Il punto
L’accertamento dell’ufficio può fondarsi su documenti, cioè su un riscontro cartolare, che non incontra limitazioni di sorta quanto alla sua utilizzabilità anche in sede contenziosa, in grado di comprovare i fatti contestati (brogliacci e scritture varie rivelatrici di una separata contabilità “in nero“; matrici di assegni a favore di determinati soggetti; contratti, accordi, etc.; verbali di assemblee societarie, di riunioni di collegi sindacali, etc) (1).
Inoltre, in sede di accertamento, l’ufficio può disporre l’audizione di persone al fine di acquisire dati o notizie rilevanti (articoli 32, primo comma, n. 2, D.P.R. n. 600/1973, e 51, secondo comma, n. 2, D.P.R. n. 633/1972), mentre nel processo tributario è vietata la prova testimoniale (articolo 7, comma 4, del D.Lgs. 31.12.1992 n. 546).
I caratteri fondamentali della prova testimoniale sono riconducibili alla necessità che abbia ad oggetto fatti, e non giudizi o apprezzamenti: narrazione dei fatti della controversia al giudice nel processo e da soggetti che non sono parti nel giudizio.
I verificatori civili e miliari possono, pertanto, raccogliere “sommarie informazioni” dai soggetti sottoposti a indagine, o da altri soggetti, (ai sensi degli artt. 203 e 267 del C.P.P., come riformulati dagli artt. 7 e 10 della Legge 1.3.2001 n. 63).
Secondo
Se in sede amministrativa (e dunque di predisposizione e stesura dell’avviso di accertamento), si tratta di elementi certamente utilizzabili dal Fisco, in sede processuale, avanti le Commissioni Tributarie, ne è contestata la valenza di “testimonianza impropria” o surrettizia, mediante la quale verrebbe aggirato il divieto della prova testimoniale (occorre, infatti, distinguere, sotto il profilo probatorio, la prova testimoniale vietata e la cd. testimonianza impropria o anomala ).
In pratica, la prova testimoniale richiamata dal citato art.7 del D.Lgs. n. 546/1992 – ed esclusa – è esclusivamente quella che si forma in sede processuale, restando possibile la formalizzazione di dichiarazioni verbali rese agli organi operanti, le quali pur non essendo prove immediatamente fruibili hanno valenza indiziaria.
Vi possono dunque essere avvisi di accertamento che fondano la propria motivazione – per relationem – su verbali di verifica nei quali sono contenute “sommarie informazioni” rese dal contribuente o da altri soggetti, oppure sull’audizione e successiva verbalizzazione di persone convocate presso l’ufficio.
La giurisprudenza ha generalmente ammesso tali elementi, non a titolo di “fonti di prova” in senso proprio, ma piuttosto di un “ausilio” all’accertamento (un’ipotesi investigativa) che deve comunque essere sostenuto da ulteriori elementi probatori idonei a confermare la testimonianza (interessante è la sentenza della Corte di Cassazione – n. 2942 del 10 febbraio 2006 – secondo cui gli elementi acquisiti dalla G.d.f. ….” sono sufficienti senza la necessità di ricorrere alle presunzioni, atteso che i fatti – tariffe praticate, orario di apertura, tempi di attesa, numero di postazioni fisioterapiche- non sono ignoti, ma noti e provenienti, oltre che dagli accertamenti e riscontri documentali della Guardia di Finanza, anche dalle dichiarazioni assunte da soggetti in diverso rapporto con il soggetto accertato – socia, legale rappresentante e un dipendente, e ben ventuno sui sessanta clienti della società contribuente”).
Ciò è in linea con il pensiero di diritto della Cassazione (sentenza n. 3427 del 22 marzo 2000), che ha ribadito che dette dichiarazioni comunque possono valere unicamente come indizi, non potendosi ad esse attribuire il significato e la portata della prova testimoniale, atteso che, a differenza di quest’ultima, non sono assunte con le garanzie e le modalità rigidamente previste nel codice di procedura civile (cfr. anche sentenza n. 24200 del 18 ottobre 2006, depositata il 13 novembre 2006, della Corte di Cassazione secondo cui la dichiarazione resa da un soggetto terzo nell’ambito dell’accertamento esperito dall’Amministrazione finanziaria nei confronti del contribuente trova ingresso nel procedimento e nel processo di impugnazione dell’atto impositivo in qualità di elemento puramente indiziario, di per sé inidoneo ed insufficiente a fondare alcuna pretesa tributaria, in assenza di ulteriore specifica attività di acquisizione di verifica e riscontro obiettivi sulle risultanze degli accessi ed ispezioni).
Al riguardo,
Se appare corretta la scelta operata in ordine all’inammissibilità della testimonianza nel processo tributario, di converso, escludere qualsiasi forma di dichiarazione orale resa nel corso del procedimento tributario significherebbe privare – lo stesso contribuente – di informazioni, chiarimenti, spiegazioni sui fatti, utili per la ricostruzione della vicenda.
