Corte di Cassazione – Ordinanza n. 18042 del 9 luglio 2018

La presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio può essere vinta dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria

Fatti e ragioni della decisione

L’Agenzia della Entrate, impugnando la sentenza della CTR Toscana indicata in epigrafe, ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti della società L. srl nonché di M.E. e M.M.. La CTR, nel confermare la decisione impugnata, ha ritenuto che M.E. aveva dimostrato di svolgere da anni l’attività di neuropsichiatra, aggiungendo che non vi era prova della distribuzione in suo favore di utili sotto qualsiasi forma, invece risultando che i finanziamenti erogati nel corso degli anni alla società costituivano elemento capace di confermare l’aiuto offerto dal suddetto al figlio senza ottenere alcuna contropartita.

Si è costituito con controricorso il M.E..

Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.

L’Agenzia deduce la violazione degli artt. 41 bis dPR n. 600/73, 5 dPR n. 917/1986, 2423, 2476, 2697 e 2729 c.c. La CTR avrebbe errato nel ritenere che l’amministrazione dovesse provare il coinvolgimento attivo del socio nella gestione della società, una volta che la CTR aveva confermato tanto i maggiori redditi della società L. che quelli dell’altro socio M.M..

Il ricorso è inammissibile.

Questa Corte è infatti ferma nel ritenere che è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cass. n. 5076 del 2011, n. 9519 del 2009 e n. 7564 del 2003; Cass. n. 6780/03; Cass. n. 7564/03; Cass. n. 16885/03; Cass. n. 18640/2008; Cass. n. 8954/13).

Tale principio è stato completato precisandosi che la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio a suddetta presunzione può essere vinta dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (cfr. Cass. n. 1932/2016, Cass. n. 17461/2017, Cass. n. 26873/2016) attraverso un ragionamento deduttivo del giudice di merito incensurabile in cassazione sotto il profilo della violazione di legge.

Orbene, nel caso di specie l’Agenzia ha sostanzialmente prospettato l’errore di diritto del giudice di merito per avere escluso la responsabilità del socio per la ripresa a tassazione conseguente ai redditi di partecipazione accertati nei confronti di società di capitali a ristretta base, tentando di confutare il ragionamento posto a base della decisione, snodatosi sulle circostanze che il contribuente svolgesse da tanti anni l’attività libero professionale di neuropsichiatra e che lo stesso non risultava essersi mai ingerito nella gestione della società impegnata nella ristorazione, invece finanziata unicamente in favore dell’altro socio e figlio.

La censura, pertanto, oltre a non risultare corretta quanto alla contestazione in diritto che, si è visto, tralascia di considerare la possibilità, riconosciuta da questa Corte, di andare esente da responsabilità in caso di dimostrazione dell’omessa gestione dell’attività da parte del socio di società a ristretta base, è inammissibile perché non profila alcun vizio ulteriore rispetto a quello della violazione di legge e, segnatamente, sotto il profilo del vizio di motivazione, nemmeno ponendosi in discussione i profili correlati al

ragionamento induttivo utilizzato dalla CTR per ritenere esclusa la gestione della società da parte del contribuente.

Sulla base di tali considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del M.E. in euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi