuo, con data valuta di accredito del contributo coincidente con quella di addebito della rata del mutuo da parte della banca, secondo il piano di ammortamento;

  5. entro il 31 gennaio, ovvero alla data di cessazione dal servizio, il dipendente fornisce all’azienda la certificazione bancaria dell’avvenuto pagamento delle rate di mutuo in scadenza nell’anno precedente.

Con tale procedimento, i dipendenti possono scegliere direttamente l’istituto bancario più conveniente, ed il datore di lavoro eroga direttamente sul loro conto corrente i contributi di propria competenza sul prestito acceso.

Atteso che l’accredito di tali contributi da parte del datore di lavoro coincide, nella descritta procedura, con il giorno valuta di addebito bancario delle rate del mutuo, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito che “il vantaggio economico concesso al dipendente – in termini di minore importo della rata da corrispondere alla banca – possa concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente secondo il criterio di valorizzazione previsto dall’art. 51, comma 4, lett. b), del Tuir, in quanto le stesse realizzano un collegamento immediato e univoco tra l’erogazione aziendale e il pagamento degli interessi tale per cui l’importo corrisposto dal datore di lavoro non entra, di fatto, nella disponibilità del dipendente”.

In conclusione, quindi, il fringe benefit in capo al lavoratore va calcolato nella misura del 50% della differenza tra gli interessi calcolati al tasso ufficiale di sconto vigente al 31 dicembre di ciascun anno e gli interessi determinati al tasso della banca mutuante, calcolati al netto del contributo erogato dal datore di lavoro.

Quest’ultimo, peraltro, deve indicare nel modello 770, con il codice AH, l’importo del contributo erogato al dipendente.

Infine, nel caso in cui il mutuo sia stato contratto per l’acquisto dell’abitazione principale, il lavoratore ha il diritto di detrarre fiscalmente il 19% degli interessi passivi, ma soltanto per la quota effettivamente rimasta a suo carico.

10 luglio 2010

Alessandro Borgoglio