Quale futuro per il ricorso tributario in Cassazione?

anche per i processi tributari valgono le norme filtro per l’accesso al giudizio di Cassazione previste dal Decreto Sviluppo nel 2012 per il processo civile: ecco gli sviluppi pratici di tale interpretazione giurisprudenziale

Con l’ordinanza n, 23273 del 14 ottobre 2013, la Corte di Cassazione ha rimesso all’esame della Sezioni Unite l’applicabilità, anche ai ricorsi per cassazione aventi origine da liti tributarie, delle modifiche al codice di procedura civile1, intervenute ex D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (Decreto c.d. “sviluppo” o “crescita”), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 1342.

 

Come si ricorderà, l’intervento di cui sopra conteneva diverse norme intese a deflazionare il contenzioso evitando l’abuso delle impugnazioni in appello e dei ricorsi al giudice di legittimità. Da notare che l’assoluta “specialità” del giudizio di appello del processo tributario non ha sollevato alcun dubbio intorno l’esclusione, per le liti innanzi le commissioni tributarie regionali,della valenza dei filtri, contenutinell’art. 54 del decreto dianzi citato, che riguardano l’appello3 e che, pertanto, tali filtri rimarranno indubitabilmente confinati soltanto alle impugnazioni relative ai giudizi riservati al giudice ordinario.

E’ doveroso segnalare che la VI sezione (sottosezione T) della Corte di Cassazione ha sottoposto la questione alle Sezioni Unite non in conseguenza di contrasti interpretativi di tipo giurisprudenziale. Il rinvio infatti , come meglio si spiegherà in seguito, richiama le opposte osservazioni della dottrina in commento alla novella ed è evidente che il collegio remittente, cioè quello che ha intrapreso la soluzione interlocutoria in commento, è stata mosso dall’intento di ottenere una interpretazione da parte delle Sezioni Unite che si possa tradurre in una soluzione preventiva ad un problema che, allo stato, è solo eventuale.

Va comunque ricordato che il “filtro selettivo” per la proposizione dei ricorsi in Cassazione riguarda i processi civili (e potrebbe riguardare anche i processi tributari se le Sezioni Unite si dovessero allineare a quello che è l’opinione del collegio remittente l’ord. n. 23273/2013) e si sostanzia in due novelle , appunto introdotte dall’art. 54 richiamato:

  • la prima è prevista dall’art. 360 c.p.c., c. 1, n. 5, che, rispetto al passato, oggi “confina” i vizi di motivazione sottoponibili al vaglio della Suprema Corte ai casi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; la precedente regolamentazione prevedeva invece la possibilità del ricorso per cassazione “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”;

  • La seconda è invece contenuta nell’art. 348-ter, cc. 4 – 5, c.p.c. che fissa il principio della totale insindacabilità del difetto di motivazione in caso di “doppia conforme” e che sottintende ad una valutazione prognostica e probabilistica, priva di ogni forma di controllo: infatti la norma sancisce che non è ammesso il ricorso in cassazione per il motivo, ora riformato, di cui all’art. 360, c. 1, n. 5, sia quando l’inammissibilità dell’appello (secondo il nuovo art. 348-ter c.p.c.)4 è pronunciata per le medesime ragioni di fatto poste a base della decisione impugnata sia nel caso in cui l’appello, non dichiarato inammissibile, è respinto con sentenza per le medesime ragioni di fatto poste a base della sentenza impugnata5.

 

In tal contesto, sebbene il disposto del comma 3-bis dell’articolo 54 del D.L. n. 83/2012, convertito in L. n. 134/2012 (“le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 46”) sembrerebbe non lasciar àdito a dubbi sul limitato campo di ingerenza delle due norme suindicate, alcuni osservatori hanno sostenuto l’applicabilità dei descritti filtri anche al ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali.

 

Tale conclusione, secondo le fonti di pensiero che la hanno rappresentata, trarrebbe principalmente fondamento da due considerazioni :

  • una trae spunto dall’art. 62 del D.Lgs n. 546/1992, secondo cui al ricorso per cassazione avverso le decisioni delle commissioni tributarie ed al relativo procedimento si applicano, ai sensi del relativo comma 2, le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili. Il rinvio operato dall’art. 62 del D.Lgs. n. 546/1992 all’art. 360 c.p.c., investe anche i motivi che possono essere prospettati con il ricorso in cassazione, di guisa che il carattere di tale rinvio (“dinamico” o “mobile”) rende inevitabile, come sottolineato dalla dottrina di riferimento, il recepimento anche nel processo tributario delle modifiche del testo richiamato6.

