Mancata esibizione di documenti ad effetto preclusivo solo senza ordinaria diligenza

il rifiuto del contribuente di esibire i documenti richiesti dall’Amministrazione Finanziaria non determina la conseguente inutilizzabilità ai fini amministrativi e contenziosi della stessa documentazione presentata in un momento successivo, se la mancata esibizione è stata determinata della manifesta difficoltà di reperimento di quanto richiesto dal Fisco, adottando l’ordinaria diligenza

Premessa

Accade nel corso di tutte le verifiche fiscali che venga richiesta al contribuente l’esibizione di libri, registri o documenti utili ai fini delle operazioni ispettive. Ciò, invero, succede anche per i controlli sostanziali effettuati in Ufficio, a seguito di invito o questionario notificato al contribuente, con la richiesta di esibizione della documentazione necessaria al controllo.

Soprattutto in relazione ai documenti richiesti in sede di accesso presso la sede del contribuente, laddove, quindi, l’invito all’esibizione è normalmente a risposta immediata, può verificarsi che venga opposto un rifiuto o semplicemente venga dichiarata la temporanea indisponibilità, per le più svariate ragioni. Tale circostanza risulta integrata, ovviamente, più di rado nell’ipotesi di controlli “a tavolino”, per i quali generalmente al contribuente viene notificato un questionario od un invito ad esibire la documentazione non prima di quindici giorni e, quindi, con un lasso di tempo di solito sufficiente a reperire i documenti per cui, invece, in sede di accesso presso la sede del contribuente, ne viene richiesta l’immediata esibizione.

In caso di mancata esibizione dei documenti richiesti, si pone allora il problema di stabilire se, alla luce del quadro normativo vigente, il rifiuto opposto dal contribuente sia sempre preclusivo al successivo utilizzo nella fase amministrativa e contenziosa di quella documentazione “rifiutata”, come sembrerebbe deporre, prima facie, il tenore letterale delle disposizioni di riferimento1.

Quadro normativo

L’articolo 32, comma 4, del DPR 600/1973 dispone che le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta.

Analogamente, per quanto concerne gli accessi e le verifiche fiscali presso la sede del contribuente, l’articolo 52, comma 5, del DPR 633/1972 stabilisce che i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione. Tali disposizioni previste dal decreto Iva, peraltro, sono applicabili anche in materia di imposte dirette, atteso il richiamo al predetto articolo 52 operato dall’articolo 33, comma 1, del DPR 600/1973.

Come si evince chiaramente dal tenore letterale delle prefate norme, il legislatore si è limitato a richiamare il generico concetto di rifiuto di esibizione, ovvero la dichiarazione di non possedere i documenti richiesti, senza porre alcuna ulteriore specificazione circa fattispecie peculiari o ipotesi esimenti, anche per quanto concerne il presupposto soggettivo.

Sia la dottrina che la giurisprudenza, quindi, hanno affrontato la questione se l’applicazione della regola di cui al comma 5 dell’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972 richieda, oltre che la coscienza e la volontà dell’omessa esibizione, anche il dolo, ovvero sia sufficiente la mera omessa esibizione determinata da colpa non scusabile.

Dal dolo alla colpa

Una prima autorevole risposta è stata fornita nel 2000 dalle Sezioni Unite2, le quali, dirimendo un contrasto sorto tra le Sezioni Semplici della Suprema Corte, hanno stabilito che, a norma dell’articolo 52, comma 5, già citato, perché la dichiarazione resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere i libri, registri, scritture e documenti, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie, richiestigli in esibizione, determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, occorre:

  1. la sua non veridicità o, più in generale, il suo strutturarsi quale sostanziale rifiuto di esibizione, evincibile anche da meri indizi;

  2. la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa;

  3. ed il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento.

