Appello tributario: attenzione ai termini per il deposito in Commissione

analisi delle problematiche in merito al deposito, presso la segreteria del Giudice del gravame, della ricevuta della spedizione della raccomandata postale dell’appello

Dato normativo

Il combinato disposto dell’art. 53, c. 2, ed art. 22, c. 1, della legge n. 546 del 1992 stabilisce che l’appellato deve, “a pena d’inammissibilità“, depositare nella segreteria della commissione tributaria adita, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, ”copia del ricorso … spedito per posta, con fotocopia della ricevuta della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale”, ed il combinato disposto dalla L. n. 546 del 1992, art. 53, c. 2, ed art. 22, c. 2, stabilisce che detta inammissibilità va rilevata “anche se la parte resistente si costituisce.

 

Funzione

Il deposito presso la segreteria del Giudice tributario adito, non solo della copia del ricorso in appello ma anche della fotocopia della ricevuta attestante la data della spedizione per raccomandata dell’atto di impugnazione, assolve alla duplice funzione di :

a) di consentire la verifica del termine di decadenza dalla impugnazione, previsto ai sensi degli artt. 51 (con riferimento al giudizio di secondo grado), e dunque la verifica della idoneità del ricorso in appello ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

b) di consentire la tempestiva costituzione in giudizio dell’ impugnante, in quanto, con specifico riguardo ai gradi di merito, la decorrenza del termine di trenta giorni, per la costituzione in giudizio del ricorrente, è normativamente ancorata alla “spedizione”, e non alla ricezione del ricorso da parte del resistente. Il che si evince dal fatto che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, c. 1, prevede modalità di deposito che presuppongono solo la spedizione del ricorso, e non la sua ricezione, sottraendo, in tal modo, detto adempimento alla regola di cui al medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, c. 5 a tenore del quale “i termini che hanno inizio dalla notificazione o comunicazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto

La funzione assolta dalla indicata prescrizione normativa la sottrae, pertanto, al sospetto di illegittimità costituzionale (per irragionevolezza ex art. 3 Cost. o per violazione dell’art. 24 Cost.), non essendo ravvisabile nella specie l’adempimento di una mera formalità non essenziale (in quanto surrogabile mediante la ricerca di altri idonei atti o documenti ovvero mediante la condotta processuale concludente della parte appellata) per la ragione che, nel caso di specie, la ricevuta della spedizione della raccomandata l’unico atto pubblico attestante la data di spedizione dell’atto di appello, difettando altri parametri di verifica dell’osservanza dei predetti termini perentori (di notificazione del ricorso e di costituzione in giudizio).

 

Compito del giudice del gravame

Entrambe le predette verifiche,in quanto attinenti alla osservanza di norme di ordine pubblico processuale, debbono essere compiute ex officio dal Giudice e sono sottratte al potere dispositivo delle parti, rispondendo a preminenti esigenze di natura pubblica afferenti al controllo della regolarità dello svolgimento del processo, e conseguendo, in caso di esito negativo dell’accertamento officioso, la pronuncia di inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, quale constatazione da parte del Giudice della esistenza di condizioni ostative all’accesso della domanda all’esame del merito e quindi impeditive dello sviluppo del giudizio verso il suo naturale esito che è volto a fornire la regula juris del caso concreto e quindi una decisione sui diritto controverso.

 

Inammissibilità e non sanatoria

Risulta pertanto giustificata la gravità della sanzione della inammissibilità comminata in caso di omesso deposito, nel termine previsto, della ricevuta della spedizione della raccomandata postale, in quanto l’atto di appello (in copia od in originale), in assenza della ricevuta della spedizione per raccomandata, non soltanto non risponde allo schema legale previsto, ma è inidoneo al raggiungimento dello scopo:

a) della tempestiva costituzione in giudizio dell’appellante,

b) dell’impedimento del passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

Né può obiettarsi che il mancato deposito della ricevuta della spedizione per raccomandata, attenendo al momento della prova, costituisce un elemento estrinseco rispetto ai requisiti di validità dell’atto di appello. Deve essere, pertanto, escluso che il mancato deposito, nel termine di giorni 30 dalla spedizione a mezzo posta del ricorso in appello, della ricevuta della spedizione per raccomandata, possa essere “sanato ex post” dall’appellante con la “tardiva” produzione alla udienza di trattazione del documento mancante, e del pari irrilevante deve essere ritenuto -attese le evidenziate ragioni di ordine pubblico- l’eventuale comportamento processuale della controparte che, costituendosi in giudizio senza formulare eccezione, non potrebbe comunque impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con il ricorso inammissibile.

