Per il rimborso IVA oltre alla richiesta in dichiarazione serve anche il bilancio di esercizio

non è sufficiente, al fine di ottenere il rimborso IVA, che l’eccedenza sia indicata nella dichiarazione annuale in UNICO o nella dichiarazione IVA; per i giudici di Cassazione occorre che tale eccedenza, di cui si chiede il rimborso, sia esposta anche nel bilancio di esercizio

Il difficile percorso per ottenere il rimborso dell’IVA versata in eccedenza continua a creare problemi applicativi ai contribuenti; per la Corte di Cassazione , che sull’argomento si è pronunciata con la sentenza n.6947 del 25 marzo 2014, la società per ottenere il suindicato rimborso oltre alla dichiarazione (UNICO o IVA) deve presentare anche il bilancio di esercizio dal quale si evince il credito.

Il contenzioso

Una società per azioni aveva proposto ricorso per cassazione, a seguito della pronuncia della Commissione Tributaria Regionale che, con sentenza del marzo 2011, accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione dei giudici di prime cure; di conseguenza l’opposizione relativa alla cartella di pagamento, riguardante il mancato riconoscimento del credito d’imposta per IVA (in realtà nella sentenza si parla di IRPEG ma ogni riferimento legislativo è relativo all’IVA per cui si ritiene sia un errore della sentenza), inerente all’anno 2002, veniva rigettata.

In particolare, il giudice di se­condo grado, osservava che la documentazione prodotta dalla società non forniva la prova del diritto rivendicato. Inoltre l’amministrazione finanziaria non aveva riconosciuto quel credito d’imposta, anche se era stato riportato successivamente nella dichiarazione dei redditi del 2004, in quanto quella prece­dente, in cui era stato indicato, era stata presentata soltanto nel maggio del 2007, e quindi addirittura quattro anni dopo, senza che per­ciò al riguardo l’ente impositore avesse potuto effettuare alcuna preventiva verifica.

Il rimborso delle imposte non indicate in dichiarazione: un percorso controverso

Il mancato riporto del credito agli esercizi successivi rappresenta una fattispecie che non compromette la fruibilità e la spettanza del credito in discussione, stante la corretta esposizione dello stesso, nella dichiarazione riferita all’anno in cui si è generato. La stessa Corte di Cassazione, con sent. n. 12012 del 22 maggio 2006, affermava che, anche laddove il contribuente avesse omesso il riporto del credito nella dichiarazione dell’anno successivo, lo stesso non avrebbe perduto comunque il diritto alla detrazione. La stessa Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 74/E del 19 aprile 2007, ha affermato che “La scrivente è dell’avviso che alle medesime conclusioni possa giungersi nel caso in cui la dichiarazione dell’annualità successiva sia stata omessa”.

Ne consegue, quindi, che il diritto al credito maturato, correttamente esposto nella dichiarazione di competenza, non viene meno, neppure in presenza di omissione dichiarativa, con riferimento all’annualità successiva a quella di riferimento. Si ricorda che una dichiarazione si considera “omessa”, non soltanto se non risulti presentata, ma anche nell’ulteriore ipotesi in cui la presentazione avvenga con un ritardo superiore a 90 giorni, rispetto al termine normativamente statuito per l’adempimento: quanto precede, in osservanza al disposto di cui all’art. 2, c. 7, del D.P.R. n. 322 del 1998.

L’Agenzia delle Entrata, tuttavia ha modificato in proprio orientamento; per i tecnici delle Entrate (cfr. circolare n.34/E/2012) il credito IVA che emerge dal periodo d’imposta per il quale non è stata presentata la relativa dichiarazione annuale non può essere riportato in detrazione nella dichiarazione relativa all’annualità successiva, né di conseguenza usato in compensazione. In caso di riporto del predetto credito, l’ufficio provvede in sede di controllo automatizzato della dichiarazione (art. 54-bis, D.P.R. n. 633/72):

  • a recuperare il relativo importo, corrispondente ad un maggior debito d’imposta o una minore eccedenza detraibile;

  • mediante avviso bonario (con applicazione della sanzione pari al 30% nonché degli interessi).

