Il rapporto tra giudice delegato e curatore nelle varie fasi della procedura fallimentare

La seconda parte del documento n. 18 dello scorso ottobre curato dalla Fondazione Luca Pacioli analizza le modifiche, riguardanti il rapporto tra il curatore ed il giudice delegato. La normativa originaria, introdotte nel Regio Decreto 16 marzo 1942 (c.d. Legge fallimentare), e d.lgs. 9 gennaio 2006, è stata rivisitata dal d.lgs. 169/07 recante la “riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali.

 

I rapporti giuridici pendenti

Come noto, la novella del 2006 ha apportato modifiche sostanziali al rapporto tra giudice delegato e curatore.

Dette modifiche sono il frutto, in alcuni casi, del recepimento di prassi ormai consolidate nei tribunali italiani; in altri, della volontà di dare un maggior peso agli interessi dei creditori e, di conseguenza, al ruolo del comitato che li rappresenta.

Per quanto attiene ai rapporti pendenti (1) è aumentato il potere di decisione del curatore, che rimane soggetto all’autorizzazione del comitato dei creditori e non più a quella del giudice delegato.

A tal proposito, l’articolo 72ter, introdotto dalla riforma del 2006, consente al curatore del fallimento della società finanziata di subentrare nel relativo contratto in luogo della società stessa. Ciò tuttavia solo dopo aver sentito il comitato dei creditori.

Nell’ipotesi in cui il curatore non vi subentri, il finanziatore deve rivolgersi al giudice delegato per chiedere di continuare o di realizzare l’operazione.

Il giudice delegato a sua volta prima di decidere deve sentire il comitato dei creditori. Entrambi gli organi devono in ogni caso tener conto delle motivazioni della scelta del curatore.

Al giudice delegato è riconosciuto il compito di stabilire, nell’ipotesi di dissenso tra le parti, l’equo indennizzo che deve essere corrisposto, rispettivamente, al locatore nel caso di contratto di locazione, e alla controparte, nel caso di contratto di affitto d’azienda.

 

Nell’ambito dell’attività di custodia e di amministrazione delle attività fallimentari

Il giudice delegato ha il potere di designare i coadiutori del curatore per l’apposizione dei sigilli sui beni del fallito, se questi si trovano in più luoghi e non è agevole l’immediato completamento delle operazioni.

Il giudice delegato ha altresì il potere di autorizzare con decreto motivato la restituzione di beni mobili sui quali i terzi vantano diritti reali o personali chiaramente riconoscibili.

In proposito, va precisato tuttavia che il giudice delegato può pronunciarsi solo nel caso in cui la parte interessata che ne abbia fatto istanza abbia ottenuto il consenso del curatore e del comitato dei creditori.

Il fascicolo della procedura può essere visionato dai creditori e dai terzi solo previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il parere (vincolante, secondo la dottrina) del curatore.

 

La fase di accertamento del passivo

In seguito alla riforma del 2006 è il curatore e non più il giudice delegato ad esaminare le domande di ammissione al passivo, a predisporre elenchi separati dei creditori e dei titolari di diritti sui beni mobili ed immobili di proprietà ed in possesso del fallito, e ad eccepire eventuali fatti estintivi, modificativi o impeditivi dei detti diritti fatti valere, nonché l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione (2).

Il medesimo curatore deposita il progetto di stato passivo nella cancelleria del tribunale almeno 15 giorni prima dell’udienza fissata per l’esame dello stato passivo; ed infatti, l’articolo 95 l. fallimentare, dispone che i creditori, i titolari di diritti sui beni ed il fallito possono esaminare il progetto e presentare osservazioni scritte e documenti integrativi fino all’udienza.

All’udienza, il giudice delegato, anche in assenza delle parti, decide su ciascuna domanda e può altresì procedere ad atti di istruzione su richiesta delle parti compatibilmente con le esigenze di speditezza del procedimento.

Il giudice delegato con decreto accoglie in tutto o in parte le domande di ammissione al passivo. Se sussiste contestazione del curatore sulla domanda, il detto decreto deve essere succintamente motivato. 