 

Vizi processuali

I vizi degli atti processuali (irregolarità, nullità, inesistenza) debbono essere tenuti distinti dalle conseguenze giuridiche che dagli stessi derivano, dovendo pertanto distinguersi, nell’ambito del vizio di invalidità dell’atto processuale integrante “nullità per inidoneità al raggiungimento dello scopo“, avuto riguardo alla specifica funzione che il requisito mancante dell’atto è destinato ad assolvere nel processo, le ipotesi in cui il vizio possa essere sanato mediante rinnovazione dello stesso atto ovvero in cui lo scopo possa ritenersi egualmente raggiunto con la costituzione in giudizio del convenuto/appellato (in relazione agli artt. 156, c. 3, e 164, cc. 2 e 3, c.p.c.) da quelle, invece, in cui il vizio risulti inemendabile e come tale ostativo all’esame del merito della impugnazione, determinandone la inammissibilità, non potendo venir meno il vizio “né attraverso la cooperazione dell’appellato, né attraverso il comportamento dell’appellante” .

 

Omesso deposito in segreteria del ricorso in appello e della ricevuta della spedizione in raccomandata e omesso deposito nel termine previsto per la costituzione dell’appellante della cartolina AR

Risponde a criteri di ragionevolezza, il trattamento differenziato riservato, anche nel processo tributario, all’omesso deposito in segreteria del ricorso in appello e della ricevuta della spedizione in raccomandata (inammissibilità della impugnazione), ed all’omesso deposito nel termine previsto per la costituzione dell’appellante della cartolina AR, consentendo alla parte appellante di produrre, fino alla udienza di verifica della rituale costituzione del contraddittorio, la prova documentale della eseguita notifica, non essendo assimilabili le due ipotesi in relazione alla diversa funzione cui sono preordinate le rispettive produzioni documentali, in quanto la parte appellata, costituendosi in giudizio, pone in essere una condotta idonea a costituire il rapporto processuale, ma non anche ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

 

Conclusioni

L’appellante deve depositare ,a pena di inammissibilità, presso la segreteria del Giudice del gravame, nel termine di decadenza di giorni 30 dalla proposizione del ricorso in appello, copia dello stesso con la fotocopia della ricevuta della spedizione della raccomandata a mezzo del servizio postale.

La produzione tardiva da parte dell’appellante dei documenti attestanti la data di spedizione del ricorso in appello è da ritenersi preclusa non ai sensi dell’articolo 32 del D.lgs. 546/1992 che consente il deposito di documenti fino a venti giorni prima della udienza di trattazione ai sensi dell’art. 53, c. 2, ed art. 22, c. 1, della legge n. 546 del 1992.

 

Regime dell’inammissibilità

L’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche se la parte resistente si è costituisce in giudizio;costituzione alla quale la legge, evidentemente, non riconosce alcuna efficacia sanante. Non è possibile evidenziare, con apposita ordinanza di rimessione alla Consulta, inesistenti dubbi di costituzionalità della novella normativa in questione; infatti,il deposito in C.T.R. della copia dell’ appello, con la fotocopia della ricevuta della spedizione della raccomandata a mezzo del servizio postale,non assurge a irragionevole imposizione di oneri e modalità di deposito tali da rendere estremamente difficoltoso, da parte dell’appellante, l’esercizio del diritto alla difesa e allo svolgimento delle attività processuali, costituzionalmente garantito. Occorre escludersi la possibilità di una rimessione in termini quando non si è provveduto al deposito citato; la “rimessione in terminiex art. 153 c.p.c. e, ancor più, la “scusabilità” dell’errore non possono assurgere al ruolo di espediente processuale per rimediare alla pura inosservanza di un necessario adempimento processuale espressamente contemplato dalla legge. L’effetto discendente dal divieto di riproporre il gravame dichiarato inammissibile è il passaggio in giudicato della sentenza di prime cure

 

16 novembre 2013

Ignazio Buscema

 

Allegato

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 settembre 2013, n. 20787

 

Svolgimento del processo

Con due avvisi di accertamento ed irrogazione di sanzioni, notificati in data 28.7.2004, l’Ufficio di Milano 5 della Agenzia delle Entrate recuperava nei confronti della società cooperativa L. a r.l. l’IVA dovuta per gli anni 1999 e 2000 in quanto indebitamente portata in detrazione per effettuare operazioni non imponibili (nella specie si trattava della cessione gratuita di computer a scuole pubbliche dietro consegna di “buoni premio”, per un valore predeterminato, che la società cooperativa rilasciava ai propri clienti in relazione all’importo dei prodotti venduti dalla cooperativa e da questi ultimi acquistati).