Nonostante questa netta presa di posizione delle Sezioni Unite, tuttavia, negli anni seguenti ed, in particolare, in quelli più recenti, la giurisprudenza di legittimità si è ampiamente consolidata in senso difforme, ritenendo sufficiente, per l’attivazione delle preclusioni probatorie in oggetto, l’esistenza della colpa non scusabile nel comportamento del contribuente che non esibisce i documenti richiesti. Più precisamente, la Cassazione ha stabilito che il divieto di prendere in considerazione ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa i libri, scritture e documenti di cui si è rifiutata l’esibizione, previsto dall’articolo 52, comma 5, del DPR 633/1972 (applicabile ex articolo 33 del DPR 600/1973 anche agli accertamenti delle imposte sui redditi) deve ritenersi operante non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione “doloso”) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorché non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.) e, quindi, per colpa3.

La giurisprudenza più recente

Con le pronunce di questi ultimi anni, la Cassazione, ribadendo sempre la medesima posizione sopra delineata circa la sufficienza della colpa, da parte del contribuente, ai fini dell’attivazione delle preclusioni probatorie di cui trattasi, ha ulteriormente delineato l’ambito operativo della fattispecie in oggetto.

È stato precisato, innanzitutto, che la norma trova applicazione soltanto in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione e di un rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente, non essendo sufficiente che quest’ultimo non abbia esibito ai verbalizzanti i documenti successivamente prodotti in sede giudiziaria4. Ciò val quanto affermare che il Fisco non può opporre il principio dell’inutilizzabilità dei documenti non esibiti se, ad esempio, ha avanzato al contribuente una generica richiesta di esibizione della documentazione di un determinato periodo d’imposta, ed il contribuente in risposta ad essa non ha fornito un particolare documento, che ha poi prodotto successivamente: in questo caso, infatti, non vi è stata una preliminare specifica richiesta dell’Amministrazione Finanziaria di quel preciso documento, per cui non può ritenersi integrato il rifiuto di esibizione di cui trattasi.

La Suprema Corte, recentemente, ha anche esaminato il caso, invero non così infrequente, in cui sia lo stesso contribuente a dichiarare espressamente il proprio rifiuto di esibizione dei documenti nella sede amministrativa o comunque nel corso della verifica fiscale, riservandosi di produrli in giudizio. Gli Ermellini hanno stabilito, allora, che la (confessata) volontaria mancata esibizione in sede di verifica dei documenti richiesti integra giuridicamente il rifiuto di esibizione sanzionato dalla norma, in quanto questa – attesa la finalità perseguita di contemperare il diritto di difesa del cittadino col principio di buona amministrazione, parimenti costituzionalizzato (art. 97 Cost.) e, quindi, non disinvoltamente sacrificabili in presenza di comportamenti che ne ostacolino ingiustificatamente la realizzazione – non attribuisce al contribuente nessuna facoltà di scelta tra esibizione immediata agli inquirenti o differita (in giudizio): la riserva espressa dal contribuente, quindi, si rivela evidentemente illegittima perché, nella sostanza, suppone una interpretazione della norma che ne rimette l’effettiva osservanza al mero arbitrio del contribuente5. In sostanza, secondo i Giudici di piazza Cavour, se il contribuente, come talvolta accade, dichiara, in sede di verifica fiscale presso la sua sede, di non esibire immediatamente gli specifici documenti richiesti dal Fisco, ma di riservarsi di produrli in giudizio, in tal caso tornano applicabili le preclusioni probatorie di cui trattasi, atteso che, secondo la Suprema Corte, risulta così integrato il rifiuto (stavolta espresso) di esibizione della documentazione previsto dalla norma. Ne consegue che, in tale ipotesi, con detta dichiarazione in sede di verifica fiscale, il contribuente non potrà poi utilizzare né in sede amministrativa né contenziosa la documentazione non prontamente esibita ai verificatori.

