Indagini finanziarie: la prova del contribuente deve essere analitica

la normativa sulle indagini finanziarie opera in modo automatico, non richiedendo ulteriori elementi di riscontro per conferire validità al controllo. Il dettato normativo consente, però, al contribuente di dimostrare l’irrilevanza fiscale delle movimentazioni riscontrate

          La normativa sulle indagini finanziarie opera in modo automatico, non richiedendo ulteriori elementi di riscontro per conferire validità al controllo.

          Il dettato normativo consente, però, al contribuente – anche attraverso il contraddittorio – .

          Pur essendo in presenza di presunzioni relative, la forza della norma è tale che esse si atteggiano quasi a presunzioni assolute, poiché richiedono dei fatti impeditivi od ostativi al verificarsi del presupposto d’imposta, posti a carico de l contribuente.

          Infatti, gli elementi – prelevamenti e versamenti – risultanti dall’analisi dei conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza per lo stesso fine (ai fini Iva i prelevamenti sono considerati come pagamenti per operazioni passive non autofatturate).

 

La prova specifica 

 

          Con sentenza n. 13819 del 3 maggio 2007 (dep. il 13 giugno 2007), la Corte di Cassazione aveva già avuto modo di affermare che la prova liberatoria, che consente di superare la presunzione di cui all’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973,  n. 600, secondo  cui  le movimentazioni dei conti correnti bancari legittimano l’accertamento del redditi, non può essere meramente generica e cioè relativa all’attività esercitata, ma deve essere, altresì, specifica in relazione ad ogni singola operazione. Perciò, non è sufficiente che il contribuente adduca la qualità di amministratore di condominio ma è necessario che fornisca  la  prova analitica della riferibilità di  ogni  movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di  danaro  altrui.

          Diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra  idonea  giustificazione,  è configurabile quale corrispettivo non dichiarato.

 

          Per giurisprudenza costante, in materia di Iva, qualora debba riconoscersi, ai sensi dell’art. 51, comma 2, del D.P.R. n. 633/72, la ricorrenza dei presupposti per  il  ricorso  a  presunzioni semplici  basate  su  operazioni in conto corrente bancario, la prova liberatoria, che il  meccanismo  comune  ad  ogni  presunzione  sposta  sul contribuente, si commisura necessariamente alla natura e consistenza degli elementi utilizzati dall’Amministrazione. La valutazione di  tali elementi non si traduce in un’automatica assimilazione delle operazioni in conto corrente a corrispettivi non dichiarati, ma richiede un apprezzamento, eminentemente  fattuale, della forza presuntiva attribuibile a quelle operazioni, alla luce della prova liberatoria offerta dal contribuente, ed è quindi censurabile in sede di legittimità soltanto per i vizi  motivazionali previsti dall’art. 360, n. 5), del codice  di  procedura  civile  (Cass.  n. 19947/2005 e n. 11778/2001).

 

          Nel caso specifico, per la Cassazione, la censura dell’Amministrazione finanziaria secondo la quale la motivazione della Commissione tributaria regionale sarebbe sul punto incerta e contraddittoria, merita di essere accolta, in quanto i giudici di appello hanno motivato l’accoglimento  dell’impugnazione della contribuente sul rilievo che “svolgendo la medesima attività di amministratore di condominio ne deriva necessariamente che la stessa obbligatoriamente e necessariamente riceveva rimesse altrui che amministrava per professione”. 

          Tuttavia, osserva la Corte, la  circostanza  che la contribuente riceveva sul proprio conto corrente rimesse altrui non è idonea di  per  sé,  ai  fini  di  cui  trattasi, ad escludere la totale imputabilità di tutte le movimentazioni    bancarie direttamente all’intestataria del conto corrente in assenza di elementi contrari  in  tal senso”.

