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La procura inesistente al ricorso per cassazione (non vale quella per il merito) e la condanna alle spese inflitta al difensore
La Suprema Corte, appena agli inizi del 2016, ha emesso una pronuncia derivata da una lite tributaria riaffermando la peculiare ipotesi di condanna del difensore al pagamento delle spese di lite nel caso in cui venga rilevato il rilascio di una procura “inesistente” (sent. n. 575/2016).
La fattispecie concreta, sottoposta all’attenzione della Corte, era quella concretizzatasi per opera dei procuratori dei ricorrenti che agivano innanzi il giudice di legittimità in forza di mandato ad litem rilasciato a margine dell’atto di appello, non risultando invece ad essi conferita, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, la specifica procura per il giudizio di legittimità.
Rilevato tal contesto, la Corte ha rammentato che “Secondo pacifico indirizzo, ai sensi dell'art. 365 c.p.c., la procura rilasciata all'avvocato iscritto nell'apposito albo e necessaria per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, con specifico riferimento alla fase di legittimità, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata. E', pertanto, inidonea allo scopo e, come tale, determina l'inammissibilità del ricorso, la procura apposta in margine od in calce all'atto introduttivo del giudizio di merito, ancorchè conferita per tutti i gradi e le fasi de giudizio (v. Cass., Sez. U, n. 488 del 13/07/2000, Rv. 538426;Sez. 6 - 3, Ord. n. 19226 del 11/09/2014, Rv. 633148; Sez. 1, n. 13558 de 30/07/2012, Rv. 623518; Sez. L, n. 5554 del 09/03/2011, Rv.616301)”.
In altre parole, la Suprema Corte ha dovuto prendere atto della inesistenza dello ius postulandi in capo agli stessi per difetto della procura speciale per il giudizio di ultima istanza; in effetti, è in base ai contenuti espressi dall’art. 365 c.p.c. ed al requisito della specialità della procura, prescritto da tale norma, che si impone alla parte di rilasciare la stessa dopo la pubblicazione della sentenza e prima, o contestualmente, la notifica del ricorso.
In effetti, l'aspetto temporale del requisito di specialità della procura, assolve all'esigenza che la volontà della parte (di impugnare la sentenza attraverso il ricorso per cassazione) nasca proprio in considerazione dei motivi formulati nella decisione oggetto del ricorso e, perciò, dopo che questa è stata pronunciata e con specifico riferimento ad essa.
Questo limite temporale, secondo la Corte di Cassazione, comporta che il vizio che ne deriva non sia suscettibile di alcuna sanatoria o ratifica, precisandosi però, in altre occasioni, che la mancanza di data non produce nullità della procura, dal momento che:
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la posteriorità del rilascio della procura rispetto alla sentenza gravata si può ricavare dall'intima connessione con il ricorso al quale accede, nel quale la sentenza è menzionata, nonché (ad esempio) dalla nomina di un domiciliatario e/o di un difensore del foro di Roma con l'elezione di domicilio presso il medesimo (Cass. civ. n. 16907/2006).
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mentre l'anteriorità di essa, rispetto alla notifica, si desume dal contenuto della copia notificata del ricorso o del controricorso, così da risultare con certezza che la procura è stata conferita in anteriore a detta notifica (Cass. Civ. n. 12568/2004).
Per quel che riguarda la casistica concreta ruotante intorno ai due limiti appena citati, può riferirsi che , sempre secondo il giudice di legittimità, la procura, apposta a margine del ricorso e conferente il mandato difensivo «nel presente giudizio innanzi alla Corte di Cassazione», risponde alla descritta esigenza temporale, posto che l'intestazione del ricorso indica la sentenza oggetto dell'impugnazione, mentre dalla considerazione della data di notificazione del ricorso stesso emerge, in relazione alla data della sentenza, che la procura, proprio in quanto apposta sul ricorso, è stata conferita successivamente alla pronuncia della sentenza (Cass. Civ. n. 3069/2003). Ai fini però dell'ammissibilità del ricorso per cassazione, pur essendo necessario che il mandato al difensore sia stato rilasciato in data anteriore o coeva alla notificazione del ricorso all'intimato, non occorre che la procura sia integralmente trascritta nella copia notificata all'altra parte, ben potendosi pervenire d'ufficio, attraverso altri elementi, purché specifici ed univoci, alla certezza che il mandato sia stato conferito prima della notificazione dell'atto (Cass. Civ. n. 14967/2007). Secondo l’orientamento maggioritario, è possibile, infatti, giungere alla ragionevole certezza che il mandato sia stato conferito prima della notificazione dell'atto, attraverso altri elementi, tra cui possiamo citare l'apposizione della procura a margine del ricorso originale, o dall'espressa menzione a margine dell'atto dell'istanza di procura o, ancora, l'apposizione a margine della copia della annotazione dell'esistenza della procura sull'originale (Cass. Civ. nn. 16540/2006; 20913/2004; 15354/2004; 5548/2004; 6579/2003; 1136/2003; 4619/2002; 15173/2001; 9206/2001 e 12044/2000).
Conseguentemente, la Corte ha evidenziato che la procura inesistente comporta la possibilità di condanna del difensore secondo una distinzione con la procura nulla resa da un arresto (n. 10706) delle Sezioni Unite Civili nel 2006 inteso a risolvere un ampio contrasto giurisprudenziale sorto tra le sezioni semplici1. Il supremo collegio di nomofilachia concludeva le proprie argomentazioni ritendendo di indicare , tra i solchi rilasciati dai due indirizzi originari, la correttezza della “terza via” , pertanto statuendo che il difensore può essere condannato al pagamento delle spese soltanto qualora abbia agito senza effettivo conferimento della procura; viceversa, qualora abbia agito in forza di una procura nulla o divenuta inefficace, la condanna alle spese non può che essere pronunciata nei confronti della parte.
Ed infatti , nella sentenza n. 575/2016 ed in tema di spese, la Cassazione rammenta che “nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi (come nel caso di inesistenza della procura ad litem o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l'atto è speso), l'attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio; diversamente, invece, nel caso di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura ‘ad litem’, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l'attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benchè sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l'instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo” (Cass. civ. SS.UU. n. 10706 del 10/05/2006; v. anche conf. Cass., Sez. L, n. 11551 del 04/06/2015; Sez. 6-3, Ord. n. 19226 del 2014 cit.; Sez. 3, Ord. n. 961 del 16/01/2009).
19 maggio 2019
Antonino Russo
1 Nell’occasione fu, altresì , sancito che quando si verifica, nel periodo compreso tra la pubblicazione della sentenza di primo grado e la proposizione del gravame, la morte o la perdita della capacità di agire della persona fisica, non vi è ultrattività del mandato rilasciato al difensore, comprendente il potere di impugnazione, atteso che (in assenza di specifica regolamentazione del mandato ad litem) deve trovare applicazione con riguardo ad esso il principio generale di cui all'art. 1722 c.c., secondo il quale la morte del mandante estingue il mandato. Né rilevano a tal fine le due deroghe a tale principio generale, contenute nell'art. 300 c.p.c., relative alla facoltà del procuratore di continuare a rappresentare in giudizio la parte che sia defunta dopo la costituzione in giudizio e alla cristallizzazione del giudizio tra le parti originarie in caso di morte di una di queste verificatasi dopo la chiusura della discussione davanti al Collegio, che restano confinate al rigoroso ambito della rispettiva fase processuale in cui l'evento si è verificato e non possono espandersi nella successiva fase di quiescenza e di riattivazione del rapporto processuale.