Occorre, comunque, dire che l’utilizzo di una sorta di prova testimoniale scritta da parte degli organi di verifica è stata superata dal contribuente, utilizzando in sede processuale delle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà.
Naturalmente anche per il contribuente le dichiarazioni in questione non potranno avere pieno valore probatorio, ma solo il valore di “elementi“, che non possono costituire da soli il fondamento della decisione.
Dal punto di vista pratico, se il problema della cosiddetta “verbalizzazione” – ossia quello di definire la veste formale nella quale tali dichiarazioni debbano essere rese al fine di venire prodotte nel giudizio (4) – , non si pone per le dichiarazioni rese all’Amministrazione finanziaria, in quanto queste vengono solitamente trasfuse in documenti redatti da pubblici ufficiali che rivestono quindi la forma dell’atto pubblico, per quanto riguarda le altre dichiarazioni dei terzi, il problema sussiste: di solito si utilizza l’atto notorio (5), la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (6), la perizia giurata (7).
Tuttavia, di recente, con Sentenza n. 703 del 29 novembre 2006 (dep. il 15 gennaio 2007),
Il valore probatorio delle verbalizzazioni è comunque rimesso al libero apprezzamento del giudice, il quale, di volta in volta, potrà o non potrà tenerne conto, quali ulteriori elementi a sostegno degli altri, già comunque acquisiti (8). E’ ovvio che anche se non formalmente prese in considerazione, le documentazioni da cui risulta che il contribuente conveniva in tutto o in parte su una determinata rettifica possono essere un elemento di forte impatto psicologico sul giudice chiamato a decidere la controversia (9).
Esse, pertanto, devono essere valutate dal giudice entro tali limiti, con la conseguenza che non possono costituire da sole il fondamento della decisione, potendo, invece, essere utilizzate quando trovino ulteriore riscontro nel contesto probatorio emergente dagli atti.
In questo contesto che vede la verbalizzazione quale momento di confronto e analisi delle contrapposte tesi, occorre distinguere le dichiarazioni rese dal soggetto verificato, che come indicato nella circolare n. 1/1998 della Guardia di finanza “di norma, …non offrono contributi significativi per la ricostruzioni di fatti, ma valgono essenzialmente ad interpretarne alcuni”, pur se spesso, da semplici chiarimenti discendono determinate interpetazioni da parte dei verificatori. Tali dichiarazioni (di natura tecnica e/o esplicativa (10) ed indizianti (11)), comunque, qualificano i fatti stessi.
Successivamente, la stessa Cassazione – sentenza n. 450 del 13 novembre 2007 (dep. l’11 gennaio 2008) – ha affermato che costituisce valutazione in fatto, non sindacabile nel giudizio di legittimità, l’attendibilità riconosciuta alle dichiarazioni di un terzo raccolte dalla Guardia di Finanza, che ben possono da sole costituire la prova della natura fittizia di operazioni economiche e quindi il fondamento di un accertamento (12).
E da ultimo –
La sentenza della Cassazione n. 16418/2008
Oggi, con sentenza n. 16418 del 23 gennaio 2008 (dep. il 18 giugno 2008)
Per
In pratica, il riscontro con i clienti può portare i verificatori a ricostruire il volume d’affari del contribuente sottoposto a controllo.
Riflessioni
La sentenza che si annota e l’excursus giuridico effettuato dà fiato a tutte quelle rettifiche – anche nei confronti dei professionisti – con cui gli uffici, sulla base delle dichiarazioni dei clienti, che indicano magari il compenso pagato a fronte di una determinata prestazione, hanno ricostruito i maggiori compensi.
Gianfranco Antico
4 Luglio 2008
(1) Cfr. Decisione della Comm. Trib. Centrale n. 4182 del 17 aprile 2007, dep. il 17 maggio 2007, secondo cui il p.v.c. è assistito da fede privilegiata quanto ai fatti in esso descritti e pertanto le affermazioni nello stesso contenute non possono essere revocate in dubbio “ sulla base di dichiarazioni postume rilasciate da terzi alla contribuente e da questa acquisite unilateralmente e in assenza di contraddittorio”.
(2) Cfr. Cass. 25 marzo 2002, n. 4269, in cui dando concreta attuazione ai principi del giusto processo, riformulati dal nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n.