 

          La motivazione dei giudici di seconda istanza è, quindi, inadeguata, poichè non si sono fatti carico “di verificare, in base  alla  prova  liberatoria offerta dal contribuente, quali fossero le singole movimentazioni  bancarie riferibili direttamente all’attività di amministratore di condominio  per poter conseguentemente  escludere  che  le  stesse  non costituissero corrispettivi non dichiarati. La prova liberatoria ai  fini  di  cui  trattasi  non  può  essere  solo generica e cioè relativa all’attività esercitata, ma  deve  essere  altresì, specifica in quanto, stante la presunzione di cui all’art. 51, comma 2,  del D.P.R. 26 ottobre 1972,  n.  633,  se  il  contribuente  utilizza  il  conto corrente a lui personalmente intestato anche per maneggio di  danaro  altrui deve fornire la prova specifica – rectius: analitica – della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di danaro altrui, diversamente la  rispettiva  movimentazione,  in  assenza  di  altra  idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato”.

 

L’ultima sentenza della Cassazione   

 

Con sentenza n. 6617 del 19 marzo 2009 (ud. del 23 dicembre 2008) la Corte di Cassazione ha riaffrontato la questione, affermando che la motivazione della C.T.R. è stata “del tutto apodittica laddove afferma che la gestione pressoché integrale, da parte  del  S.,  dei conti  bancari  della  D.  era  stata  documentata.  È  inoltre  chiaramente contraddittoria  ed  erronea  in  punto  di  diritto  laddove   rileva   che unitamente  alle  operazioni  positive  sui  conti  correnti,  sono   stati contabilizzati  prelevamenti per  L. 1.618.818.382,  i  quali  costituendo comunque pagamenti  eseguiti, avrebbero  dovuto,  in  ogni  caso,  condurre all’abbattimento corrispondente del reddito accertato“.

 

          Come  dedotto  dalle ricorrenti amministrazioni l’art. 32 del D.P.R. n.  600  del 1973, prevede infatti, per gli accertamenti nei confronti  dei  soggetti  con obbligo di contabilità, di considerare direttamente come ricavi i  prelevamenti  e  in generale consente di porre a base degli accertamenti i dati e  gli  elementi risultanti  dai   conti.  

          Disposizione che viene interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che, in tema di  accertamento delle imposte sui redditi, ed al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600,  (in  virtù della quale i  prelevamenti  ed  i  versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi  conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), “non è sufficiente al contribuente  dimostrare  genericamente  di avere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell’esercizio della propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione, ma è necessario che egli fornisca la prova analitica della  inerenza  alla  sua attività di maneggio di denaro altrui di  ogni  singola  movimentazione  del conto” (cfr. Cassazione civile, sezione 5^, n. 13819 del 13 giugno 2007 e gli estensori della sentenza rilevano che in applicazione del suddetto principio, la S.C., con la sentenza citata, ha cassato la decisione  con  la  quale  la  commissione tributaria aveva accolto l’impugnazione del contribuente avverso un avviso di accertamento notificato ad un amministratore di condominio, ritenendo che dalla natura stessa dell’attività svolta dal contribuente potesse desumersi che le somme da questi depositate sul proprio conto corrente gli erano state affidate dai condomini per il pagamento degli oneri condominiali).

 

          Infine – osserva la Corte – “è erroneo il convincimento della  C.T.R.  sull’onere  gravante  a carico della amministrazione finanziaria di provare il coinvolgimento  della D. nelle operazioni finanziarie del S. come pure di provare  l’esistenza  di una capacità  di  spesa  compatibile  con  l’ammontare  dei  suoi  movimenti bancari”.

          Il ricorso dell’Amministrazione viene pertanto accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Commissione  tributaria  regionale che deciderà anche in merito alle spese del giudizio di Cassazione.