 La sanzione è ridotta ad 1/3 nel caso in cui il contribuente provveda al pagamento delle somme dovute, entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione (art. 2, D.Lgs. n. 462/97).

In assenza del versamento delle somme richieste con la comunicazione di irregolarità, l’imposta, i relativi interessi e le sanzioni sono iscritti a ruolo.

L’agenzia delle Entrate ha chiarito che spesso i contribuenti ricorrono in giudizio avverso le cartelle di pagamento:

  • eccependo la “spettanza sostanziale” del credito (benché non dichiarato);

  • sostenendo che l’ufficio sarebbe stato obbligato a controllare l’effettività dello stesso, attraverso l’accertamento induttivo riferito all’annualità per la quale la dichiarazione risulta omessa (art. 55, D.P.R. n. 633/72).

A supporto di tale tesi, questi generalmente invocano la risoluzione n. 74/E/2007 nella quale era riconosciuta la possibilità di portare in detrazione il credito IVA risultante dalla dichiarazione omessa al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto, ovvero di chiedere il rimborso dello stesso, ex art. 21, D.Lgs. n. 546/92.

Con la circolare n. 34/E del 2012 l’Agenzia, superando i precedenti orientamenti e muovendo dalle sole disposizioni previste dall’art. 30, del D.P.R. n. 633/72, precisa che in caso di omessa dichiarazione il contribuente in presenza di un credito IVA non può:

  • portarlo in detrazione nella dichiarazione dell’anno successivo;

  • chiederlo a rimborso nelle ipotesi regolate dallo stesso articolo 30 del D.P.R. n. 633/72.

 Non trova pertanto applicazione, in caso di omessa presentazione della dichiarazione, quanto stabilito dall’art. 30, D.P.R. n. 633/1972, secondo cui se dalla dichiarazione annuale risulta una eccedenza di IVA detraibile “il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività“.

L’analisi della Cassazione: la prova è data anche dal bilancio di esercizio

Per la società ricorrente in Cassazione, la sentenza della CTR non è corretta in quanto i giudici del merito di secondo grado non hanno considerato che il diritto relativo al credito d’imposta doveva ritenersi acquisito, essendo stato riportato nella dichiarazione dei redditi dell’anno d’imposta, ancorché pervenuta all’Agenzia con un ritardo di circa quattro anni.

Per la Corte di Cassazione il motivo è infondato.

I giudici di legittimità ricordano che, com’è noto, incombe sul contri­buente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’impo­sta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del me­desimo, e a tal fine, non è sufficiente l’esposizione della pre­tesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo. Pertanto era la società che avrebbe dovuto fornire la prova dell’esi­stenza dello stesso mediante esibizione quanto meno del bilancio di esercizio, non essendo sufficiente la mera indicazione del cre­dito nella dichiarazione.

Del resto a maggior ragione alcun credito poteva essere riconosciuto, nel caso in esame, per la manca­ta presentazione della dichiarazione del reddito per l’anno d’imposta in argomento, e cioè il 2002.

Infatti il contribuente perde il diritto alle detrazioni non computate per gli anni di competenza. In caso di mancata presentazione della dichia­razione annuale viene a perdersi definitivamente il diritto di av­valersi delle eccedenze maturate a credito per quell’anno, portan­dole in detrazione negli anni successivi, dal momento che l’omessa dichiarazione vale, a maggior ragione , come mancato computo.

Per i giudici di legittimità, inoltre, non ha nessuna efficacia sanante della omessa presentazione l’eventuale pagamento dell’oblazione ai sensi dell’art. 58, c. 4, del DPR 633/1972 , poiché tale norma consente al contribuente, con il pagamento entro certi termini del sesto del massimo della pena prescritta per la detta violazione, esclusivamente di evitare 1’irrogazione della sanzione, e non an­che la salvezza di quelli che sarebbero stati gli effetti della dichiarazione poi non presentata, tra i quali appunto la possibi­lità di portare successivamente in detrazione crediti d’imposta non computati, come nella specie .

Per la Corte di Cassazione il ricorso va respinto, con condanna della società al pagamento delle spese processuali.

8 maggio 2014

Federico Gavioli