L’accertamento induttivo puro è, forse, quello più pericoloso per il contribuente in quanto il Fisco può prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili formalmente rappresentate per determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari.
La Cassazione ci ricorda che, comunque, nella ricostruzione dei ricavi col metodo induttivo puro bisogna anche tenere conto dei costi prevedibilmente sostenuti dal contribuente per produrli.
Sovente gli accertamenti degli uffici dell’Agenzia delle Entrate si basano su procedimenti di carattere presuntivo; spiccano tra questi l’accertamento analitico-induttivo e l’accertamento induttivo puro.
Accertamento analitico-induttivo
I primi trovano ragione nell’art. 39, comma 1, lett. d), ultimo periodo, del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54, comma 2, ultimo periodo, del D.P.R. n. 633/1972, secondo cui è possibile desumere l’esistenza di attività non dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (c.d. presunzioni qualificate); esempi tipici di accertamenti di questo tipo sono i cosiddetti “tovagliometri” o “bottigliometri” , ove i contenuti delle scritture contabili sono riconosciuti validi solo in parte e la ricostruzione induttiva del reddito viene effettuata sulla base delle predette presunzioni semplici.
Diversamente, l’accertamento induttivo puro di cui all’art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 55 del D.P.R. n. 633/1972 è un metodo cui l’Amministrazione Finanziaria fa ricorso quando le irregolarità nella contabilità risultano talmente tante e gravi da comportarne la totale inattendibilità.
In tale ipotesi, l’accertamento induttivo dell’Ufficio può, pertanto, fondarsi anche su presunzioni cosiddetti ipersemplici, ovvero sprovviste dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, anche prescindendo totalmente dalle scritture contabili stesse, che, pr