Assegno divorzile: il differente trattamento fiscale

l’assegno divorzile non è automaticamente deducibile ai fini IRPEF: presentiamo un’analisi ragionata e corredata della giurisprudenza sulla differente deducibilità fiscale delle somme versate all’ex coniuge

Deducibilità assegno divorzile periodico.

Non deducibilità assegno in unica soluzione (una tantum) e dell’assegno destinato al mantenimento dei figli

L’art. 10, c. 1, lett. c, del T.U.I.R. prevede la deducibilità dal reddito complessivo, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, degli “assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria”.In tema di oneri deducibili dal reddito delle persone fisiche il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, c. 1, lett. c, limita la deducibilità, ai fini dell’applicazione dell’IRPEF, solo all’assegno periodico e non anche a quello corrisposto in unica soluzione al coniuge, in conseguenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risulta da provvedimento dell’autorità giudiziaria.

 

Tale differente trattamento, come affermato dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 383 del 2001, è riconducibile alla discrezionalità legislativa la quale, riguardando due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l’altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore, non risulta nè irragionevole nè in contrasto con il principio di capacità contributiva. La questione del diverso regime fiscale applicabile agli assegni corrisposti al coniuge, a seconda che abbiano carattere periodico o di una tantum, è stata più volte sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale. La Corte Costituzionale ha ritenuto legittimita questa differenza, affermando che le “due forme di adempimento, cioè quella periodica e quella una tantum, le quali pur avendo entrambe la funzione di regolare i rapporti patrimoniali derivanti dallo scioglimento o dalla cessazione del vincolo matrimoniale, appaiono sotto vari profili diverse, e tali sono state considerate dal legislatore nella disciplina dettata in materia”.Più precisamente, la Corte Costituzionale ha posto in evidenza come, “l’importo da corrispondere in forma periodica viene stabilito in base alla situazione esistente al momento della pronuncia, con la conseguente possibilità di una revisione, in aumento o in diminuzione; mentre al contrario quanto versato una tantum, che non corrisponde necessariamente alla capitalizzazione dell’assegno periodico, viene concordato liberamente dai coniugi nel suo ammontare e definisce una volta per tutte i loro rapporti per mezzo di una attribuzione patrimoniale, producendo l’effetto di rendere non più rivedibili le condizioni pattuite, le quali restano così fissate definitivamente” (Corte Costituzionale, ordinanza 6 dicembre 2001, n. 383; ordinanza 29 marzo 2007, n. 113).

 

Ai fini dell’IRPEF è deducibile soltanto l’assegno periodico corrisposto al coniuge o all’ex coniuge, a seguito di separazione legale o di divorzio, con esclusione quindi sia dell’assegno destinato al mantenimento dei figli, sia di quello corrisposto al coniuge o ex coniuge in unica soluzione (una tantum). Costituisce ius receptum(1) nella giurisprudenza di legittimità il principio giusta il quale la deducibilità dell’assegno al coniuge separato e divorziato è accordata soltanto alle corresponsioni periodiche e non a quella effettuata in unica soluzione. Gli assegni divorzili corrisposti in unica soluzione (una tantum) non sono deducibili ai fini dell’IRPEF, in quanto non possono essere assimilati a quelli periodici per i quali è prevista invece la deducibilità (Cass. civ. Sez. VI, Ordinanza, 28-06-2012, n. 11022).