Il Giudice di prime cure accoglieva i ricorsi della società contribuente ritenendo che nella specie non fossero configuratoli “operazioni a premio”.

La decisione veniva riformata in grado di appello. I Giudici territoriali rilevavano che la controversa questione concernente la qualificazione della cessione dei computers come “operazione premio” era del tutto fuorviante, in quanto dalla motivazione degli avvisi di accertamento risultava che anche la PA concordava nell’escludere tale ipotesi, e che la pretesa tributaria era invece fondata sul diverso presupposto della riconducibilità di tale operazione tra quelle esenti da imposta, ai sensi dell’art. 19 co. 2 Dpr n. 633/1972, con conseguente esclusione del diritto a detrazione IVA da parte della cooperativa, soggetto sul quale, pertanto, veniva definitivamente ad incidere l’imposta versata in rivalsa al fornitore dei computers.

Tanto premesso la CTR della Lombardia, rigettate le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità dell’appello (per omessa indicazione dell’Ufficio giudiziario e per tardiva proposizione della impugnazione) rilevava, da un lato, che il ricorso introduttivo della contribuente avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile in quanto interamente dedicato a contestare la qualificazione della cessione come di operazione a premi, sebbene sul punto non vi fosse questione, essendo stata esclusa tale qualificazione giuridica anche dagli avvisi di accertamento opposti; dall’altro che, venendo a configurarsi la cessione gratuita dei computers alle scuole come operazione esente, la società cooperativa -come anche affermato dal Giudice di legittimità- non aveva diritto a detrarre l’IVA relativa alla fattura passiva emessa dal fornitore dei computers.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società cooperativa deducendo dodici motivi.

Ha resistito con controricorso la Agenzia delle Entrate, mentre non si costituito l’intimato Ministero della Economia e delle Finanze.

L. società ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

 

Motivi della decisione

1. Preliminarmente va dichiarata la inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero della Economia e delle Finanze, non costituito, che non è stato parte nel giudizio di secondo grado.

2. Con il primo, secondo e quarto motivo la ricorrente deduce i seguenti vizi di nullità della sentenza di appello per “errores in procedendo” ex art. 360col n. 4) c.p.c:

1. – violazione dell’art. 22, co. 1 e dell’art. 53 co 2 Dlgs n. 546/92 avendo omesso la CTR di dichiarare la inammissibilità dell’atto di appello in quanto l’Ufficio appellante non aveva depositato, presso la segreteria del Giudice tributario, nel termine di decadenza di gg. 30 dalla proposizione del ricorso, copia dello stesso con la fotocopia della ricevuta della spedizione della raccomandata a mezzo del servizio postale (primo motivo);

2- violazione dell’art. 32 co 1 e dell’art. 61 Dlgs n. 546/92, non avendo rilevato la CTR che la produzione da parte della Agenzia fiscale dei documenti attestanti la data di spedizione del ricorso era da ritenersi preclusa ai sensi delle norme indicate che consentono il deposito di documenti fino a venti giorni prima della udienza di trattazione (secondo motivo);

3- violazione dell’art. 53 co 1 Dlgs n. 546/92 non avendo la CTR dichiarato inammissibile l’atto di appello in quanto privo della indicazione dell’Ufficio giudiziario avanti il quale era proposta la impugnazione(quarto motivo).

Accanto a tali motivi la ricorrente denuncia inoltre, con il terzo motivo, il vizio di insufficiente motivazione ex art. 360 co 1 n. 5) c.p.c. in punto di accertamento della tempestività del ricorso in appello, avendo omesso la CTR di prendere in esame, oltre ai documenti prodotti dalla Agenzia appellante, anche quelli depositati dalla società appellata (nota trasmessa in data 14.12.2006 dal responsabile della Divisione operazioni Logistiche di Poste Italiane con allegata copia relativa al foglio della distinta delle raccomandate -contenente anche quella concernente la spedizione del ricorso in appello- recante il timbro-datario “15.11.2005”), da quali emergeva che il ricorso era stato consegnato oltre il termine di decadenza del 14.11.2005.

