Quale sorte per l’eredità digitale?

Siamo davvero padroni della nostra identità digitale? Nell’era della Ipnocrazia, in cui la tecnologia modella la realtà, emerge un tema tanto attuale quanto trascurato: cosa succede ai nostri dati dopo la morte? L’eredità digitale è un nuovo confine da conoscere e pianificare con consapevolezza. Partendo dai consigli del Notariato, ecco alcuni suggerimenti…

Articolo tratto da Blast – Quotidiano di Diritto Economia Fisco e Tecnologia, direttore Dario Deotto

Il filosofo Janwei Xun sostiene che ci troviamo nell’epoca della Ipnocrazia, in cui le piattaforme digitali e i leader tecnologici influenzano la percezione della realtà e mirano al controllo sociale.

Sebbene ciò stimoli una riflessione approfondita sul nostro rapporto con la tecnologia, nondimeno è utile interrogarsi su come desideriamo che la nostra presenza digitale venga gestita dopo la nostra scomparsa.​

 

Eredità digitale: consigli dal notariato

Il Decalogo pubblicato nei giorni scorsi dal Consiglio Nazionale del Notariato evidenzia l’importanza di una corretta pianificazione della successione digitale, al fine di evitare la perdita di dati importanti e garantire il rispetto delle volontà del defunto.

Gli ultimi decenni hanno determinato una grande trasformazione nella composizione del patrimonio personale, oggi composto oltre che da beni fisici anche da beni immateriali (le new properties). L’impianto del codice civile del 1942 è divenuto obsoleto e le sue disposizioni richiedono uno sforzo interpretativo notevole al fine di individuare le regole applicabili alla successione del patrimonio digitale.

Dati, account social, criptovalute, abbonamenti a servizi online, posta elettronica, conti correnti online, servizi di pagamento quali PayPal, rappresentano risorse che possono avere un valore economico, affettivo e giuridico.

Quali regole applicare in caso di morte del titolare è questione complicata, tanto più che la controparte dei contratti che legano il titolare al proprio mondo digitale è (di regola) di nazionalità straniera e i contratti stessi sono regolati da una legge straniera. Ciò può rendere il recupero delle informazioni ancora più difficoltoso.

Ad oggi, né in Italia né a livello europeo esiste una normativa chiara e univoca sull’eredità digitale. Questo vuoto legislativo può tradursi in complesse battaglie legali per gli eredi, costretti a dimostrare il loro diritto di accesso ai dati del defunto.

Le leggi che disciplinano la sorte dell’eredità digitale sono in continua evoluzione e variano notevolmente da Paese a Paese.

 

Cosa accade all’estero?

Negli Stati Uniti, non esiste una normativa federale univoca, ma molti Stati hanno adottato il Revised Uniform Fiduciary Access to Digital Assets Act (RUFADAA), il quale stabilisce che gli eredi possono accedere agli account digitali solo se il defunto ha lasciato disposizioni esplicite in un testamento o in strumenti simili.

Il Canada segue un approccio simile agli Stati Uniti, con alcune province che hanno implementato leggi basate sul RUFADAA. Tuttavia, la gestione dell’eredità digitale rimane fortemente influenzata dai termini di servizio delle piattaforme online.

In Germania, la Corte Federale di Giustizia (BGH) ha stabilito nel 2018 che gli eredi hanno diritto ad accedere agli account digitali del defunto, equiparandoli a qualsiasi altro bene patrimoniale (il caso riguardava un account Facebook).

In Francia, la Legge per una Repubblica Digitale (Loi pour une République Numérique, 2016) consente agli utenti di decidere il destino dei propri dati digitali dopo la morte, ma, in assenza di istruzioni esplicite, le piattaforme online possono rifiutare l’accesso agli eredi.