 

I contribuenti, quindi, possono dedurre dal reddito gli assegni periodici corrisposti al coniuge, anche se residente all’estero, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento di matrimonio, e di divorzio, con esclusione della quota destinata al mantenimento dei figli,ex art. 10, c. 1, lett. c, del T.U.I.R. Di converso, detti assegni periodici costituiscono per il coniuge che ne beneficia redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e “si presumono percepiti, salvo propria contraria, nella misura e alle scadenze risultanti dai relativi titoli” (artt. 50, c. 1, lett. i e 52, c. 1, lett. c, del T.U.I.R.). Gli assegni periodici sono deducibili nella misura in cui risultano dal provvedimento dell’autorità giudiziaria. Requisiti necessari sono la separazione legale ed effettiva, ovvero lo scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. La separazione di fatto non fa sorgere alcun diritto alla deduzione di eventuali assegni corrisposti volontariamente. La somma corrisposta deve essere pari a quella determinata dal giudice. Deve trattarsi di somme corrisposte periodicamente

 

Assegno una tantum o in unica soluzione

Dal punto di vista fiscale, l’art. 10, c. 1, lett. c, del T.U.I.R. disciplina solo gli assegni corrisposti al coniuge con carattere periodico, restando fermo che ai fini della deducibilità e della imponibilità delle somme in questione è richiesto che la misura e la periodicità di corresponsione delle stesse risultino dal provvedimento dell’autorità giudiziaria. Diversamente, è principio ormai acquisito l’indeducibilità degli assegni una tantum. L’assegno una tantum con effetto transattivo non è soggetto a deduzione (CTR Roma 31-07-2013 n.252 sez. 29). L’assegno divorzile corrisposto una tantum ha natura patrimoniale e risarcitoria, non costituendo pertanto materia imponibile per il ricevente, né deducibile per l’erogante. L’assegno una tantum definisce completamente i rapporti economici e patrimoniali tra gli ex coniugi, non suscettibili di modificazioni future. Il coniuge liquidato, quindi, perde ogni diritto futuro su una percentuale della liquidazione o sul trattamento pensionistico di reversibilità. Sussiste la non imponibilità degli importi corrisposti all’ex coniuge in sede di divorzio sotto forma di assegno una tantum. Il coniuge che riceve l’assegno perde ogni diritto sulla liquidazione e sulla pensione del coniuge più ricco. “Sotto il profilo civilistico, l’assegno in un’unica soluzione costituisce ipotesi di novazione oggettiva del debito avente natura patrimoniale ovvero risarcitoria piuttosto che di reddito”. La sua corresponsione, dunque, prescinde dal collegamento reddituale tra il frutto e la fonte di produzione, e la sua occasionalità, peraltro, implica la natura patrimoniale della posta. Inoltre, mentre l’assegno periodico è soggetto a revisione, in base al variare, in positivo o in negativo, delle diverse condizioni economiche, l’una tantum è indipendente da queste variabili e non può considerarsi una capitalizzazione degli assegni periodici futuri, essendo la sua misura rimessa alla libera valutazione delle parti (e ad una valutazione di equità da parte del giudice). Per tali ragioni, gli importi così corrisposti risultano non imponibili per il ricevente e, del pari, non deducibili per l’erogante (CTR Roma, 19-11-2012, n.528 sez. 1).

 

Assegno di mantenimento

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 373/2008 ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, c. 1, lett. c, del TUIR, relativo all’indeducibilità degli assegni periodici corrisposti al coniuge per il mantenimento dei figli. L’assegno, che il coniuge è tenuto a versare alla moglie separata per il mantenimento suo e del figlio di cui è affidataria, non è deducibile dal reddito complessivo per la parte destinata al mantenimento del figlio. Ove dal provvedimento dell’autorità giudiziaria non risulti la ripartizione dell’assegno per il mantenimento del coniuge e quello dei figli, ai fini della deduzione dal reddito l’assegno si considera destinato per metà al mantenimento del coniuge e per metà a quello dei figli. Nella determinazione del reddito imponibile, ai fini IRPEF, della beneficiaria di un assegno di mantenimento, deve escludersi quella parte del suo ammontare destinato ai figli, nella misura indicata ovvero per la metà, se dal provvedimento dell’autorità giudiziaria non risulta una diversa ripartizione; concorre, pertanto, a comporne la base imponibile la parte
a lei stessa destinata (
Cass. civ. Sez. V Sent., 14-05-2008, n. 12058). Gli assegni corrisposti al coniuge anche per il mantenimento dei figli si considerano destinati al mantenimento di questi ultimi per metà del loro ammontare, se dal provvedimento non risulta una diversa ripartizione (C.M. n. 7/1106 del 10 giugno 1993, risposta 12.1; CTC, sezione IX, decisione n. 3449 del 26 ottobre 1995; CTR Sardegna, sentenza n. 90/08/99). La deduzione di somme corrisposte a titolo di assegni per gli obblighi di assistenza in conseguenza separazione personale dei coniugi, scioglimento del matrimonio o di natura alimentare è circoscritta alla misura determinata da provvedimento giurisdizionale ai fini di certezza dell’ammontare della base imponibile la quale non può essere liberamente rimessa alla volontà del contribuente in virtù di un proprio autonomo spontaneo adempimento a diversi accordi raggiunti inter partes (Cass. 10-05-2011 n.10323).