  • l’altra , ritiene ammissibile l’art. 360, c. 5, citata fonte, in conseguenza del combinato disposto di cui agli artt. 1, c. 2, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (“i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”) e 49 dello stesso D.Lgs. (“alle impugnazioni delle sentenza delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto”)7.

 

Si aggiunge, sostanzialmente, a questo orientamento la stessa Sezione VI (sottosezione T) della Suprema Corte di Cassazione civile che ha osservato:

– come la controversia tributaria, giunta in cassazione, non sarebbe sostanzialmente una prosecuzione del processo innanzi un giudice tributario di legittimità, cioè non sarebbe più un “processo tributario”, restando il giudizio di cassazione disciplinato dalle disposizioni del codice di procedura civile;

– che la legge delega n. 413/1991, precedente all’emanazione del D.Lgs n. 546/1992, non conteneva alcuna delega relativa ad un ultimo grado di giudizio “speciale” e che, se si esamina l’unico articolo del D.Lgs. n. 546/1992 riguardante il giudizio di cassazione, si constata che le controversie tributarie non danno luogo a un “processo tributario” di Cassazione

 

Fatta questa osservazione, lo stesso collegio ha però evidenziato la presenza di un opposto orientamento in dottrina,8riconoscendolo anche come quello maggioritario, e inoltre ha rappresentatocome effettivamentela nozione di “processo tributario” possa essere intesa secondoun duplice significato, cioè:

a) in senso sostanziale, rilevandosi come “processo tributario” qualunque controversia in cui si discuta di un rapporto tributario;

b) in senso processuale, ove invece il “processo tributario” si intende solo quello in cui si applicano regole procedurali specifiche proprie;

 

Da qui la necessità , assunta dall’organo giudicante, di devolvere la soluzione della questione alle Sezioni Unite, anche in ragione del fatto che l’ampio numero di ricorsi necessita di una pronuncia, vincolante per i collegi ordinari, che costituisca un sicuro punto di riferimento anche per le parti in contraddittorio e, soprattutto, per l’appellato o l’appellante soccombente.

18 febbraio 2014

Antonino Russo

 

1Applicabili “alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione” del decreto di riferimento (art. 54, c. 3, D.L. n. 83/2012), e cioè a partire dall’11 settembre 2012.

2Oltre l’aspetto, trattato nel presente scritto relativamente ai giudizi in cassazione, il D.L. n. 83/2012 ha profondamente alterato la struttura dell’appello civile mediante l’introduzione dei nuovi artt. 348-bis e 348-ter c.p.c..

3L’art. 348-bis c.p.c. reca una previsione d’indole generale di inammissibilità dell’appello civile, che ricorre tutte le volte in cui l’impugnazione non ha una “ragionevole probabilità di essere accolta”. La disposizione non si applica nelle controversie in cui è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero e nei giudizi d’appello avverso le ordinanze pronunziate all’esito del processo cd. sommario di cognizione ex art. 702-bis e ss. c.p.c.. L’inammissibilità deve essere pronunciata all’udienza di cui all’art. 350 c.p.c., prima di procedere alla trattazione, ma sentite la parti, con ordinanza succintamente motivata “anche mediante il rinvio ad elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi”.

4Secondo il comma 2 dell’articolo 348-ter c.p.c., l’ordinanza di inammissibilità è pronunciata solo quando sia per l’impugnazione principale che per quella incidentale di cui all’art. 333 c.p.c. ricorrono i presupposti di cui al comma 1 dell’art. 348-bis c.p.c. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza. L’ordinanza di inammissibilità dell’appello, quindi, non può comunque essere pronunciata ove non ricorra anche l’inammissibilità dell’appello incidentale.

5Resta ferma, in entrambi i casi, la possibilità di proporre il ricorso per cassazione per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del comma 1 dell’art. 360 c.p.c.

6 A. Merone, La riforma del giudizio di Cassazione e la sua applicabilità al processo tributario, in www.judicium.it.

7 G. Trisorio Liuzzi, Il ricorso in Cassazione. Le novità introdotte dal D.L. 83/2012, in www.judicium.it.

8Coloro che invece sostengono l’estraneità ai ricorsi per cassazione inerenti le liti tributarie degli artt. 360, c. 5, e 348-ter, cc. 4 e 5, c.p.c., si soffermano sul già richiamato dato letterale del comma 3-bis dell’articolo 54 del nuovo testo legislativo che, nell’introdurre queste ultime norme, avrebbe espresso, ad avviso di questo fronte della dottrina, tout court e in modo inequivoco la loro inapplicabilità “al processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”, quindi senza distinzioni ed eccezioni di sorta.