In conclusione di questa breve (ma significativa) rassegna giurisprudenziale, è appena il caso di citare la penultima pronuncia sul tema, che ha destato una certa preoccupazione tra gli operatori per la sua “rigidità”. Con la sentenza 27193 del 2013, i Giudici del Palazzaccio hanno esaminato un caso in cui i funzionari del Fisco avevano effettuato un accesso presso la sede del contribuente, quando, però, l’imprenditore non era presente e, quindi, i suoi dipendenti, a fronte della richiesta di esibizione della documentazione contabile, avevano opposto il rifiuto, giustificandolo con la motivazione di non conoscere il luogo di conservazione dei documenti richiesti. La Cassazione, anche in questo caso, nonostante la particolarità della situazione, ha stabilito che comunque si era verificato il rifiuto di esibizione delle scritture contabili, sebbene posto in essere dai dipendenti del contribuente soggetto a controllo, e conseguentemente dovevano trovare applicazione le preclusioni probatorie previste dal più volte citato articolo 52 del DPR 633/1972. Per gli Ermellini, quindi, le disposizioni di tale articolo trovano applicazione anche se le richieste del Fisco sono rivolte ai dipendenti e non all’imprenditore individuale, al legale rappresentante della società, ad un socio amministratore, ad un procuratore o comunque ad un soggetto che abbia una qualche forma di responsabilità nell’ambito aziendale.

La sentenza 27595/2013

L’ultima pronuncia sul tema, in ordine cronologico, è proprio quella in commento. Essa assume un particolare rilievo perché, in qualche modo, mitiga le recenti “rigide” statuizioni, pur non discostandosi dal consolidato assunto per cui sia sufficiente, per attivare le preclusioni probatorie in oggetto, la colpa del contribuente che non esibisce la documentazione richiesta.

La pronuncia trae origine da un accertamento notificato ad una Srl, con cui il Fisco aveva contestato l’omessa fatturazione degli acconti versati dagli acquirenti di autoveicoli commercializzati dalla società, al momento della sottoscrizione delle proposte di acquisto. La Srl, per dimostrare che si trattava di caparre, non soggette, quindi, all’obbligo di fatturazione, e non di acconti, aveva esibito in contenzioso le relative proposte, che, però, sebbene richieste dal Fisco, non erano state esibite in sede di controllo fiscale, per difficoltà nel tempestivo reperimento. La difesa erariale, quindi, ne eccepiva l’inutilizzabilità in sede contenziosa ex articolo 52, quinto comma, del DPR 633/1972.

La Cassazione, dopo aver ribadito il suo consolidato orientamento circa la sufficienza dell’errore non scusabile di diritto o di fatto, ai fini dell’operatività delle preclusioni probatorie di cui trattasi, ha stabilito che, tuttavia, affinché sia negata l’utilizzazione in sede amministrativa o contenziosa di un documento, è pur sempre necessario non solo che esso sia stato richiesto in sede di verifica (non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto), ma anche che alla richiesta di esibizione il contribuente fosse in condizione di corrispondere positivamente adottando l’ordinaria diligenza, ossia che il documento richiesto fosse in suo possesso o fosse da lui agevolmente e tempestivamente reperibile, in originale o in copia, presso chi lo possedeva. Nel caso di specie, invece, il contribuente si trovava, come accertato in punto di fatto dal giudice di merito e non censurato dalla difesa erariale, in una situazione di “difficoltà di reperimento non superabile con l’ordinaria diligenza”.

In conclusione, quindi, i Giudici di legittimità hanno confermato la decisione del collegio d’appello, che aveva ammesso in giudizio l’utilizzabilità delle proposte di acquisto, ai fini della dimostrazione che gli importi per cui il Fisco aveva contestato l’omessa fatturazione erano riconducibili, invero, a caparre e non ad acconti e, pertanto, non sussisteva alcun obbligo di emissione delle fatture.