 

L’assegno di mantenimento, stabilito in sede di separazione o divorzio, è deducibile dal reddito. In tal senso si nè espressa l’Agenzia delle Entrate con risoluzione del 19.11.2008 n. 448/E. Il regime fiscale degli assegni di mantenimento è regolato dal TUIR. In particolare l’articolo 10, comma 1, lettera c, del TUIR, stabilisce che “gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria“. Dalla lettura della norma citata emergono alcune condizioni che devono essere rispettate affinché si possa procedere alla deduzione degli assegni di mantenimento. In particolare è necessario che ricorrano le seguenti condizioni. In primo luogo il mantenimento deve essere destinato al coniuge (o ex coniuge nel caso di divorzio). Le somme relative al mantenimento dei figli, infatti, non sono deducibili. In secondo luogo è necessario che il mantenimento sia espressamente previsto dal provvedimento del giudice. Le somme che uno dei due coniugi eventualmente versa di sua spontanea volontà, magari in aggiunta a quelle stabilite dal giudice, non possono essere dedotte dal reddito. In proposito l’Agenzia delle Entrate ha precisato che non sono deducibili le maggiori somme corrisposte a seguito dell’adeguamento ISTAT dell’assegno di mantenimento della moglie, se l’obbligo di adeguamento non è previsto dal provvedimento del giudice che ha fissato l’importo dell’assegno. Le maggiori somme corrisposte alla ex moglie a titolo di adeguamento ISTAT dell’assegno di mantenimento non possono essere dedotte, a meno che l’aumento non sia stato specificamente previsto dal giudice nella sentenza di separazione (Agenzia delle Entrate, risoluzione dell’11 Giugno 2009 n. 153;risoluzione del 19 novembre 2008, n. 448/E).

 

La deduzione di somme corrisposte a titolo di assegni per gli obblighi di assistenza in conseguenza della separazione personale dei coniugi, dello scioglimento del matrimonio o di natura alimentare è circoscritta alla misura determinata da provvedimento giurisdizionale ai fini di certezza dell’ammontare della base imponibile la quale non può essere liberamente rimessa alla volontà del contribuente in virtù di un proprio autonomo spontaneo adempimento a diversi accordi raggiunti inter partes (Cass. civ. Sez. V Ordinanza, 10-05-2011, n. 10323). La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10323 depositata il 10 maggio 2011, ha stabilito che non è deducibile dalle imposte dei redditi l’assegno di mantenimento all’ex moglie concordato privatamente dai coniugi senza un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Infine, è condizione necessaria per la deducibilità del mantenimento che questo sia corrisposto in modo periodico (generalmente ciò avviene tramite un versamento mensile). Al riguardo occorre evidenziare che il mantenimento potrebbe essere corrisposto in due diverse modalità: una consiste appunto nel versamento di somme periodiche; l’altra consiste nel versamento di una determinata somma di denaro in unica soluzione. La possibilità di disciplinare gli interessi economico-patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio nell’una o nell’altra forma ha quindi importanti riflessi sul piano fiscale. Nel primo caso, infatti, (versamento periodico), l’assegno di mantenimento assume natura reddituale e, conseguentemente, diventa fiscalmente rilevante sia per il coniuge che lo versa sia per il coniuge che lo riceve. Il coniuge che lo versa potrà dedurlo dal proprio reddito(2). Il coniuge che lo riceve, invece, dovrà considerarlo come reddito imponibile al fine del calcolo delle imposte. Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che gli assegni periodici costituiscono per il coniuge che ne beneficia redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e “si presumono percepiti, salvo propria contraria, nella misura e alle scadenze risultanti dai relativi titoli” (articoli 50, comma 1, lettera i, e 52, comma 1, lettera c, del Tuir).