(3) Cfr. anche la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, n. 73053/01 del 23 novembre 2006 – causa Jussila c. Finlandia – secondo cui l’impossibilità di utilizzare la prova orale è in astratto compatibile con il principio dell’equo processo sotteso dall’art. 6 della Convenzione europea diritti dell’uomo( Cedu) “ solo se dal divieto non deriva un grave pregiudizio della posizione del ricorrente-contribuente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile”. In pratica, per
(4) Cfr. sul punto RICCIONI, L’ammissibilità ai fini probatori delle dichiarazioni rese da terzi in ambito extraprocessuale in rapporto al divieto di prova testimoniale nel processo tributario, in “il fisco”, n. 14/2003, fasc. n. 1, pag. 2120
(5) Cfr. Cass. n. 5154 del 6 aprile 2001, secondo cui “ il processo deve svolgersi nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, comporta che le prove devono essere raccolte nell’effettivo contraddittorio delle parti, cioè nel processo e con la partecipazione del giudice; pertanto, non può attribuirsi valore di prova all’atto notorio, precostituito al processo al di fuori di qualsiasi contraddittorio con l’avversario, né tale atto può implicare un’inversione dell’onere della prova, che deve essere espressamente prevista da una norma positiva e non può derivare esclusivamente dalla mera iniziativa di parte“. In pratica, il pieno valore probatorio dell’atto notorio resta limitato al fatto che la dichiarazione sia stata resa in presenza di un pubblico ufficiale, ma non si estende alla rispondenza alla verità delle circostanze indicate nell’atto stesso.
(6) Cfr. Cass. n. 7107 del 20 luglio 1998, secondo cui la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, quanto lo stesso atto notorio, devono essere considerati documenti la cui libera valutazione da parte del giudice deve essere in concreto ammessa ogni volta che la dichiarazione venga resa non già da una delle parti, ma da un soggetto estraneo al processo che attesta un fatto rilevante ai fini della decisione. La principale differenza fra atto notorio e dichiarazione sostitutiva del medesimo consiste nel fatto che il primo assolve alla funzione di far conoscere fatti, stati e qualità personali che sono a diretta conoscenza del dichiarante, e che non risultano in altro modo noti alla Pubblica Amministrazione, mentre la seconda mira a portare a conoscenza della Pubblica Amministrazione circostanze a questa già risultanti in propri atti.
(7) In particolare, tale strumento viene utilizzato per la valutazione degli immobili e/o dei terreni. Cfr. Cass. n. 4437 del 19 maggio 1997 che ha escluso la possibilità di attribuire efficacia di prova legale alla perizia giurata depositata in giudizio da una parte, neppure rispetto ai fatti che il perito assume di avere accertato nel caso specifico.
(8) Cfr. Cass. 26.3.2002, n. 4423. Per un suo commento si veda PERRUCCI, La prova testimoniale indiretta nel processo tributario, in “ Bollettino Tributario”, n. 17/2004, pag. 1215. Per un suo esame si veda FIORENTINO, Accertamento tributario, presunzioni gravi, precise e concordanti e valore delle dichiarazioni rese da terzi in processi verbali di constatazione, in “ Rassegna Tributaria”, n. 5/1998, pag. 1430, il quale sostiene che “ il giudizio, di concreta ammissibilità della dichiarazione del terzo quale unico o principale elemento indiziante di una rettifica tributaria, richieda sempre una specifica motivata valutazione da parte del giudice ( e prima ancora da parte dell’ufficio), non potendo essere risolta in astratto. In particolare, si ritiene indispensabile una concreta analisi volta a stabilire se, nella specifica controversia, vista la difficoltà di reperire ulteriori indizi, sia ritenuto prevalente l’interesse sotteso ad una efficace attuazione del potere di accertamento tributario, rispetto alla possibile lesione del diritto di difesa del contribuente. Solo in seguito a tale concreta ponderazione di interessi, ed avendo deciso per l’ammissibilità, è possibile valutare se le dichiarazioni del terzo sono sufficienti ad integrare gli estremi della gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973”.
(9) LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, III edizione 2001, pag. 453, che affronta la tematica del rischio di ammissioni precipitose, evidenziando che “ c’è inoltre il rischio che la disponibilità da parte dell’ufficio di un documento in cui il contribuente si dichiara disposto ad accettare determinate rettifiche possa essere controproducente qualora non si giunga ad un accordo e nasca una controversia davanti ai giudici tributari”.
(10) Vere e proprie dichiarazioni che permettono di verificare una determinata qualificazione giuridica dei fatti stessi
(11) Dichiarazioni che “manifestano chiare attinenze al concetto di prova poiché intendono testimoniare l’esistenza di fatti e circostanze (passati e presenti) rilevanti ai fini dell’accertamento”. La circolare n. 1/1998 della Guardia di finanza porta l’esempio del dipendente di una azienda oggetto di verifica che dichiari di aver ricevuto una parte della retribuzione “ in nero”.
(12) La giurisprudenza, quindi, in via di principio, è univoca nel ritenere utilizzabili nel processo tributario le dichiarazioni rese da terzi all’Amministrazione Finanziaria, pur conscia che tali dichiarazioni non assumano – sempre – il valore di vere e proprie testimonianze. La stessa giurisprudenza, invece, oscilla in ordine alla possibilità che la controversia possa essere decisa solo sulla base di queste dichiarazioni. Cfr. Cass. sent. n. 7335 del 12 dicembre 2007, dep. il 19 marzo 2008, che ha ritenuto utilizzabili i i dati ricavati dalle dichiarazioni rese da terzi al fine di determinare l’imponibile derivante dall’attività di prestito di denaro esercitata da un professionista.