 

L’attività di esercizio provvisorio dell’impresa e di liquidazione dell’attivo

L’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito può essere disposto dal tribunale  direttamente nella sentenza dichiarativa del fallimento.

Successivamente, il giudice delegato, su proposta del curatore, previo parere favorevole del comitato dei creditori, può disporre la continuazione dell’esercizio dell’impresa, anche limitatamente a specifici rami dell’azienda, fissandone la durata.

Il giudice delegato esercita un potere dispositivo, che si manifesta anche con il decreto di cessazione dell’attività nell’ipotesi in cui il comitato dei creditori non ravvisi l’opportunità di continuarla. Durante l’esercizio provvisorio le incombenze del curatore sono:

–la convocazione del comitato dei creditori almeno ogni tre mesi, per informarlo sull’andamento della gestione e per consentirgli di pronunciarsi sull’opportunità di continuare l’esercizio (la dottrina ritiene che il curatore debba informare anche il giudice delegato);

–la presentazione di un rendiconto dell’attività mediante deposito in cancelleria;

–l’informativa al giudice delegato ed al comitato dei creditori di circostanze sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell’esercizio provvisorio.

Su proposta del curatore il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza l’affitto a terzi dell’azienda del fallito, anche limitatamente a specifici rami, quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o di parti di essa.

Il potere di scegliere l’affittuario spetta unicamente al curatore, che dovrà vagliare

le diverse offerte concorrenti effettuando la sua preferenza sulla base del canone

offerto, delle garanzie prestate e della attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, avuto riguardo anche alle conservazione dei livelli occupazionali.

Solo dopo che avrà effettuato la scelta, il curatore dovrà informare il comitato dei creditori ed il giudice delegato, e la stipula del contratto verrà autorizzata dal giudice delegato. 

 

Programma di liquidazione

Una assoluta novità (secondo l’espressione letterale usata nella relazione ministeriale di accompagnamento del D.lgs. 5/06) è costituita dalla previsione dell’articolo 104ter, introdotto proprio dal decreto legislativo del 2006, che impone al curatore di predisporre un programma di liquidazione da sottoporre all’approvazione del giudice delegato dopo aver acquisito il parere favorevole del comitato dei creditori.

Il decreto legislativo 169/07 dispone che  il programma di liquidazione debba essere sottoposto all’approvazione del comitato dei creditori.

Sopprime invece la disposizione dell’articolo 104ter che vuole che l’approvazione del programma di liquidazione tenga luogo delle singole autorizzazioni eventualmente necessarie per l’adozione di atti ivi previsti, mentre introduce quella che prevede che il programma approvato venga comunicato al giudice delegato, che autorizza l’esecuzione degli atti allo stesso conformi.

Ora il ruolo del comitato dei creditori è rafforzato, in quanto esercita il proprio potere di esprimere un parere vincolante su quello che è un atto di gestione, dovendo valutare nel merito l’opportunità e la convenienza delle scelte del curatore e potendo anche proporre modifiche al programma. 

Il curatore può essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare ad altri professionisti alcune incombenze della procedura di liquidazione dell’attivo.

Prima dell’approvazione del piano, il curatore può procedere alla liquidazione dei beni, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, solo se dal ritardo può derivare pregiudizio all’interesse dei creditori. Necessita invece dell’approvazione del comitato dei creditori (e non del giudice delegato) per

non acquisire all’attivo o per rinunciare a liquidare uno o più beni, se l’attività di

liquidazione appaia manifestamente non conveniente.

 

Cessione azienda, crediti ed immobili

La Fondazione Luca Pacioli sottolinea come il curatore abbia completa autonomia di gestione nella fase di vendita dell’azienda (sia nel suo complesso, che per rami o per singoli rapporti, ove tale formula consenta una maggiore soddisfazione dei creditori) ed in quella di cessione dei crediti, dei diritti e delle quote, delle azioni e della stipula di contratti di mandato a riscuotere i crediti.

Il curatore può, anche, procedere anche alla vendita di beni immobili, seguendo la procedura delineata dall’articolo 107 l. fallimentare.

Da un punto di vista operativo, quando il curatore si occupi direttamente della vendita, una volta completate le relative operazioni ed individuato il compratore ed il prezzo che quest’ultimo intende pagare, deve  informare il giudice delegato ed il comitato dei creditori (depositando in  cancelleria la relativa documentazione) prima di dare corso al trasferimento del bene.

