Deposito IVA: un vantaggio finanziario per gli operatori

una guida alla gestione dei beni in regime di ‘deposito IVA’ e alle modalità di calcolo dell’imposta: beni che possono e che non possono essere introdotti in un deposito IVA, gestione dei depositi, acquisti e cessioni intracomunitarie, immissioni in libera pratica, operazioni effettuate senza il pagamento dell’IVA, estrazione beni dal deposito, gli adempimenti contabili, cali merce, esempio pratico

 

Il deposito IVA è un deposito fisico non un regime fiscale destinato alla custodia dei beni nazionali e comunitari ed extracomunitari – previa “immissione in libera pratica – non destinati alla vendita al minuto nei locali medesimi.

L’istituto del deposito IVA consente, a chi vi ricorre, di operare in sospensione di imposta e di assolvere l’IVA commisurata al valore delle merci esclusivamente all’atto dell’estrazione dei beni. Con la Circ. n. 12/E del 24.03.2015, l’Agenzia delle Entrate fa il punto sulle regole dettate in merito ai depositi doganali identificando i beni depositabili, le operazioni agevolate le modalità di ingresso ed estrazione dei beni dal deposito, anche nel caso di commercializzazione nel nostro Paese, e il calcolo dell’imponibile “sensibile” ai cali di merce.

Gli effetti fiscali del deposito IVA sono ammessi anche senza il transito fisico delle merci solo per i beni “fuori magazzino” che devono essere lavorati. In tutti gli altri casi, la merce deve entrare fisicamente nel deposito per beneficiare della disciplina agevolata.

 

Definizioni secondo il Fisco

Un deposito Iva è un luogo fisico, situato all’interno del territorio italiano, nel quale la merce è introdotta, sosta ed esce e può beneficiare di determinate agevolazioni dal punto di vista IVA.

L’art. 50 bis del D.L. 331/93 disciplina le modalità di utilizzo ed i requisiti necessari per poterlo mettere in atto.

Il deposito IVA ha come obiettivo differire il pagamento dell’IVA in quanto l’assolvimento della stessa si ha non nel momento in cui i beni sono introdotti nel deposito ma nel momento in cui vengono estratti. In sostanza, i depositi IVA sono luoghi destinati a facilitare la movimentazione e la custodia dei beni oggetto dei traffici intracomunitari nei quali tutte le operazioni avvengono senza il pagamento dell’IVA.

Gli effetti fiscali del deposito Iva sono ammessi anche senza transito fisico delle merci solo per i beni “fuori magazzino” che devono essere lavorati. In tutti gli altri casi, la merce deve entrare fisicamente nel deposito per beneficiare della disciplina agevolata.

Nel deposito IVA possono essere introdotti beni nazionali e comunitari. Pertanto i beni extracomunitari potranno essere inseriti all’interno di un deposito IVA solo dopo essere stati immessi in libera pratica e pagato i dazi doganali.

Rientrano tra i depositi IVA anche quelli già autorizzati dall’autorità doganale, come per esempio i magazzini generali, i depositi franchi e i punti franchi gestiti dalle imprese autorizzate, i depositi fiscali per i prodotti soggetti ad accisa, i depositi doganali, compresi quelli per la custodia e la lavorazione di lane.

Secondo quanto stabilito dall’art. 50 – bis del D.L. n. 331/1993, possono o non possono essere introdotti nel deposito IVA i seguenti beni:

  1. Beni che possono essere introdotti in un deposito IVA

  • Beni nazionali (ossia quelli prodotti in Italia o immessi in consumo in Paesi Extra UE) e comunitari, purchè questi non siano destinati alla vendita al minuto durante la loro giacenza nel deposito;

  • Materie prime trattate nelle “borse merci” (indicate nella Tabella A – bis allegata al D.L. n. 331/1993);

  • Beni non comunitari preventivamente immessi in libera pratica con il pagamento dell’eventuale dazio:

  1. Beni che non possono essere introdotti in un deposito IVA

  • Beni non comunitari, beni esistenti in Italia, vincolati al regime dell’ammissione temporanea, ovvero introdotti nei recinti o magazzini in temporanea custodia, in attesa di ricevere la destinazione doganale;

  • Beni importati a scarico di un regime di perfezionamento attivo con le modalità dell’esportazione anticipata.

 

Gestione dei depositi IVA

I soggetti abilitati alla gestione dei depositi sono differenti a seconda che gestiscano depositi per i quali non è prevista autorizzazione, per situazioni già valutate positivamente dall’Amministrazione doganale, o depositi per i quali è invece richiesta un’autorizzazione alla custodia di beni in conto proprio, alla custodia di beni in conto terzi o in “consignment stock”: tali tipologie di depositi sono affidate a operatori che rispondono ai requisiti dettati dall’art. 2, comma 1, del D.L n. 419/1997.