Nel Regno Unito non vi è una normativa specifica e l’accesso ai dati digitali è regolato dai termini di servizio delle piattaforme online, che possono limitare l’accesso degli eredi. Il diritto successorio britannico consente di includere nei testamenti disposizioni relative ai beni digitali, purché esistano mezzi per accedervi legalmente.

Le complicazioni, come si diceva, dipendono dall’intersecarsi di normative diverse: la legge applicabile alla successione (determinata dalle norme nazionali e, per l’UE, dal Regolamento (UE) 650/2012); la legge che regola i contratti con i fornitori di servizi online (che quasi sempre è la legge dello Stato in cui ha sede il fornitore del servizio).

 

Cosa potrebbe accadere(ci)?

Il regolamento (UE) 650/2012 stabilisce che la legge applicabile alla successione è di regola quella dell’ultima residenza abituale del defunto, salvo diversa scelta in favore della legge della cittadinanza, ma non contiene disposizioni specifiche in ordine alla determinazione della legge applicabile alla successione nei beni digitali.

In assenza di norme specifiche, gli eredi si trovano di fronte a due possibili scenari:

  • se il bene digitale ha valore patrimoniale (es. criptovalute, conti bancari online, royalties da piattaforme digitali), si applicherà la lex successionis;
  • se il bene digitale non ha valore patrimoniale si applicherà la lex contractus, per cui – ad esempio – se un utente europeo ha un account su una piattaforma americana, la sorte dell’account dopo la morte del titolare dipenderà dalle clausole contrattuali.

Alcuni servizi online (es. Google e Facebook) consentono agli utenti di designare in vita un “contatto erede o un “legacy contact”, bypassando il problema. Il contatto erede può gestire l’account, ma non può accedere ai messaggi privati. In mancanza di scelta l’account può diventare “commemorativo”.

Google, inoltre, prevede la possibilità di optare per il “Gestore Account Inattivo”, che consente di stabilire la sorte dei propri dati dopo un certo periodo di inattività.

X e altre piattaforme non prevedono la trasmissibilità degli account e tendono a chiuderli alla morte dell’utente.

 

La pianificazione della successione digitale

La pianificazione della successione nei propri dati digitali è oggi divenuta molto rilevante, perché vi è il rischio che tali dati vengano cancellati o restino inaccessibili, con conseguenze potenzialmente disastrose, soprattutto se si tratta di risorse economiche come criptovalute o conti PayPal.

Il decalogo elaborato dal Notariato, con tutti i limiti del caso concreto, offre talune soluzioni.

Si chiarisce anzitutto che le password non fanno parte dell’asse ereditario ma nondimeno sono fondamentali per la gestione dei propri dati digitali. La loro mancata gestione può generare controversie e rendere irrecuperabili i dati. Anche se si conoscono le credenziali del defunto, non è lecito accedere ai suoi account se il contratto con il provider lo vieta. Le piattaforme possono chiudere gli account o rifiutare l’accesso agli eredi.

Lo strumento negoziale principale da utilizzare a tal fine è il mandato post mortem, con cui è possibile affidare a una persona di fiducia la gestione dei propri dati digitali dandogli istruzioni precise (cancellazione, trasferimento, accesso ai file personali).

Per i beni digitali aventi valore patrimoniale il mezzo più sicuro per la loro destinazione post mortem rimane il testamento. Le giacenze dei conti bancari online – ad esempio – sono sicuramente trasmissibili agli eredi o legatari e vanno anche dichiarati al fisco. Un po’ più complicata è la sorte delle criptovalute, che sebbene possano essere ereditate, richiedono le chiavi private dei wallet digitali, altrimenti il loro recupero è impossibile.

Taluni beni digitali, infine, non sono trasmissibili e si estinguono con la morte del titolare (Netflix, Spotify, Microsoft 365, firme elettroniche e identità digitali quali SPID, PEC, eIDAS etc.).

A cura di Daniele Muritano

 

 

Daniele Muritano per BLAST

Martedì 25 Marzo 2025