Il correttivo inoltre uniforma il regime dei beni iscritti nei pubblici registri a quello della vendita di beni immobili. Una volta introdotta la possibilità di vendita a trattativa privata per gli immobili, non è infatti giustificabile un diverso regime per i beni mobili registrati.

Il giudice delegato può esercitare il proprio potere di vigilanza sospendendo le operazioni di vendita o impedendo il perfezionamento della vendita quando ricorrano gravi e giustificati motivi , di fatto esercitando un potere di veto finale ma deve, in ogni caso, acquisire il parere del comitato dei creditori.

Sia per i beni immobili che per gli altri beni iscritti nei pubblici registri, una volta eseguita la vendita e riscosso l’intero prezzo, il giudice delegato ordina, con decreto, la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo.

E’, tuttavia, il giudice delegato che provvede alla distribuzione della somma ricavata

 

La fase di ripartizione dell’attivo

Ogni quattro mesi, decorrenti dalla data del decreto con cui viene dichiarata l’esecutività dello stato passivo, o nel diverso termine stabilito dal giudice delegato, il curatore presenta un prospetto delle somme disponibili ed un progetto di ripartizione delle medesime, riservate quelle occorrenti per la procedura.

Al riguardo, il documento in commento fa presente che il correttivo aggiunge al primo comma dell’articolo in esame il seguente: <<…nel progetto sono collocati anche i crediti per i quali non si applica il divieto di azioni esecutive e cautelari di cui all’art. 51…>>.

Con tale aggiunta il legislatore chiarisce che i crediti esentati dal divieto di azioni

esecutive e cautelari non sono però esentati dal concorso sostanziale.

Conseguentemente, al pari di tutti gli altri crediti, devono essere ammessi al passivo

e poi devono essere collocati nei piani di riparto.

In questo modo sarà possibile trattenere definitivamente quanto ricavato dall’espropriazione singolarmente compiuta.

Il giudice ordina il deposito del progetto di ripartizione e dispone che ne sia data comunicazione ai creditori. L’articolo 110 l. fall. prevede espressamente che il giudice delegato ordini il deposito del detto progetto dopo aver sentito il comitato dei creditori. Il correttivo del 2007 sopprime l’inciso <<sentito il comitato dei creditori>> dal secondo comma; ciò in quanto il provvedimento con cui il giudice ordina al curatore il deposito del progetto di ripartizione in cancelleria non richiede il preventivo parere del comitato dei creditori. I singoli creditori potranno prendere visione del progetto ed, eventualmente, proporre reclamo.

Il correttivo ancora prevede che il reclamo contro il progetto di riparto va proposto al giudice delegato, visto che il progetto è un atto del curatore.

Il decreto del giudice delegato che pronuncia sul reclamo, sarà a sua volta reclamabile dinanzi al tribunale ai sensi dell’art. 26 l. fallimentare; contro il decreto del tribunale sarà possibile ricorrere in Cassazione ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione. 

Decorso il termine di quindici giorni dalla ricezione della raccomandata -entro il quale i creditori possono proporre reclamo contro il progetto di riparto- il giudice delegato su richiesta del curatore lo dichiara esecutivo.

Prima della riforma del 2006 il piano di riparto era un atto del giudice delegato,

emesso all’esito di un procedimento che si componeva delle seguenti fasi:

*      presentazione di un prospetto delle somme disponibili e di un progetto di riparto

*      delle stesse;

*      acquisizione del parere del comitato dei creditori;

*      esame del progetto da parte del giudice delegato (il quale poteva apportarvi le variazioni ritenute convenienti e ne disponeva il deposito in cancelleria);

*      acquisizione delle eventuali osservazioni da parte dei creditori;

*      emanazione del decreto di esecutività del piano.

Il legislatore del 2006 ha semplificato questo procedimento.  Il giudice delegato deve ora limitarsi a recepire il piano di riparto, ordinarne il deposito in cancelleria e disporre che tutti i creditori ne siano avvisati.