E’ necessario che tali soggetti soddisfino le seguenti condizioni:

  • Non abbiano riportato condanne per reati finanziari, né risultino sottoposti a procedimenti diretti ad accertare il compimento degli stessi;

  • Non si siano resi responsabili di violazioni gravi e ripetute, per loro entità o natura, rispetto alle disposizioni che disciplinano l’IVA;

  • Non risultino assoggettati a procedure di fallimento e concordato preventivo, né si trovino in stato di liquidazione.

Secondo la nuova disposizione, tali soggetti non solo dovranno essere in regola con il versamento del tributo, ma dovranno dimostrare di essere effettivamente operativi, mediante il requisito di iscrizione alla Camera di Commercio da almeno un anno. Tale previsione determina l’esclusione degli operatori non residenti che operano in Italia mediante rappresentante fiscale o con identificazione diretta.

Nel caso in cui venga meno l’originaria sussistenza di tali presupposti, ovvero vengano riscontrate irregolarità nella gestione del deposito, l’autorizzazione è revocata e i beni giacenti nel deposito si intendono estratti salvo il caso in cui vengano trasferiti in un altro deposito IVA.

L’effettiva introduzione dei beni nei depositi Iva deve essere comprovata dalla restituzione di copia del documento doganale d’importazione (Dau) munito dell’attestazione, sottoscritta dal depositario, dell’avvenuta presa in carico delle merci nel registro previsto per i depositi Iva dall’art.50-bis co.3. 
Vi è anche l’obbligo di presentazione di apposita garanzia (anche con fidejussione) commisurata all’imposta. La garanzia prodotta può essere svincolata dall’Ufficio doganale solo a seguito della comunicazione, da parte del soggetto che procede all’estrazione del deposito dei dati relativi alla liquidazione dell’imposta per l’estrazione ai sensi dell’art.50, co.6. 

 

Operazioni effettuate senza il pagamento dell’IVA

La caratteristica principale di un deposito IVA è consentire di effettuare tutte le operazioni relative ai beni che in esso vengono introdotti o movimentati senza assoggettarle ad IVA. L’applicazione dell’imposta sorgerà soltanto quando si estrarranno i beni dello stesso.

Le tipologie di operazioni che possono essere effettuate senza il pagamento dell’IVA, mediante l’introduzione dei beni in un deposito IVA, sono le seguenti:

  • Gli acquisti intracomunitari: rientrano i beni provenienti da altro Stato membro, compreso i trasferimenti di beni da parte di soggetti comunitari per finalità rientranti nell’esercizio dell’impresa. La differenza con le operazioni “classiche” di acquisto intracomunitario si ha in quanto l’operazione finisce non con la consegna all’acquirente nazionale, ma con l’introduzione in un deposito IVA. Queste operazioni quindi andranno integrate senza applicare l’imposta ma facendo riferimento all’art. 50 bis del D.L. 331/93, registrare la fattura nel registro degli acquisti e compilare il Mod INTRA 2. Al momento dell’estrazione dal deposito, il bene sarà assoggettato al trattamento fiscale proprio della relativa operazione di uscita.

  • Le immissioni in libera pratica di beni di origine extracomunitaria: i beni di provenienza extracomunitaria possono essere introdotti nel deposito solo dopo essere stati immessi in libera pratica. Ciò comporta che l’importazione di tali merci sarà soggetta a dazi ma non ad IVA in quanto sarà richiamata nella bolletta l’art. 50 bis del D.L. 331/93, indicando appunto che tale merce è introdotta in un deposito.

  • Le cessioni intracomunitarie: queste operazioni sono c.d. operazioni intracomunitarie atipiche in quanto i beni non escono dal territorio italiano ma vengono ceduti ad un soggetto comunitario mediante l’introduzione degli stessi nel deposito. Tale operazione dovrà essere fatturata dal cedente italiano facendo riferimento sempre all’art. 50 bis D.L. 331/93;

  • Le cessioni di beni di cui alla Tabella A-bis del D.L. n. 331/1993: queste operazioni, che hanno i beni appunti indicati nelle Tabella A-bis, hanno la caratteristica che devono essere effettuate nei confronti di cessionari extracomunitari, non identificati ai fini IVA all’interno della UE oppure di cessionari nazionali.

 

Estrazione beni dal deposito: gli adempimenti contabili

L’estrazione per la commercializzazione o l’utilizzo in Italia dei beni immessi nel deposito IVA comporta il pagamento dell’imposta mediante emissione di un’autofattura ai sensi dell’art. 17, comma secondo, del D.P.R. n. 633/1972.

Nell’autofattura, che deve indicare il riferimento della bolla doganale di importazione, occorre riportare l’ammontare imponibile dei beni e la relativa imposta.

