Per la validità della dichiarazione integrativa non bastava solo il versamento

ai fini del condono (L. 289 del 2002) non era sufficiente il solo pagamento dell’imposta, ma era necessario effettuare anche la dichiarazione per perfezionare il condono stesso

 

Con sentenza n. 14673 del 17 giugno 2010 (ud. del 15 aprile 2010) la Corte di Cassazione si è occupata dei presupposti di validità della dichiarazione integrativa, ex art. 8 della legge n. 289/2002.

Il principio affermato dalla Cassazione

Il condono di cui all’art. 8 L. n. 289 del 2002 non può ritenersi perfezionato senza la presentazione della dichiarazione integrativa, che “costituisce presupposto indefettibile per l’applicazione della normativa in tema di condono, posto che il contribuente acquisisce il diritto alla definizione agevolata attraverso entrambi gli adempimenti – dichiarazione integrativa e pagamento, coordinati fra loro (v. Cass. n. 2974 del 2002, sia pure relativa a diversa ipotesi normativa di condono)”.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, “la presentazione della dichiarazione integrativa costituisce (a differenza del caso delle ordinarie dichiarazioni dei redditi, che sono mere dichiarazioni di scienza) il volontario compimento di un atto giuridico, frutto di libera scelta del contribuente, al quale – ed ai successivi adempimenti – la legge collega automaticamente la produzione di specifici e predeterminati effetti giuridici (v. Cass. n. 7459 del 2003), risultando pertanto evidente che tale atto (previsto come indispensabile per il perfezionamento del condono, in relazione ad un contenuto specifico ed alla attribuzione ad esso – in concomitanza con l’intervento del pagamento richiesto – di precisi effetti) non possa ritenersi equivalente ad un atto diverso per contenuto, finalità e interlocutore”.

Breve disamina

Tutti i contribuenti, senza distinzioni, compresi i sostituti d’imposta, avevano la facoltà di integrare le dichiarazioni presentate.

Stante la formulazione letterale della norma, potevano avvalersi delle disposizioni agevolative contenute nella norma tutti i contribuenti, indipendentemente dalla forma giuridica rivestita e l’integrazione riguardava anche i soggetti obbligati ad effettuare la ritenuta d’acconto.

L’integrazione aveva effetto ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, imposte sostitutive delle imposte sui redditi, imposta sul patrimonio netto delle imprese, IVA, IRAP, contributo straordinario per l’Europa.

Il perfezionamento della dichiarazione integrativa e la sua presentazione (in forma ordinaria o in forma riservata) comportavano, limitatamente alle annualità oggetto di integrazione e ai maggiori imponibili ovvero alle maggiori ritenute, risultanti dalle dichiarazioni integrative aumentati rispettivamente del 100% e del 50% per ciascun periodo d’imposta (franchigia), diversi effetti di natura tributaria e penale:

  • la preclusione, nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario e contributivo (limitatamente alle maggiori integrazioni);

  • l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie e previdenziali, ivi comprese quelle accessorie;

  • l’estinzione delle sanzioni previste dalle disposizioni sul monitoraggio fiscale (D.L. 28 giugno 1990, n. 167, conv. in legge 4 agosto 1990, n. 227), sia nel caso in cui siano stati integrati i redditi conseguiti all’estero, sia nel caso in cui le società e le imprese abbiano proceduto alla regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero alla data del 31 dicembre 2001;

  • l’esclusione ad ogni effetto della punibilità per i reati tributari di cui agli articoli 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), 4 (dichiarazione infedele), 5 (omessa dichiarazione) e 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili) del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74;

  • l’esclusione ad ogni effetto della punibilità per una serie di reati (specificamente elencati nella circ. n. 12/2003, cui si rinvia), commessi per eseguire o occultare i reati tributari sopra indicati, ovvero per conseguirne il profitto, purché riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria. Questa esclusione non si applicava in caso di esercizio dell’azione penale della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione integrativa.

Non potevano avvalersi della definizione recata dall’art. 8 della legge n. 289/2002 i contribuenti nei confronti dei quali, ad una determinata data:

  • sia stato notificato (rectius: abbiano avuto consegnato) un processo verbale di constatazione con esito positivo;

  • sia stato notificato avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’IVA o dell’IRAP;

  • sia stato notificato un invito al contraddittorio, di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 218/1997.

Tali cause ostative potevano essere rimosse dai contribuenti che ne avevano interesse, ricorrendo alle disposizioni contenute negli artt. 15 e 16 della legge n. 289/2002 (chiusura delle liti potenziali e pendenti).

Costituiva, invece, causa ostativa non rimuovibile la formale conoscenza (prima della presentazione della dichiarazione integrativa) dell’esercizio dell’azione penale per reati tributari di cui agli artt. 2,3,4,5 e 10 del D. Lgs. n. 74/2000, nonché per i reati di cui agli artt. 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491 bis, e 492 del codice penale e artt. 2621, 2622 e 2623, quando tali reati siano stati commessi per eseguire od occultare i suddetti reati tributari ovvero per conseguirne il profitto e, inoltre, siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria.

Il perfezionamento era comunque legato alla presentazione della dichiarazione integrativa, non bastando il solo versamento, così come correttamente evidenziato dalla Corte di Cassazione.

Il versamento solo, pertanto, non produce nessun effetto benefico per il contribuente.

15 luglio 2010

Roberta De Marchi