Solo il tribunale può modificarne il contenuto. Nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza il giudice delegato può sollecitare il curatore a modificare il piano di riparto, ma non può imporre il suo diverso punto di vista (al massimo può chiedere la revoca del curatore, adducendo il contrasto insanabile sul  punto).

Il giudice delegato (alternativamente al comitato dei creditori) ha il potere di autorizzare il curatore a soddisfare i crediti prededucibili sorti nel corso del fallimento che siano liquidi, esigibili e non contestati per collocazione ed ammontare ( se l’attivo è presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti) al di fuori del procedimento di riparto. Con la riforma del 2006 è stato previsto che è necessaria la detta autorizzazione qualora l’ammontare dei detti crediti sia superiore ad Euro 25.000.

Nelle ripartizioni parziali, che cioè non possono superare l’ottanta per cento delle somme da ripartire, il giudice delegato ha il potere di stabilire i modi per trattenere e depositare le quote assegnate<.

–ai creditori ammessi con riserva;

–ai creditori opponenti a favore dei quali sono state disposte misure cautelari;

–ai creditori opponenti la cui domanda è stata accolta ma la sentenza non è passata

in giudicato.

Il giudice delegato ha anche il potere di stabilire i modi in cui devono essere trattenute e depositate le somme ricevute dalla procedura per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato.

Su istanza del curatore o della parte interessata il giudice delegato modifica lo stato passivo formato secondo la procedura dell’articolo 96 l. fallimentare quando si verifica l’evento che ha determinato l’accoglimento di una domanda con riserva. Il giudice delegato stabilisce i modi con cui il curatore provvede al pagamento delle somme assegnate ai creditori nel piano di ripartizione, purché, in ogni caso, individui unicamente modalità che garantiscano la prova del pagamento stesso.

Una volta compiuta la liquidazione dell’attivo e prima del riparto finale, nonché in ogni caso in cui cessa dalle funzioni, il curatore presenta al giudice delegato l’esposizione analitica delle operazioni contabili e della attività di gestione della procedura.

Prima della riforma del 2006 il giudice delegato poteva compiere una valutazione sostanziale e di merito della completezza del rendiconto e poteva imporre al curato-

re eventuali integrazioni o correzioni.

Ora, venuto meno il suo potere di direzione, deve limitarsi ad ordinare il deposito in cancelleria del piano di riparto, senza poter compiere alcun controllo nel merito.

Il giudice delegato fissa con decreto l’udienza nella quale, se non vi sono contestazioni, approva il rendiconto con decreto, altrimenti fissa l’udienza davanti al collegio per lo svolgimento della fase contenziosa del giudizio di rendiconto.

Ha inoltre il potere di ordinare il riparto finale, sentite le proposte del curatore.

Infine, il giudice, anche se è intervenuta l’esdebitazione del fallito, omessa ogni altra

formalità non essenziale al contraddittorio, su ricorso dei creditori rimasti insoddisfatti, dispone che il curatore curi la distribuzione delle somme non riscosse fra i soli

richiedenti.

 

La fase di chiusura della procedura fallimentare

Con la chiusura del fallimento decadono gli organi del fallimento e cessano gli effetti

del fallimento sul patrimonio del fallito.

Il decreto legislativo 169/07 modifica il primo comma dell’articolo 120 l. fallimentare, disponendo che quando si chiude il fallimento cessa anche l’incapacità personale del fallito stesso.

Qualora il fallimento venga riaperto, con la sentenza emessa in camera di consiglio con cui viene disposta la riapertura il tribunale richiama in ufficio il giudice delegato ed il curatore o li nomina di nuovo, mentre il giudice delegato nomina il comitato dei creditori

 

Il concordato

Anche le disposizioni relative al concordato sono state novellate in base allo stesso criterio che vuole affievolito il ruolo del giudice delegato a fronte di una maggiore autonomia riconosciuta al curatore.

La proposta di concordato – ricorda la Fondazione Luca Pacioli – può essere presentata anche prima del decreto con cui viene reso esecutivo lo stato passivo, purché i dati contabili e le altre notizie disponibili consentano al curatore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori del fallito da sottoporre all’approvazione del giudice delegato.