3. Il primo motivo è fondato.

31. Il combinato disposto dell’art. 53 comma 2, ed art. 22, comma 1, della legge n. 546 del 1992 stabilisce che l’appellato deve, “a pena d’inammissibilità”, depositare nella segreteria della commissione tributaria adita, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, ”copia del ricorso … spedito per posta, con fotocopia della ricevuta della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale”, ed il combinato disposto dalla L. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, ed art. 22, comma 2, stabilisce che detta inammissibilità va rilevata “anche se la parte resistente si costituisce.

3.2 Osserva il Collegio che la specificità del processo tributario, quale giudizio di tipo impugnatorio e di merito che non consente -attesi i tempi particolarmente brevi di impugnazione dell’atto- nel caso di pronuncia di inammissibilità del ricorso di accedere nuovamente alla tutela giurisdizionale, ha impegnato la giurisprudenza in una attenta rimeditazione sulla applicazione delle norme processuali che comminano sanzioni di inammissibilità, e pertanto, anche sulla scorta delle pronunce 13.6.2000 n. 189, 6.12.2002 n. 520 e 18.3.2004 n. 98 emesse dal Giudice delle Leggi (che hanno ribadito la necessità di una interpretazione di tali norme “in armonia con un sistema processuale che deve garantire la tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità che si risolvano a danno del soggetto che si intende tutelare”), questa Corte è pervenuta ad elaborare principi interpretativi restrittivi delle predette norme (“in base al canone ermeneutico secondo il quale è necessario dare alle norme processuali in genere, ed a quelle sul processo tributario in particolare, una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì salva la funzione di garanzia che è istituzionalmente propria del processo e, però, consenta, per quanto possibile, di limitare al massimo l’operatività di irragionevoli sanzioni di inammissibilità in danno delle parti che di quella garanzia dovrebbero giovarsi”: Corte cass V sez. 8.9.2004 n. 18088; Corte cass V sez. 10.3.2006 n. 5356; Corte cass. V sez. 22.3.2006 n. 6391; Corte cass. V sez. 15.6.2010 n. 14389) affermando il principio che il definitivo sacrificio dell’interesse ad agire del contribuente (e comunque, in genere, delle parti del giudizio tributario) può essere giustificato (idest reso compatibile con il diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost.) soltanto nei casi in cui la particolare gravità del vizio che affligge l’atto introduttivo ed il conseguente impedimento alla prosecuzione del giudizio siano giustificati dal preminente interesse pubblico alla soddisfazione di quelle esigenze che la legge persegue, nell’interesse generale, attraverso il regolare svolgimento della funzione giudiziaria (e del processo), e dunque soltanto nei casi in cui il vizio di forma, sanzionato a pena dì inammissibilità, corrisponda ad un vizio di sostanza, o perché l’atto viziato viene a pregiudicare altri interessi di natura sostanziale o processuale (ritenuti dalla legge prevalenti), o perché il vizio è tale da non consentire di ricondurre l’atto, come in concreto compiuto, nello schema del modello legale della fattispecie disciplinata dalla norma processuale.

3.3 Tanto premesso, il deposito presso la segreteria del Giudice tributario adito, non solo della copia del ricorso in primo grado o in appello -nella specie portato a conoscenza mediante notifica ed. “diretta” ai sensi dell’art. 16co3 Dlgs n. 546/92- ma anche della fotocopia della ricevuta attestante la data della spedizione per raccomandata dell’atto introduttivo o di impugnazione, assolve alla duplice funzione di consentire la verifica;

a) della osservanza del termine di decadenza per la proposizione del ricorso introduttivo (del giudizio dì primo grado) ex art. 21 Dlgs n. 546/92, impeditiva dell’eventuale consolidamento del rapporto tributario come definito dal provvedimento della Amministrazione finanziaria opposto, ovvero del termine di decadenza dalla impugnazione, previsto ai sensi degli artt. 51 e 62 Dlgs n. 546/92 (con riferimento al giudizio di secondo grado e dì legittimità), e dunque la verifica della idoneità del ricorso in appello (od in cassazione) ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata,

