Acque non minerali: aliquota IVA del 10%

la cessione di acque non minerali destinate al consumo umano è soggetta all’aliquota IVA del 10%

aliquota IVA acque non mineraliSecondo la CTP di Bologna le cessioni di acqua non minerale non sono soggette all’aliquota IVA ordinaria ma a quella agevolata del 10%.

La vicenda esaminata dal Collegio emiliano trae l’origine da un accertamento effettuato nei confronti di una multinazionale statunitense, leader nella commercializzazione delle acque non minerali.

Nello specifico, la contribuente vende acqua destinata al consumo umano in boccioni da 19 litri a soggetti privati (per lo più aziende) e pubbliche amministrazioni applicando ormai da decenni l’aliquota IVA agevolata del 10% secondo quanto previsto dal n. 81, Tabella A, Parte III, allegata al dpr 633/1972.

È utile ricordare che le acque in comune commercio sono di tre tipi e si distinguono in funzione della loro origine e delle loro caratteristiche intrinseche:

  1. acqua minerale,

  2. acqua di sorgente

  3. acqua destinata al consumo umano.

Appartiene alla terza categoria l’acqua erogata dalla rete idrica pubblica, la cosiddetta acqua del rubinetto.

Fino al 1990 a tutte le forniture di acqua erano pacificamente assoggettate all’aliquota agevolata in applicazione del menzionato n. 81; con il D.L. 261/1990, invece, le cessioni di acqua minerale sono state assoggettate all’aliquota ordinaria creandosi così un doppio binario in funzione del tipo di acqua oggetto dell’operazione fatturata: se l’operazione era relativa ad acqua minerale, l’aliquota era quella ordinaria, altrimenti l’aliquota era quella agevolata del 10%.

Sennonché l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 11/E/2014 ha tentato di superare il dettato normativo, proponendo un’interpretazione di fatto modificativa della legge IVA.

Occorre, infatti, ricordare che nel 2011, in attuazione della direttiva UE n.54/2009, il Legislatore è intervenuto con il D.Lgs. 176/2011 operando un avvicinamento della disciplina amministrativa relativa alla commercializzazione delle acque minerali e di quelle di sorgente (non di quelle, però, appartenenti alla terza categoria, quella delle acque destinate al consumo umano).

Ciò è stato ritenuto dall’Amministrazione Finanziaria sufficiente per affermare l’avvenuta equiparazione economica tra le diverse tipologie di acqua commercializzata e soprattutto l’intervenuta obsolescenza della normativa IVA in vigore.

Conseguentemente, secondo il fisco, si doveva superare la precedente ripartizione delle aliquote IVA e assoggettare tutte le cessioni di acqua a quella ordinaria (oggi al 22%), limitando l’applicazione dell’aliquota agevolata per il solo servizio di erogazione di acqua fornito dal gestore della rete idrica pubblica.

Da qui l’avviso di accertamento oggetto della pronuncia bolognese la quale ha bocciato completamente la linea interpretativa erariale evidenziandone l’inaccoglibilità.

I giudici emiliani hanno sancito in particolare che il D.Lgs. 176/2011 è inapplicabile alla fattispecie analizzata in quanto riferibile esclusivamente alla commercializzazione delle acque minerale e sorgiva (che non era quella commercializzata dalla multinazionale americana) e, in ogni caso, che l’estensione dell’aliquota ordinaria al commercio delle acque diverse da quelle minerali viola il limite invalicabile rappresentato dalla lettera della legge.

Particolarmente significativo è quanto si legge in sentenza a tale ultimo proposito:

“a tale [dell’Agenzia] interpretazione si potrebbe aderire se la voce del n. 81 fosse stata formulata diversamente, ad esempio: «erogazione di acqua»; in tale caso sarebbe stata giustificabile una lettura coincidente con l’interpretazione data dalla resistente”.

6 dicembre 2016

Antonino Pernice

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