In un contesto in cui il legislatore tributario è sempre più impreciso ed oscuro, le circolari interpretative dell’Agenzia delle entrate assumono una notevole rilevanza pratica. Il presente articolo ne ripercorre l’origine e lo sviluppo, ne individua la classificazione e la collocazione nell’ordinamento giuridico.
Viene quindi esaminata una sentenza della Corte di Cassazione con cui è stato affermato che le circolari dell’Amministrazione non rientrano tra le fonti del diritto e, di conseguenza, non possono contenere disposizioni volte ad incidere direttamente nella sfera giuridica del contribuente. Alle circolari viene pertanto attribuita la natura di norme interne, non vincolanti e non impugnabili.
Le Circolari dell’Agenzia Entrate e l’attuale contesto
Sempre più frequentemente l’Agenzia Entrate emana documenti di prassi (circolari, risoluzioni, risposte ad interpello, FAQ) al fine di fornire un valido supporto ai contribuenti per ciò che riguarda l’interpretazione di questioni caratterizzate da un alto grado di tecnicismo o di norme formulate in maniera oscura dal legislatore tributario.
La fabbrica della legge fiscale è infatti costantemente all’opera, con la conseguenza di una iperproduzione di norme tributarie, spesso settoriali e formulate senza attenzione per il loro armonico inserimento nel corpo legislativo vigente.
Tra i documenti interpretativi dell’Amministrazione finanziaria con cui si cerca di portare chiarezza in situazioni di incertezza da ipernomia o tecnicismo, le circolari spiccano per diffusione ed autorevolezza [1].
Tanto che in dottrina si afferma che:
“nella fiscalità italica si registra la supremazia della prassi sula normatività giuridica” [2].
La Corte di Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 23031/2007, recentemente confermata dall’ordinanza n. 27035/2020, ha affermato la totale mancanza di vincolatività delle circolari interpretative, in quanto non rientrano tra le fonti del diritto.
Le circolari costituiscono quindi senza dubbio un valido strumento di supporto per il contribuente, il quale resterà però sempre libero di discostarsi da quanto sostenuto dall’Amministrazione.
Ovviamente tale comportamento potrebbe avere come effetto una verifica fiscale ed il conseguente insorgere di contenzioso.
Le circolari: origine, nozione e sviluppo
Il termine “circolare” proviene dalla tecnica militare: è un’abbreviazione di “ordine circolare”, con cui si indicava la modalità con cui gli ordini imperativi impartiti dai comandanti militari venivano portati a conoscenza degli ufficiali sottordinati.
Per garantirne una veloce circolazione, tali ordini venivano affidati a messi con il compito di farli “circolare” il più velocemente possibile.
Se l’ordine era rappresentato documentalmente, gli ufficiali riceventi potevano anche, con la firma, dichiarare di averne presa visione o di averne ricevuta copia[3].
Questa tecnica di trasmissione delle istruzioni da un ufficio gerarchicamente sovraordinato a quelli da esso dipendenti si diffuse in età moderna anche nelle amministrazioni civili, mantenendo la denominazione
Le moderne amministrazioni complesse erano infatti ispirate all’organizzazione militare ed erano articolate secondo linee gerarchiche.
Nello stato di polizia (XVII-XVIII secolo) un organo sovraordinato (vale a dire il sovrano e la sua amministrazione centrale) emanava disposizioni, ordini e regole di comportamento in forma circolare, in modo da garantirne una rapida diffusione.
Il contenuto degli atti definiti come circolari non era quindi limitato alla disciplina dell’attività delle autorità inferiori, ma era spesso rivolto a creare regole generali di condotta in via amministrativa.
Veniva cioè riconosciuta all’amministrazione una potestà normativa per circolare.
Con l’avvento dello stato di diritto e la progressiva centralità dell’organo rappresentativo, la posizione giuridica delle circolari venne ridimensionata.
La preminenza della legge e la formalizzazione della potestà regolamentare dell’esecutivo ha avuto l’effetto di escludere le circolari dal novero delle fonti di diritto, specie in campo penale e delle prestazioni patrimoniali.
Lo sforzo della dottrina liberale è stato quello di limitare la portata delle circolari e di offrire ai cittadini delle efficaci forme di tutela giurisdizionale [4].
Agli inizi del Novecento le circolari venivano qualificate come:
“atti di un’autorità superiore che stabiliscono in via generale ed astratta regole di condotta di autorità inferiori nel disbrigo di affari d’ufficio” [5].
Erano quindi considerate come meri atti interni all’organizzazione amministrativa, privi di rilevanza esterna.
Per quanto concerne la tutela giurisdizionale, se la circolare era illegittima (contra legem) il cittadino poteva impugnare l’atto applicativo incidente sulla sua situazione giuridica saltando il tramite della circolare, mancando l’interesse ad agire contro di essa [6].
Se invece la circolare era legittima, l’atto adottato in sua violazione poteva essere impugnato tramite la figura sintomatica dell’eccesso di potere per violazione della circolare.
Ed infatti, se l’atto che faceva applicazione della circolare si discostava dalla circolare stessa, vale a dire dall’atto con cui la pubblica amministrazione ha indicato una serie di modalità per il miglior perseguimento dell’interesse pubblico, l’atto era considerato privo di causa e di rispondenza all’interesse pubblico [7].
Successivamente, nell’amministrazione fascista -dal carattere fortemente centralizzato e gerarchizzato- le circolari incrementarono la loro portata pratica, diventando uno strumento per garantire compattezza ed uniformità dell’agire amministrativo.
Per la dottrina dell’epoca [8] le circolari, nell’obiettivo di offrire un’omogeneità di criteri d’azione alla molteplicità degli uffici amministrativi, erano da considerarsi un rilevante fattore del buon andamento dell’amministrazione.
Nonostante la grande importanza pratica assunta durante il ventennio, le circolari non vennero elevate nemmeno in questo periodo storico a rango di fonti del diritto.
La legge 100/1926 (una tra le più note delle cosiddette “leggi fascistissime”, che disciplinava la facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche), infatti, non prendeva in considerazione le circolari.
Dopo la seconda guerra mondiale si assiste alla crisi dei rapporti gerarchici ed all’accentuarsi del policentrismo delle amministrazioni pubbliche.
In questa fase il dibattito dottrinale si è concentrato sulla possibilità di riconoscere il valore di norma esterna alle circolari, e quindi se considerarle o meno fonti di diritto obiettivo.
Sul punto la dottrina [9] ha affermato che le circolari vanno considerate come atti amministrativi sostanziali recanti norme interne, emanate dagli organi sovraordinati per indirizzare e coordinare l’azione dei sottoposti in vista di una più efficace e incisiva realizzazione degli scopi istituzionali loro affidati.
In altri termini, le circolari sono norme interne, vale a dire norme giuridiche per l’ordinamento interno ma non per quello generale dello Stato, che non si possono mai porre come fonte di diritto obiettivo.
Nei casi in cui ciò sembra verificarsi saremmo in realtà in presenza di regolamenti, espressi in virtù di diversa potestà [10].
In questo contesto è da sottolineare la posizione di Massimo Saverio Giannini [11], che ritiene che la circolare rappresenti un mero strumento di comunicazione, ovvero una “misura di conoscenza” di differenti atti giuridici, negando così l’esistenza di un contenuto tipico della circolare.
Si tratterebbe quindi solo di un docu