Con la legge che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze, datata 2016, è stato riempito un vuoto normativo sui conviventi di fatto.
Alcune norme regolatrici sono specifiche, altre sono prese a prestito dalla normativa più attempata sulle persone unite da vincolo matrimoniale.
La L. 20 maggio 2016, n. 76 – entrata in vigore il 6 giugno 2016 – regola sia le unioni civili (l’art. 1, commi 2 e 3, definiscono un’unione civile quella tra due persone maggiorenni dello stesso sesso, mediante dichiarazione rilasciata di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni.
Quest’ultimo è tenuto a registrare gli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio dello stato civile) che i conviventi di fatto i quali, nel linguaggio giuridico, sono chiamate coppie more uxorio.
Queste ultime trovano regolamentazione giuridica nei commi da 36 a 65, della predetta L. n. 76/2016 (di seguito, si indicheranno i commi per far riferimento all’art. 1, della ridetta L. n. 76/2016).
Cosa si intende per “conviventi di fatto”?
“Sono due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile” (comma 36).
Il successivo comma 37, ai fini dell’accertamento della stabile convivenza, fa riferimento alla dichiarazione anagrafica [art. 4 (Famiglia angrafica) e art. 13, comma 1, lett. b) (costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza), del regolamento di cui al D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223].
Sull’argomento, la giurisprudenza di merito si è così espressa:
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Tribunale di Verona, con decreto del 2 dicembre 2016
Ritiene che la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova della stabile convivenza all’esterno, che si aggiunge al presupposto fattuale dell’unione fondata su legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale.
Tanto premesso, a partire dal 6 giugno 2016 (data di entrata in vigore della L. n. 76/2016), il perfezionamento delle notifiche richiede, oltre al riferimento da parte dell’Ufficiale Giudiziario al rapporto di convivenza, che la “stabile convivenza” risulti dalla dichiarazione anagrafica prevista dall’art. 1, comma 37;
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Tribunale di Milano, sez. IX, con l’ordinanza del 31 maggio 2016
Ritiene che, in considerazione del fatto che la convivenza presenta una natura “fattuale”, in quanto trattasi di una formazione sociale non manifestata dai componenti attraverso un vincolo civile formale, la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non rappresenta un suo elemento costitutivo.
Questo si ricava dal fatto che il Legislatore, nella definizione dei conviventi, non ha individuato degli adempimenti formali:“si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale ……..”.
In altri termini, il convivere è un “fatto” importante, da un punto di vista giuridico, dal quale scaturiscono effetti giuridici che la L. n. 76/2016 regolamenta.
Infatti, la dichiarazione anagrafica è richiesta dalla legge “per l’accertamento della stabile convivenza” (cioè della prova), quanto a dire per la verifica di uno dei requisiti costitutivi ma non anche per verificarne l’effettiva esistenza fattuale;
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Tribunale di Milano, sez. IX, ordinanza del 31 maggio 2016
E’ stato rilevato che, in riferimento alla prova della convivenza di fatto, il fatto stesso che i conviventi abbiano avuto figli è sintomo di un habitat familiare costituitosi senza vincolo matrimoniale.
La prova della convivenza può essere attestata, inoltre, dal certificato anagrafico che attesta lo stato di famiglia.
Il regolamento dei rapporti patrimoniali tra i conviventi di fatto
I conviventi di fatto possono regolare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza (comma 50).
Premesso che questa dichiarazione consentirà alla coppia di fare richiesta del certificato di stato di famiglia, ogni variazione del contratto, inclusa la sua risoluzione, può essere modificata con la stessa precedente procedura, ovvero redigendo un nuovo contratto di convivenza.
E’ evidente che, nel caso di risoluzione del contratto di convivenza, l’atto da redigere fisserà le condizioni di detta risoluzione che, salvo il ricorso al giudice, come si accerterà di seguito.
Come deve redigersi il contratto di convivenza?
Il contratto in parola, così come le eventuali sue modifiche, deve essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che certificano la sua conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico (comma 51).
In capo al professionista, che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione, grava l’obbligo, entro i successivi dieci giorni, di inviare copia dell’atto redatto al comune di residenza dei conviventi perché sia iscritto all’anagrafe, in base agli artt. 5 (agli effetti anagrafici per convivenza s’intende un insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di ……., aventi dimora abituale nello stesso comune) e 7 (l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente viene effettuata: …..), dell’anticipato regolamento di cui al D.P.R. n. 223/1989.
Quanto sopra, ai fini dell’opponibilità ai terzi (comma 52).
Premesso che il contratto in esame deve riportare l’informazione in ordine all’indirizzo indicato da ciascuna parte al quale devono recapitarsi le comunicazioni inerenti al contratto medesimo, il contratto di convivenza può avere il seguente contenuto (Comma 53):
- l’indicazione del luogo dove i conviventi intendono fissare la loro residenza;
- le modalità di contribuzione alle esigenze della vita in comune, con riferimento al patrimonio di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
- il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III, del capo VI, del titolo VI, del libro primo, del codice civile (Artt. da 177 a 197 c.c.).
Secondo il Tribunale di Modena, sez. I, decreto del 7 febbraio 2020 (conforme l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 3 febbraio 2020), anche lo straniero ha diritto all’ingresso in Italia e al ricongiungimento con il partner italiano, qualora abbia con questi una stabile relazione, non registrata, ma debitamente attestata da documentazione ufficiale.
Quindi, ha valenza ufficiale l’accordo di convivenza sottoscritto dallo straniero e dal partner italiano dinnanzi all’avvocato (o al notaio), in base all’art. 1, commi 50 e 51, della L. n. 76/2016, con disposizione di iscrizione anagrafica del partner straniero, privo di autonomo titolo di soggiorno, ai fini del mantenimento dell’unità familiare.
Cosa non deve contenere il contratto di convivenza: l’indicazione di un termine o di una condizione per la sua vigenza.
Se le parti dovessero inserire termini o condizioni, questi si hanno per non apposti (comma 56).
Lo stesso contratto è affetto da nullità insanabile che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, qualora sia stato concluso nei seguenti termini (comma 57):
- in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di un altro contratto di convivenza;
- in violazione del comma 36 (si veda sopra, in merito alla definizione di “conviventi di fatto”);
- da persona minore di età;
- da persona interdetta giudizialmente;
- in caso di condanna per il delitto di cui all’art. 88 c.c. (non possono contrarre matrimonio tra loro le persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra).
La risoluzione del contratto di convivenza
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