Il decreto legislativo 169/07 è intervenuto sulla norma dell’articolo 124 l. fallimentare, in particolare elencando i soggetti legittimati a presentare la proposta di concordato (solo

in presenza di determinate condizioni puntualmente prescritte dal legislatore) da

sottoporre all’approvazione del giudice delegato:

–il fallito,

–uno o più creditori

–un terzo.

Il D.lgs. 169/07 ha peraltro apportato modifiche anche al successivo articolo 125 l.

fallimentare, andando ad incidere sul ruolo del giudice delegato, il quale cede al comitato dei creditori il potere di valutare nel merito la proposta di concordato e conserva unicamente quello di chiedere al curatore il parere circa i presumibili risultati della liquidazione e della portata delle garanzie offerte e di deliberare sulla ritualità della proposta. 

Il giudice delegato con decreto fissa un termine non inferiore a venti giorni né superiore a trenta entro il quale i creditori devono far pervenire nella cancelleria del tribunale eventuali dichiarazioni di dissenso.

Se la proposta è presentata prima del decreto di esecutività dello stato passivo, hanno diritto al voto solo i creditori presenti nel suddetto elenco.

La novella del 2006 ed il correttivo del 2007 hanno modificato sostanzialmente anche

il giudizio di omologazione, condizionando i ruoli del curatore e del giudice delegato.

 

Certificazione della votazione dei creditori

Il curatore certifica l’esito della votazione dei creditori per l’approvazione del con-

cordato. Infatti presenta al giudice delegato una relazione sull’esito della votazione (tale relazione non era invece prevista prima della novella del 2006, quando il giudice delegato si attivava autonomamente, a seconda dei casi chiudendo il procedimento o dando avvio al giudizio di omologazione).

Il decreto legislativo 169/07 ha modificato l’articolo 129 l. fallimentare prevedendo che se la proposta di concordato viene approvata, il giudice delegato dispone che il curatore dia immediata comunicazione:

–al preponente perché possa chiederne l’omologazione;

–al fallito e ai creditori dissenzienti.

Con decreto che deve essere annotato presso il registro delle imprese ove l’imprenditore ha la sede legale (o anche presso quello in cui l’imprenditore ha la sede effettiva, se questa è diversa da quella legale), il giudice delegato fissa un termine non inferiore a 15 giorni e non superiore a 30 giorni:

–per la proposizione di eventuali opposizioni, anche da parte di qualsiasi altro interessato;

–per il deposito da parte del comitato dei creditori di una relazione motivata col

suo parere definitivo. La disposizione dell’articolo 129 prima del correttivo prevedeva che la relazione in questione fosse invece redatta dal curatore. La competenza a redigerla torna del curatore ove non lo faccia il comitato dei creditori. In tal caso, il curatore deve provvedere nei sette giorni successivi alla scadenza del ter-

mine fissato dal giudice.

La modifica apportata dal correttivo del 2007 circa la attuale competenza del comitato dei creditori a redigere la relazione motivata si giustifica considerando che è questo l’organo della procedura ad esprimere il parere favorevole sulla proposta di concordato (nella nuova versione dell’articolo 125 l. fallimentare, modificata dal decreto legislativo 169/07).

 

Materie riservate al giudice delegato

Al giudice delegato vengono riservate le fasi preliminari del procedimento di omologazione, quando riceve la relazione del curatore sull’avvenuta approvazione del concordato. Contestualmente, il giudice delegato fissa il termine per le eventuali opposizioni.

A questo punto, l’attività del giudice delegato può considerarsi conclusa, in quanto il giudizio di omologazione è affidato al tribunale.

In mancanza di un riferimento esplicito la Fondazione Luca Pacioli sostiene che se il curatore non presenta la propria relazione scritta al giudice delegato (entro i sette giorni successivi alla scadenza del termine fissato per la presentazione della relazione da parte del comitato dei creditori, senza che la relazione sia stata depositata), quest’ultimo possa revocarlo ove il primo sia incorso in gravi inadempienze o responsabilità.

Dopo la omologazione del concordato, il giudice delegato, il curatore ed il comitato

dei creditori ne sorvegliano l’adempimento (la liquidazione dei beni ed il pagamento della percentuale concordataria) secondo le modalità previste nel decreto di omologazione.