 

Brevi riflessioni

 

          In via di  principio le Entrate, nel corpo della circolare n. 32/2006, ritengono che possano “assumere valida valenza giustificativa – soprattutto in caso di discordanza tra i dati bancari e finanziari e le rilevazioni contabili – gli atti  e  i documenti che provengono dalla Pubblica amministrazione, da soggetti aventi pubblica fede (notai, pubblici ufficiali, eccetera), da soggetti  terzi  in qualità di parte di rapporti contrattuali di diversa  natura,  così  come nel caso di rimborsi, risarcimenti, mutui, prestiti,  eccetera. Poiché  le presunzioni  legali,  inoltre, possono venire contraddette anche da giustificazioni di carattere tecnico, legate al  particolare  operare del tributo, si precisa che, soprattutto in funzione prospettica dell’accertamento unificato, il contraddittorio deve  essere condotto tenendo conto della specificità della singola imposta, in quanto – in linea di massima – la giustificazione ai fini Iva di un movimento bancario  può non essere automaticamente valida o significativa anche ai fini reddituali. In particolare, per quanto riguarda la determinazione del  reddito,  il numero 2) del comma 1 dell’art.32 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede che i dati e gli elementi risultanti dai rapporti e dalle operazioni intercettati ai sensi del  successivo  numero 7) o rilevati secondo la particolare procedura di cui all’articolo 33, secondo e terzo comma, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e  41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che  non  hanno  rilevanza allo stesso fine“.

 

          Pertanto, osservano le Entrate, “nel nuovo contesto  normativo,  non  solo  i  versamenti risultanti dai conti bancari ma anche quelli rilevati dai conti  finanziari o da operazioni fuori conto si presumono come ricavi, compensi  ovvero elementi positivi rappresentativi per le  sole  persone  fisiche  di  altri elementi reddituali da porre a base delle rettifiche e degli accertamenti di tipo analitico, analitico-induttivo, induttivo e sintetico, laddove  la locuzione  posto  a  base  va  intesa  come  il riconoscimento  legale dell’attitudine  probatoria  che tali movimentazioni assumono  ai fini dell’efficacia presuntiva che l’organo procedente  intende  utilizzare  per assolvere il proprio onere dimostrativo”.

          Oggi la Cassazione però ribadisce quanto precedentemente osservato in altre sentenze ed interpreta la norma: la prova deve essere analitica, specifica e non può essere generica. Deve quindi il contribuente giustificare le singole operazioni.

 

          Peraltro, così come la contestazione dei singoli addebiti da parte dell’A.F. non può avvenire per “masse” o addirittura sulla base di un mero  saldo  contabile“,  le giustificazioni del contribuente devono riferirsi ai singoli movimenti.

          La stessa Cassazione, fra l’altro, con sentenza n. 23690 dell’8 novembre 2007 (dep. il 15 novembre 2007) aveva già affermato che è irrilevante, ai fini dell’utilizzazione dei dati ed elementi emersi dalle  movimentazioni dei rapporti bancari intrattenuti dal contribuente, la  dimostrazione che il soggetto verificato eserciti attività d’impresa  ovvero  che  il  saldo del rapporto sia negativo. Il contesto nel quale si manifesta  l’efficacia probatoria  presuntiva delle  risultanze  dell’accertamento  è  quello  dei movimenti riconducibili ad operazioni fiscalmente rilevanti per i  quali  al contribuente è data facoltà di dimostrare la relativa estraneità. Prosegue la Corte: “non ha rilievo, a tale  proposito, che il conto corrente (nella specie: bancario) risulti avere un saldo negativo,  in  quanto  l’oggetto dell’accertamento sono i movimenti e le scritture  relative  al  conto, considerato in un determinato periodo d’imposta”. Pertanto, conclude la Corte, “erroneamente la  decisione  impugnata ha ritenuto tali elementi come sforniti di valenza probatoria, limitandosi a far  propria  la critica solo generica  del  contribuente  e  non,  come avrebbe dovuto, a considerare, anche in ragione delle chieste controdeduzioni  procedimentali, elementi di spiegazione analitici”.

                                          

Francesco Buetto

14 Aprile 2009