Corte di Cassazione – Sentenza 30 luglio 2018, n. 20099

La colpa, per i soci non amministratori, consiste nell’omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo sullo svolgimento degli affari sociali e di consultazione dei documenti contabili, e del diritto ad ottenere il rendiconto dell’attività sociale

Tributi – Accertamento – Rettifica del reddito di società di persone – Imputazione ai soci – Irrogazione sanzione amministrativa per infedele dichiarazione dei redditi al socio accomandante – Legittimità – Insufficiente esercizio del potere di controllo

Fatti di causa

L’Agenzia delle Entrate ricorre, con un motivo, nei confronti di F.B., rimasta intimata, per la cassazione del capo della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana (hinc: CTR) in epigrafe che – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione, per gli anni d’imposta 2000, 2001, 2002, 2003, 2004, ai fini IRAP e IVA, maggiori redditi non dichiarati, nei confronti della A.S.L.S. di C.A. & C. Sas, esercente l’attività di vendita al dettaglio di carburanti e servizi accessori, e maggiori redditi, ai fini IRPEF, imputati «per trasparenza» (ex art. 5, comma 1, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) ai soci, compresa F.B. – in parziale accoglimento dell’appello dei contribuenti, oltre a ridurre, ulteriormente, la base imponibile, già parzialmente diminuita dalla decisione di primo grado, per quanto ancora rileva, dichiarava non dovute le sanzioni amministrative applicate alla socia accomandante B..

Il giudice d’appello ha reputato illegittima l’irrogazione, alla contribuente, delle sanzioni amministrative per l’infedele dichiarazione dell’ente commerciale, per la sua estraneità alla gestione sociale, in quanto socia accomandante e, quindi, per l’insussistenza dei requisiti soggettivi (dolo o colpa) dell’illecito.

Ragioni della decisione

1. Unico motivo del ricorso: «Violazione e falsa applicazione dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 472/1997, nonché dell’art. 5 del T.U.I.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, n. 3) c.p.c.».

L’Ufficio si duole della sentenza impugnata che, nell’escludere l’applicazione alla B., quale socia accomandante, della sanzione amministrativa per l’infedele dichiarazione dei redditi della società, per difetto dell’elemento psicologico, avrebbe contravvenuto alle norme appena richiamate e al costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il maggior reddito risultante dalla rettifica compiuta nei confronti della società di persone, imputato al socio ai fini dell’IRPEF, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, comporta altresì l’applicazione, al socio, della sanzione per infedele dichiarazione, in quanto ai soci delle società di persone è consentito il controllo della gestione sociale.

1.1. Il motivo è fondato.

La decisione della CTR si pone in contrasto con le norme menzionate dall’Ufficio e con il consolidato orientamento della Corte, al quale il Collegio intende uniformarsi, secondo cui: «Il maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di persone, ed imputato al socio ai fini dell’IRPEF, giusta l’art. 5 del d.P.R. n. 597 del 1973 (poi sostituito dall’art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986), in proporzione della relativa quota di partecipazione, comporta anche l’applicazione allo stesso socio della sanzione per infedele dichiarazione prevista dall’art. 46 del d.P.R. n. 600 del 1973, la cui irrogazione, non fondandosi solo sull’elemento della volontarietà ma anche su quello della colpevolezza, non si pone in contrasto con l’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, consistendo la colpa, per i soci non amministratori, nell’omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo sullo svolgimento degli affari sociali e di consultazione dei documenti contabili nonché del diritto ad ottenere il rendiconto dell’attività sociale, e, per i soci amministratori, nell’omesso o insufficiente esercizio dei poteri di gestione, direzione e controllo dell’attività sociale» (Cass. 13/04/2017, n. 9637; in senso conforme: Cass. 28/06/2017, n. 16116).

2. Accolto il ricorso, la sentenza è cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con la dichiarazione che le sanzioni amministrative applicate alla contribuente sono dovute.

3. Si ritiene congruo compensare, tra l’Ufficio e B., le spese dei gradi di merito; le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata;

decidendo nel merito, dichiara dovute le sanzioni applicate alla contribuente;

compensa tra le parti le spese dei gradi di merito;

condanna la contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.200,00, a titolo (f di compenso, oltre alle spese prenotante a debito.