b) della tempestiva costituzione in giudizio del ricorrente/impugnante, in quanto, con specifico riguardo ai gradi di merito, la decorrenza del termine di trenta giorni, per la costituzione in giudizio del ricorrente, è normativamente ancorata alla “spedizione”, e non alla ricezione del ricorso da parte del resistente. Il che si evince dal fatto che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 1, prevede modalità di deposito che presuppongono solo la spedizione del ricorso, e non la sua ricezione, sottraendo, in tal modo, detto adempimento alla regola di cui al medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 5 a tenore del quale “i termini che hanno inizio dalla notificazione o comunicazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto” (cfr. Corte cass. n. 20262/04, n. 14246/07; Sez. 5, Sentenza n. 7373 del 31/03/2011; Sez. 5, Sentenza n. 8664 del 15/04/2011).

Entrambe le predette verifiche -in quanto attinenti alla osservanza di norme di ordine pubblico processuale- debbono essere compiute “ex officio” dal Giudice e sono sottratte al potere dispositivo delle parti, rispondendo a preminenti esigenze di natura pubblica afferenti al controllo della regolarità dello svolgimento del processo, e conseguendo, in caso di esito negativo dell’accertamento officioso, la pronuncia di inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, quale constatazione da parte del Giudice della esistenza di condizioni ostative all’accesso della domanda all’esame del merito e quindi impeditive dello sviluppo del giudizio verso il suo naturale esito che è volto a fornire la “regula juris” del caso concreto e quindi una decisione sui diritto controverso.

3.4 La funzione assolta dalla indicata prescrizione normativa la sottrae, pertanto, al sospetto di illegittimità costituzionale (per irragionevolezza ex art. 3 Cost. o per violazione dell’art. 24 Cost.), non essendo ravvisabile nella specie l’adempimento di una mera formalità non essenziale -in quanto surrogabile mediante la ricerca di altri idonei atti o documenti ovvero mediante la condotta processuale concludente della parte appellata- per la ragione che, nel caso di specie, la ricevuta della spedizione della raccomandata l’unico atto pubblico attestante la data di spedizione dell’atto di appello, difettando altri parametri di verifica dell’osservanza dei predetti termini perentori (di notificazione del ricorso e di costituzione in giudizio). Risulta pertanto giustificata la gravità della sanzione della inammissibilità comminata in caso di omesso deposito, nel termine previsto, della ricevuta della spedizione della raccomandata postale, in quanto l’atto di appello (in copia od in originale), in assenza della ricevuta della spedizione per raccomandata, non soltanto non risponde allo schema legale previsto, ma è inidoneo al raggiungimento dello scopo: a) della tempestiva costituzione in giudizio dell’appellante, b) dell’impedimento del passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

Né può obiettarsi che il mancato deposito della ricevuta della spedizione per raccomandata, attenendo al momento della prova, costituisce un elemento estrinseco rispetto ai requisiti di validità dell’atto di appello: tale ricostruzione, infatti, da un lato non tiene conto che la fattispecie legale della costituzione in giudizio dell’appellante è disciplinata dalla norma processuale (art. 22 comma 1) come fattispecie complessa che si perfeziona con il deposito, nel termine previsto, di entrambi gli atti indicati, indipendentemente dalla diversa funzione, rispettivamente introduttiva del giudizio e probatoria della tempestività, cui ciascuno di essi è preordinato; dall’altro non considera che l’adempimento imposto all’appellante risponde ad esigenze che non sono nella disponibilità di quest’ultimo (come è, invece, il diritto di allegazione e deduzione probatoria -con esclusione, ovviamente, delle forme di esercizio di tale diritto nel processo-), essendo rivolti Ì termini previsti dalla legge per l’esercizio dell’azione giudiziaria a garanzia della certezza e stabilità delle situazioni giuridiche, nonché a conformare i tempi del processo in funzione del principio costituzionale della “ragionevole durata” previsto dall’art, lllco2 Cost. (esigenza alla quale, nel processo tributario, rispondono degli artt. 27col e 55 Dlgs n. 546/92 che attribuisco al presidente del collegio di verificare “in limine” – alla scadenza del termine previsto per la costituzione della parti- se sussistano i requisiti di ammissibilità del ricorso pronunciando, in caso di manifesta carenza, decreto di inammissibilità “inaudita altera parte”).

