Affrontare una malattia oncologica significa spesso dover ripensare anche il proprio rapporto con il lavoro. Il sistema delle tutele per i lavoratori colpiti da patologie gravi è articolato e in continua evoluzione, tra diritti alla conservazione del posto, part time, aspettativa, congedi e permessi. Un percorso complesso che merita di essere conosciuto.
Malattia oncologica e lavoro: il quadro delle tutele per il lavoratore fragile
La diagnosi di una patologia oncologica rappresenta indubbiamente uno degli eventi più traumatici nella vita di una persona, con ripercussioni che inevitabilmente si riflettono anche sull’ambito lavorativo. Il nostro ordinamento, conscio della peculiare condizione di fragilità del malato oncologico, ha predisposto nel corso degli anni un articolato sistema di tutele volto a garantire il contemperamento tra il diritto fondamentale alla salute e la conservazione del posto di lavoro.
La protezione del lavoratore in malattia
Il fondamento costituzionale di questa protezione risiede nell’art. 32 della Costituzione, che definisce la salute come “diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività”. Tale principio trova poi concreta attuazione in una serie di disposizioni normative di rango primario e secondario, nonché nella contrattazione collettiva, che insieme delineano un sistema di garanzie a favore del lavoratore affetto da patologie gravi come quelle oncologiche.
Il caposaldo della tutela del lavoratore malato è rappresentato dall’art. 2110 del Codice Civile, che sancisce il diritto alla conservazione del posto di lavoro durante il periodo di malattia, entro un limite temporale denominato periodo di comporto. Tale norma rappresenta una deroga al principio generale secondo cui l’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa costituirebbe causa di risoluzione del contratto di lavoro.
La ratio di questa disposizione risiede nella necessità di tutelare il lavoratore nel momento di maggiore vulnerabilità, garantendogli la sicurezza economica necessaria per affrontare la malattia senza l’ulteriore preoccupazione di perdere la fonte di sostentamento. Al contempo, la norma tiene in considerazione anche l’interesse del datore di lavoro a non dover sopportare indefinitamente l’onere derivante da un rapporto caratterizzato da assenze prolungate o frequenti.
Il periodo di comporto
Il periodo di comporto non è determinato direttamente dalla legge, ma viene demandato alla contrattazione collettiva, la quale ne definisce l’estensione e le modalità di calcolo. In assenza di previsioni contrattuali, sarà il giudice a determinarne la durata secondo equità.
La contrattazione collettiva, nell’esercizio di questa prerogativa, ha elaborato diverse tipologie di comporto, ciascuna rispondente a specifiche esigenze:
il comporto secco, che prevede un termine fisso di conservazione del posto in caso di un’unica malattia continuativa. Questa tipologia risulta particolarmente adeguata per malattie di lunga durata come quelle oncologiche;
il comporto per sommatoria o frazionato, che stabilisce un limite massimo