 

Nel secondo caso, invece, (versamento in unica soluzione) è esclusa la natura reddituale della somma versata, la quale rappresenta piuttosto una transazione in ordine alle pregresse posizioni patrimoniali dei coniugi. Per tali somme, quindi, non è prevista alcuna tassazione in capo al beneficiario, né alcuna deduzione per il soggetto che li corrisponde. Tale modalità di versamento non è esclusa qualora le parti abbiano concordato un pagamento rateale della somma stabilita. In tal caso, invero, la possibilità di rateizzare il pagamento costituisce, infatti, solo una diversa modalità di liquidazione dell’importo pattuito tra le parti, il quale mantiene comunque la caratteristica di dare risoluzione definitiva ad ogni rapporto tra i coniugi e non va quindi confuso con la corresponsione periodica dell’assegno, il cui importo è invece rivedibile nel tempo. L’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 153/E del 11 giugno 2009 ha precisato che in caso di separazione, il pagamento a rate dell’assegno una tantum versato all’ex coniuge non è deducibile dal reddito complessivo ai fini IRPEF. L’erogazione in un’unica soluzione della somma stabilita per il mantenimento del consorte separato non può essere dedotta dall’imponibile, neanche se il versamento viene fatto in forma rateale. Con la risoluzione n. 153/E, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’erogazione in un’unica soluzione della somma stabilita per il mantenimento dell’ex coniuge non può essere dedotta dall’imponibile, neanche se il versamento viene fatto in forma rateale.La possibilità di rateizzare l’assegno, infatti, è solo una diversa modalità di liquidazione di una cifra concordata liberamente tra le parti e non più rivedibile nel tempo.E’ l’esclusione di qualsiasi successiva domanda di contenuto economico che differenzia l’assegno una tantum da quello corrisposto periodicamente, il cui importo può essere invece modificato in un secondo momento sia in aumento che in diminuzione.In questo caso, gli assegni sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente per l’ex marito o moglie che li riceve, mentre rappresentano oneri deducibili per il contribuente che li versa, a patto che importo e periodicità di pagamento siano stabiliti da un provvedimento dell’autorità giudiziaria.

 

La CTP di Bergamo con la sentenza n. 34/1/2012 del 7 febbraio 2012 ha affermato il principio secondo cui l’omessa indicazione del codice fiscale del coniuge separato nella dichiarazione dei redditi, non preclude il diritto del contribuente alla deduzione degli assegni periodici corrisposti esclusivamente per il mantenimento dell’ex coniuge in base alla sentenza di separazione o di divorzio. Non può essere dedotto dal reddito, ai sensi dell’art. 10, c. 1, lett. c, del TUIR, il premio assicurativo corrisposto dal contribuente per la polizza vita della moglie dalla quale risulti divorziato, e ciò neppure se tale pagamento sia stato disposto con sentenza del Tribunale. La deducibilità prevista dal citato art. 10, infatti, è limitata agli oneri costituiti dall’assegno periodico di mantenimento del coniuge divorziato (non anche a quello corrisposto in unica soluzione) e il beneficio non si estende ai premi pagati per l’assicurazione sulla vita a favore della moglie, ancorché ciò fosse stato stabilito con la sentenza del Tribunale. Tali statuizioni attengono al diverso settore civilistico dei rapporti tra coniugi e non possono rilevare ai fini fiscali, non essendo consentita un’interpretazione analogica della disciplina di favore in tale materia Nel contesto della separazione personale dei coniugi o dello scioglimento degli effetti civili del matrimonio, la deducibilità è limitata agli oneri costituiti dall’assegno di mantenimento e non si estende a premi pagati per l’assicurazione sulla vita in favore dell’altro coniuge anche laddove contemplato dalla sentenza del giudice ordinario ( Cass. civ. Sez. V, 31-01-2011, n. 2236).

