Troppi compensi a terzi fanno pagare l'IRAP perchè ci si avvale in modo non occasionale di lavoro altrui

il contribuente che corrisponde a professionisti terzi compensi elevati rischia di diventare un soggetto obbligato al pagamento IRAP

Con due recenti pronunce la Corte di Cassazione torna ad occuparsi di Irap, rifissando, di fatto, il principio secondo cui compensi a terzi e beni strumentali eccedenti scontano l’Irap. In particolare si segnalano le ultime pronunce.

  • Con la sentenza n. 8646 del 29 aprile 2015 (ud. 27 febbraio 2015) la Corte di Cassazione ha confermato che l’IRAP coinvolge una capacità produttiva “impersonale ed aggiuntiva” rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale, nel caso di specie ingegnere) e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa “esterna“, cioè da “un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista (lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto ed indiretto…)“, cosicchè è “il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista … ad essere interessato dall’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale” (Cass. 15754/2008).

  • Con la sentenza n. 9708 del 13 maggio 2015 (ud. 15 gennaio 2015) la Corte di Cassazione ha confermato che l’IRAP coinvolge una capacità produttiva “impersonale ed aggiuntiva” rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) e colpisce il reddito in più derivante da una struttura organizzativa “esterna“, cioè da un complesso di fattori che sono suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale. Non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia “autonoma“, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi bensì anche sotto i profili organizzativi. i tali principi i giudici d’appello, osserva la Corte, non hanno fatto corretta applicazione, non avendo, in particolare, indagato sulla natura dei compensi a terzi, erogati dal professionista, per L. 30.000.000 (entità non modesta) nel 2000.

In sostanza, l’esercizio delle attività di lavoro autonomo è escluso dall’IRAP solo qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata ed il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass. S.U. n. 12109 del 2009; cfr., da ultimo, Cass. nn. 23370 del 2010 e 16628 del 2011).

Brevi note

L’Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 28 del 28 maggio 2010, facendo seguito alle istruzioni fornite con la circolare n.45/E del 13 giugno 2008, ha fornito una serie di indicazioni operative in ordine alla gestione del contenzioso pendente in materia di IRAP.

La citata circolare n. 45/E del 2008 (punto 5.4.1) ha precisato che “l’affidamento a terzi, in modo non occasionale, di incombenze tipiche dell’attività artistica o professionale, normalmente svolte all’interno dello studio, deve essere valutata ai fini della sussistenza dell’autonoma organizzazione”.

Inoltre, al punto 5.4.2, ha puntualizzato che “ai fini della verifica dell’autonoma organizzazione rileva comunque la disponibilità di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell’attività, anche qualora non vengano acquisiti direttamente, ma siano forniti da terzi, a qualunque titolo”.

Tale posizione, per le Entrate, risulta avvalorata dalla Corte di Cassazione, la quale ha rilevato come agli effetti impositivi IRAP ciò che rileva è “la sussistenza di una organizzazione autonoma, restando indifferente il mezzo giuridico col quale quest’ultima è attuata (dipendenti ovvero società di servizi), che rende possibile lo svolgimento dell’attività dei professionisti, attraverso la disponibilità di beni strumentali, capitali e stabili forme di collaborazione, funzionali all’espletamento delle particolari incombenze; il che si realizza, come nel caso, con il contratto di outsourcing che impegna le parti a collaborare affinché la clientela percepisca la attività come organizzazione unitaria fornitrice di più servizi” (Cass. 25 maggio 2009, n. 12078).

 

Dal punto di vista giurisprudenziale, con la sentenza n. 8962 del 12 aprile 2013 (ud. 21 febbraio 2013) la Corte di Cassazione ha ritenuto soggetto Irap il commercialista che si appoggiava, per tutta una serie di servizi, ad una società esterna di cui è socio (da un lato il professionista aveva indicato, nella dichiarazione dei redditi, notevoli compensi corrisposti a terzi: per il 2001, L. 134.473.000, per il 2002, Euro 66.222,00, per il 2003, Euro 94.109,00, ed anche negli anni successivi e tali dati dimostravano “la non occasionante delle prestazioni dei soggetti terzi” e, dall’altro, che detti “professionisti” rendevano conto del loro operato a professionista “socio di minoranza della società…” ed “anche membro del consiglio di amministrazione“).

Si veda, altresì, Cass. n. 10151/10, secondo cui “In tema di IRAP, il ricorso al lavoro di terzi per la fornitura di tutti i necessari servizi (dalla telefonia al segretariato) in forma rilevante e non occasionale, ma continuativa, integra il presupposto dell’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata, previsto dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, non rilevando che la struttura posta a sostegno e potenziamento dell’attività professionale del contribuente sia fornita da personale dipendente o da un terzo in base ad un contratto di fornitura“. Anche in quel caso, il ricorso al lavoro di terzi collaboratori, con carattere di continuità, come risultante dai compensi versati, per diverse decine di migliaia di lire e di Euro annuali, nel corso degli anni, con carattere sistematico, ha portato la Corte a ritenere il contribuente soggetto Irap.

E con la sentenza n. 22674 del 24 ottobre 2014 (ud. 17 luglio 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che scontano l’Irap i commercialisti che si avvalgono dell’opera di terzi. Nel caso di specie, i giudici di secondo grado hanno esaminato la realtà fattuale ed hanno valutato che “il reddito era stato conseguito mediante l’impiego, non occasionale, di una organizzazione costituita da una società di servizi retribuita a percentuale, tanto da risultare erogati alla stessa, dal professionista, compensi pari, complessivamente, ad oltre Euro 80.000.00, per l’anno che interessa. Tra le attività espletate dal professionista vi era infatti la consulenza fiscale e societaria e l’attività affidata alla società di servizi riguardava la ‘tenuta della contabilità dei propri clienti’ (come confermato dallo stesso ricorrente), strettamente connessa a quella oggetto della professione dal primo svolta”. I Giudici di appello, hanno quindi correttamente argomentato che ciò che rileva, agli effetti impositivi Irap, e che risulta idoneo a ricondurre la fattispecie alle affermazioni desumibili dalle richiamate pronunce, “è la sussistenza di una organizzazione imprenditoriale“, rimanendo “indifferente il mezzo giuridico col quale quest’ultima è attuata (dipendenti ovvero società di servizi ovvero associazione professionale) e che rende possibile lo svolgimento (complesso) della attività (complessa) dei professionisti (cfr. anche Cass. 12078 e 12079/2009)”. In relazione al profilo dell’onere della prova, “se è vero che, a differenza dell’ipotesi in cui il contribuente azioni un diritto al rimborso dell’imposta indebitamente versata, impugnando il diniego da parte dell’Ufficio dell’istanza presentata, nell’ipotesi di impugnazione di un atto di natura impositiva (quale la cartella esattoriale, emessa, in sede di controllo delle dichiarazioni dei redditi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis), l’Amministrazione Finanziaria deve dar prova della pretesa azionata, giova tuttavia rammentare che detta prova può essere fornita anche in via presuntiva ed, assolto tale onere da parte dell’Ufficio erariale, spetterà comunque al contribuente fornire idonea prova contraria, al fine di confutare il presupposto della cartella di pagamento emessa per l’IRAP non versata (cfr., da ultimo, Cass. 3473/2014)”.

25 luglio 2015

Roberta De Marchi