Tale autofattura deve essere annotata da parte del soggetto che estrae i beni, sia nel registro delle fatture emesse sia in quello degli acquisti indicando rispettivamente:

  • Nel caso in cui l’ammontare imponibile non sia variato rispetto al valore di introduzione si deve riportare sia l’imponibile sia l’imposta nel primo e la sola imposta nel secondo;

  • Al contrario, laddove, l’ammontare imponibile sia variato rispetto al valore di introduzione, occorre evidenziare sia l’imponibile sia l’imposta nel primo e la differenza dell’ammontare imponibile rispetto a quello annotato sulla base del documento doganale, oltre all’intera imposta nel secondo.

Nel caso in cui i beni estratti dal deposito IVA siano destinati ad un Paese UE, a favore di un soggetto passivo, occorre emettere la fattura in regime di non imponibilità ex art. 41 del D.L. n. 331/1993 e occorrerà compilare il Modello INTRA 1-bis.

Nell’ipotesi in cui i beni siano inviati fuori dal territorio comunitario, occorre emettere una fattura non imponibile ai fini IVA ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972, trattandosi di un’esportazione.

 

Calcolo dell’Iva influenzato dai cali merce

L’utilizzo dei depositi in commento permette di depositi in commento permette di derogare alla regola generale secondo cui le merci importate devono assolvere l’Iva all’atto della presentazione della dichiarazione doganale.

Nel momento in cui le merci escono dal deposito, si ritiene terminato il regime sospensivo e quindi l’operazione dovrebbe essere assoggettata ad IVA. Tale assoggettamento ad imposta dipenderà dalla destinazione della merce.

Se i beni sono destinati ad essere utilizzati o commercializzati in Italia, l’estrazione effettuata dal soggetto che li acquista, comporta il versamento da parte di esso dell’IVA relativa all’operazione.

Chiarisce la Circolare n. 12/E del 24.03.2015 dell’Agenzia delle Entrate che, se l’estrazione del bene conservato in un deposito IVA avviene per commercializzare quel bene in Italia, la base imponibile su cui si calcola l’IVA è costituita dal corrispettivo oppure, nel caso in cui il corrispettivo manchi, dal valore dell’operazione.

Nel caso in cui i beni trattenuti nel deposito IVA, durante il periodo di giacenza, siano stati oggetto di molteplici cessioni, la base su cui calcolare l’IVA è determinata dal corrispettivo o dal valore dell’ultima transazione.

La Circolare n. 12/E del 24.03.2015 dell’Agenzia delle Entrate precisa che se la merce subisce dei cali fisici e tecnici in fase di stoccaggio, la base imponibile all’estrazione del bene va determinata al netto del valore del calo. Il concetto di calo è infatti ricondotto a quello dei beni distrutti, dal momento che avviene per cause naturali e indipendenti dalla volontà del soggetto IVA. In altre parole, la base imponibile si calcola al netto del valore perduto dal bene, sempre al momento dell’estrazione del bene dal deposito.

Il calo di valore è sempre determinato da cause naturali e indipendenti dalla volontà del soggetto IVA e va considerato affine al caso dei beni distrutti. In caso di calo del valore, quindi, ai fini della determinazione della base imponibile, il contribuente deve considerare la quantità di bene effettivamente estratte dal deposito, purchè sia misurata e calcolata su basi oggettive e verificabili.

 

Esempio pratico:

Un’azienda tedesca acquista merce in Cina e le fa spedire direttamente in Italia presso un deposito fiscale anziché farli consegnare in Germania, sdoganarli e trasferirli in Italia.

Un vantaggio immediato è che si riducono i costi di trasporto e di carico scarico.

I beni sono sdoganati con bolletta IM-4 sulla quale viene indicato che sono destinati ad essere introdotti in un deposito IVA ai sensi dell’art. 50-bis, c. 4 lett. B) del D.L. 331/93.

L’azienda tedesca fattura all’azienda italiana con resa DAP (Delivered at Place) nel deposito IVA e invia copia della fattura al gestore del deposito  indicando, in luogo dell’imposta, la causa di non assoggettabilità ex art. 50 bis, co.4, lett.a) del D.L. 331/93.

Il gestore del deposito prende in carico la merce sull’apposito registro e appone sulla copia della bolletta l’attestato della presa in carico ed il numero attribuito, rimettendo copia alla Dogana di sdoganamento. Conserva la copia del documento.

La fattura per la prestazione di sdoganamento alla ditta tedesca è non imponibile IVA art. 7 ter DPR 633/72. Non si deve provvedere all’invio degli elenchi INTRASTAT in quanto la merce non ha subito movimentazione.

L’acquirente italiano può effettuare lavorazioni sulla merce sempre non assoggettandola ad IVA ex art. 50-bis D.L. 331/93.

Solo quando l’acquirente finale italiano estrarrà la merce dovrà emettere un’autofattura prendendo come base imponibile il valore della fattura di vendita tedesca ed integrandola con l’IVA.

17 aprile 2015

Maria Benedetto