Per il buco al Comune di Catania colpevole il ragioniere, innocenti i politici

una recente sentenza di Corte d’Appello che analizza il crack del Comune di Catania ritiene colpevole il solo Ragioniere generale dell’ente e non i poitici che hanno approvato i bilanci incriminati

La Corte d’Appello del tribunale di Catania, riformando la sentenza di primo grado, ha condannato per falso ideologico ad un anno e otto mesi di reclusione, pena sospesa, l’ex Ragioniere generale del Comune di Catania.

La Corte dispone l’assoluzione, «perché il fatto non costituisce reato», di tutti gli altri 13 imputati, i soggetti “politici” componenti delle due giunte municipali in carica negli anni oggetto delle contestazioni del processo, che nel primo grado di giudizio erano invece stati condannati per falso ideologico.

Il procedimento era scaturito dalle osservazioni sul bilancio consuntivo del 2003 formulate dai Revisori dei conti. Un bilancio contestato anche dalla Corte dei Conti per il quale l’ex sindaco Scapagnini e gli assessori erano stati accusati di aver inserito entrate non esigibili per fare quadrare i conti, “occultare il disavanzo” ed evitare così, oltre al dissesto finanziario, la decadenza e l’incompatibilità come amministratori.

Nel 2004 e nel 2005 erano stati previsti introiti di decine di milioni di euro che dovevano provenire dalla transazione che il Comune aveva stipulato con la società Catania Risorse, partecipata al 100% dallo stesso Comune, alla quale aveva venduto palazzi comunali e beni pubblici. In seguito si appurerà che la società in questione non ha mai effettuato alcuna transazione al Comune per i beni ricevuti. Questa e altre operazioni elusivi hanno così permesso al Comune di evitare di dichiarare il dissesto.

Il buco di bilancio è stato poi colmato con il finanziamento di 140milioni di euro concesso dal governo Berlusconi a valere sui fondi FAS. Un finanziamento che provava come le entrate precedenti non fossero state idonee a coprire il bilancio e quindi evitare un dissesto che andava dichiarato.

I giudici della Corte d’Appello, ribaltando le conclusione della sentenza di primo grado non ravvisano però alcun reato nella condotta adottata dai politici di approvazione degli atti predisposti dal Ragioniere generale, riconosciuto, in forza della sua figura di tecnico, unico responsabile consapevole del reato.

Non sfugge ad una critica questa sentenza della Corte d’Appello, che di fatto condanna il tecnico del Comune mettendo in secondo piano tutti i soggetti che poi materialmente hanno goduto dei vantaggi del suo comportamento doloso e che verosimilmente possono aver giocato un ruolo di indirizzo in relazione a tali condotte.

5 settembre 2014

Fabio Federici