Se la sentenza di omologazione ha conferito al giudice delegato il potere di stabilire

le modalità di pagamento, il curatore ed il comitato dei creditori non possono interferire.

 

Il fallimento delle società

Il curatore può esercitare azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali, i liquidatori e i soci di società a responsabilità limitata, previa autorizzazione del giudice delegato.

Nel caso di fallimento di società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III del titolo V del libro quinto del codice civile, il tribunale nomina sia per il fallimento della società che per quello dei soci, un unico giudice delegato ed un solo curatore, anche se le procedure rimangono distinte.

Nel fallimento delle società a responsabilità limitata il giudice delegato può, su proposta del curatore, ingiungere con decreto ai soci a responsabilità limitata e ai precedenti titolari delle quote o delle azioni di eseguire i versamenti non ancora dovuti, quantunque non sia scaduto il termine stabilito per il pagamento.

Può accadere, tuttavia, che il giudice non assecondi la proposta del curatore e che questi richieda stragiudizialmente i versamenti ancora dovuti o instauri un giudizio a cognizione piena o sommaria.

Nei fallimenti di società a responsabilità limitata il giudice delegato può autorizzare

il curatore ad escutere la polizza assicurativa o la fideiussione rilasciata ai sensi dell’articolo 2464, quarto e sesto comma, c.c. Il legislatore non richiede alcuna specifica istanza, ma secondo autorevole dottrina si deve ritenere che in difetto il giudice delegato non possa esercitare tale potere d’ufficio.

Se a seguito del fallimento della società o nel corso della gestione il curatore rileva che il patrimonio destinato è incapiente, provvede, previa autorizzazione del giudice delegato, alla sua liquidazione secondo le regole della liquidazione delle società in quanto compatibili.

La chiusura del fallimento di una società determina anche la chiusura del fallimento dei soci.

In ogni caso, il decreto legislativo 169/07 prevede che la chiusura del fallimento della società produce anche la chiusura del fallimento dei soci solo ove ricorrano i presupposti di cui ai nn. 1) e 2) dell’articolo 118 l. fallimentare, ossia:

–o quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungano l’intero ammontare dei crediti ammessi, o questi siano in altro modo estinti e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione.

Il legislatore del 2007 mira a limitare l’automatica chiusura dei fallimenti dei soci illimitatamente responsabili in conseguenza della chiusura del fallimento della società

ai soli casi in cui non vi sono debiti sociali (in tal caso, infatti, non si giustifica la prosecuzione dei fallimenti dei soci, aperti allo scopo di attuare secondo le regole del

concorso la loro responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali di cui i soci debbono rispondere).

In ogni caso, la chiusura del fallimento di una società non determina anche la chiusura del fallimento di un socio imprenditore individuale nei cui confronti penda una autonoma procedura fallimentare.

La chiusura viene pronunciata con decreto motivato del tribunale su istanza del curatore fallimentare o del debitore, o anche d’ufficio.

Il curatore dovrà chiedere la cancellazione dal registro delle imprese nel caso di chiusura del fallimento di una società avvenuta per i seguenti motivi:

–quando è compiuta la ripartizione finale dell’attivo (art. 118, comma 1, n. 3);

–quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura. Tale circostanza può essere verificata con la relazione o con i successivi rapporti riepilogativi di cui all’art. 33.

 

Attilio Romano

26 Gennaio 2007



NOTE

(1) Cui sono assimilati il contratto di locazione finanziaria, quello di vendita a consegne ripartite e quello di somministrazione

(2) Secondo la dottrina, la decisione del giudice delegato di accoglimento delle eccezioni di compensazione, di rescissione o di revocatoria formulate dal curatore nonostante l’avvenuta prescrizione della relativa azione, ha efficacia solo endofallimentare.  Ne consegue che, una volta chiuso il fallimento, se il creditore che aveva presentato istanza di insinuazione al passivo e nei confronti del quale il curatore aveva eccepito un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del suo diritto, riproponga la propria pretesa creditoria in via ordinaria nei confronti del debitore fallito tornato in bonis, quest’ultimo non potrebbe invocare nuovamente le dette eccezioni.