 

Spese sostenute per mantenere la casa in cui abitano l’ex coniuge e la prole

Il contribuente può dedurre le spese sostenute per mantenere la casa in cui abitano l’ex coniuge e la prole. In base all’art. 10, c. 1, lett. c, del D.P.R. n. 917 del 1986, sono detraibili dal reddito gli assegni periodici corrisposti al coniuge, a esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Le spese per assicurare al coniuge la disponibilità di un alloggio costituiscono un contributo per il mantenimento, ai sensi dell’art. 156 c.c.. Infatti la disponibilità di un’abitazione costituisce elemento essenziale per la vita di un soggetto (a differenza, per esempio, del premio assicurativo per la polizza-vita che non concorre al mantenimento dell’assicurato, ma costituisce una futura fonte di somme, sganciate dalle esigenze del mantenimento stesso). Peraltro il contributo-casa è periodico e corrisposto al coniuge stesso, nonché determinato dal giudice, sia pur per relationem a quanto risulta da elementi certi e conoscibili. Resta fermo che se l’appartamento è a disposizione della moglie e dei figli, la detrazione è limitata alla metà delle spese exart. 3 del D.P.R. n. 42 del 1988 (Cass., 24-05-2013 n.13029 sez. T).

 

Note

1) L’assegno di divorzio corrisposto in un’unica soluzione ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 e succ. mod., non è deducibile dal reddito del(l’ ex) coniuge che lo corrisponde all’altro. È ammessa la deducibilità dall’imponibile ai fini Irpef soltanto dell’assegno periodico corrisposto al coniuge, in conseguenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, e nella misura in cui risulta da provvedimento dell’Autorità giudiziaria (art. 10, c. 1, lett. g, del D.P.R. n. 597 del 1973, al pari dell’art. 10, c. 1, lett. e, del D.P.R. n. 917 del 1986), mentre non è consentita la deduzione della somma corrisposta in unica soluzione in sostituzione dell’assegno periodico. Tale differente trattamento non risulta né irragionevole né in contrasto con il principio di capacità contributiva in quanto, come affermato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 383 del 2001, costituisce legittima esplicazione della discrezionalità legislativa in relazione a due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l’altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore (Cass. civ. Sez. V, 22-11-2002, n. 16462).

2) L’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 157/E del 15 giugno 2009 ha chiarito che un contribuente può dedurre in sede di dichiarazione dei redditi, l’importo corrispondente all’assegno alimentare dovuto all’ex coniuge anche se l’erogazione avviene mediante compensazione, quindi in assenza di un materiale esborso monetario. Nel caso esaminato la ex moglie doveva restituire al contribuente istante, in quanto non dovuta, una somma a suo tempo trattenuta in eccesso sulla liquidazione di fine rapporto di lavoro dell’ex marito. Il giudice aveva stabilito che la restituzione di tale somma doveva avvenire mediante l’ordinanza all’Inps di non effettuare più la trattenuta sulla pensione dell’ex marito come assegno di mantenimento, fino ad esaurimento del credito.

 

29 novembre 2013

Ignazio Buscema