Considerazioni conclusive

La pronuncia odierna introduce così una sorta di esimente alla colpa non scusabile del contribuente, che, senza di essa, integra i presupposti per l’applicazione delle preclusioni probatorie di cui al più volte citato articolo 52 del DPR 633/1972. In particolare, la Cassazione ha introdotto il principio dell’ordinaria diligenza, per cui la colpa non scusabile viene ad esistere e, quindi, divengono operative le preclusioni probatorie, soltanto se i documenti richiesti dal Fisco non siano stati prontamente esibiti per “manifesta difficoltà di reperimento”, utilizzando, appunto, l’ordinaria diligenza. In tale ipotesi, ovviamente, detti documenti non esibiti ai verificatori saranno poi comunque utilizzabili in sede amministrativa e contenziosa. Il caso tipico, evidentemente, è quello della pronuncia in commento, per cui le proposte di acquisto degli autoveicoli di anni precedenti potevano non essere prontamente disponibili, atteso anche il fatto che non si tratta di documenti strettamente necessari ai fini fiscali.

Diversamente, tutte le volte in cui la richiesta documentale del Fisco può essere soddisfatta utilizzando l’ordinaria diligenza, se a questa viene opposto il rifiuto, anche sotto forma di dichiarazione di non possedere detti documenti, allora risulta integrata la colpa non scusabile del contribuente e, quindi, trovano certamente applicazione le preclusioni probatorie in oggetto.

Si tratta, naturalmente, di una valutazione di merito, che soltanto le Commissioni tributarie possono esperire, secondo il loro prudente apprezzamento, caso per caso.

Invero, però, come suggerito da autorevole dottrina6, le problematiche concernenti le richieste documentali del Fisco e le conseguenti risposte potrebbero, ed anzi dovrebbero, risolversi alla luce del principio di collaborazione e buona fede tra Amministrazione Finanziaria e contribuenti di cui all’articolo 10 dello Statuto7, per cui il Fisco dovrebbe rivolgere richieste che possano essere soddisfatte, utilizzando, appunto, l’ordinaria diligenza, in tempi ragionevoli rispetto alla portata della richiesta medesima, mentre il contribuente, dal canto suo, non dovrebbe omettere l’esibizione della documentazione richiesta, adducendo scuse strumentali ad ostacolare il controllo fiscale.

In questa prospettiva pare deporre l’indicazione dell’Amministrazione finanziaria, come espressa nei suoi documenti di prassi, per cui, affinché possa configurarsi il rifiuto di esibizione, non basta che l’eventuale risposta negativa alla richiesta provenga da commessi, segretari o impiegati senza poteri di rappresentanza. Occorre, invece, che tale rifiuto sia manifestato o dal titolare o dal rappresentante legale del soggetto verificato o, quantomeno, dal direttore del locale. Inoltre, non va attribuita rilevanza alla tardiva esibizione della documentazione, dovuta alla temporanea indisponibilità della stessa per causa di forza maggiore o anche per colpa del contribuente o del depositario cui si è prontamente posto rimedio8.

13 marzo 2014

Alessandro Borgoglio

1 Per una trattazione più ampia ed esaustiva del tema si veda l’interessante e completo scritto di E. Manoni, “Documentazione non esibita, preclusioni probatorie e metodologie accertative”, in il fisco 45/2013, fasc.1, pag. 6981.

2 Sent. n. 45 del 25 febbraio 2000.

3 Cass. 7269 del 26 marzo 2009. Nello stesso senso: Cass. 21967/2009, 22765/2009, 14027/2011.

4 Cass. 415/2013, 18921/2011, 1344/2010.

5 Cass. 8109/2012. Per un commento alla pronuncia sia consentito un rinvio allo scritto dello stesso autore presente nel fascicolo 1 de “il fisco” numero 27 del 2012.

6 Cfr. A. Cissello, “Documenti non sterilizzati se c’è manifesta difficoltà per reperirli”, in Eutekne.info del 11 dicembre 2013, e “Rifiuto di esibizione «valido» anche se proviene dal dipendente”, in Eutekne.info del 5 dicembre 2013.

7 L’articolo 10, comma 1, dello Statuto del Contribuente (legge 212/2000) così recita: “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”.

8 Circolare 224 del 5 dicembre 2000 (§ 5.1).