3.5 Deve essere, pertanto, escluso che il mancato deposito, nel termine di gg. 30 dalla spedizione a mezzo posta del ricorso in appello, della ricevuta della spedizione per raccomandata, possa essere “sanato ex post” dall’appellante con la -tardiva- produzione alla udienza di trattazione del documento mancante, e del pari irrilevante deve essere ritenuto -attese le evidenziate ragioni di ordine pubblico- l’eventuale comportamento processuale della controparte che, costituendosi in giudizio senza formulare eccezione, non potrebbe comunque impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con il ricorso inammissibile (come peraltro espressamente disposto dall’art. 22co2 cui rinvia per il grado d’appello l’art. 53 co 2 Dlgs n. 546/92, che prevede la rilevabilità “ex officio” della inammissibilità in ogni stato e grado “anche se la parte resistente si costituisce a norma dell’articolo seguente”). Deve dunque confermarsi il principio espresso da Corte cass. SS.UU. 29.1.2000 n. 16, secondo cui i vizi degli atti processuali -irregolarità, nullità, inesistenza-debbono essere tenuti distinti dalle conseguenze giuridiche che dagli stessi derivano, dovendo pertanto distinguersi, nell’ambito del vizio di invalidità dell’atto processuale integrante “nullità per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, avuto riguardo alla specifica funzione che il requisito mancante dell’atto è destinato ad assolvere nel processo, le ipotesi in cui il vizio possa essere sanato mediante rinnovazione dello stesso atto ovvero in cui lo scopo possa ritenersi egualmente raggiunto con la costituzione in giudizio del convenuto/appellato -in relazione agli arri. 156co3 e 164 comma 2 e 3 c.p,c- da quelle, invece, in cui il vizio risulti inemendabile e come tale ostativo all’esame del merito della impugnazione, determinandone la inammissibilità, non potendo venir meno il vizio “né attraverso la cooperazione dell’appellato, né attraverso il comportamento dell’appellante” (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 11227 del 18/07/2003; id. Sez. 5, Sentenza n. 9169 del 21/04/2011).

3.6 Alla stregua delle precedenti considerazioni deve ritenersi manifestamente infondata la tesi della Agenzia resistente secondo cui, nel caso di specie (artt. 22 col e 53 Dlgs n. 546/92), “lo scopo può dirsi raggiunto allorquando.. Al destinatario del ricorso si costituisca in giudizio potendo la questione della tempestività del ricorso “assumere rilievo e divenire oggetto di prova soltanto qualora il fatto sia controverso” (controricorso pag. 7). L’assunto difensivo cade evidentemente nell’equivoco dì confondere accertamenti del Giudice che debbono essere tenuti ben distinti in quanto rispondenti a necessità non sovrapponibili, quali la verifica della corretta instaurazione del contradditorio (che impinge nell’esercizio del diritto di difesa della parte convenuta) e la verifica degli adempimenti necessari ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnato (che attiene alla tutela di interessi generali: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 6983 del 05/04/2005), bene potendo, infatti, il Giudice dichiarare inammissibile il ricorso in appello per inosservanza del termine di decadenza, pure in presenza di contraddittorio ritualmente costituito.

Inconferente deve ritenersi, pertanto, il richiamo operato dalla Agenzia fiscale resistente al precedente della SS.UU. di questa Corte in data 14.1.2008 n. 627, in quanto avente ad oggetto la diversa fattispecie dell’omesso deposito unitamente al fascicolo dì parte dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita a mezzo posta ai sensi dell’art. 149 c.p.c.: tale adempimento, infatti, attiene alla prova del perfezionamento del procedimento notificatorio ed assume rilievo soltanto ai finì dell’accertamento della integrità del contraddittorio (e non ai fini della verifica del perfezionamento della costituzione in giudizio, né ai finì della verifica del l’osservanza del termine di decadenza per la proposizione della impugnazione), essendo riconosciuta in tal caso la facoltà di successiva produzione del documento in questione, in considerazione della peculiare disciplina del giudizio di legittimità in cui è assente la fase istruttoria, essendo espressamente previsto dall’art. 372 co 2 c.p.c. il deposito -fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 cod. proc. civ., ma prima che abbia inizio la relazione di cui al primo comma, ovvero fino all’adunanza della Corte in camera di consiglio prevista dall’art. 380 bis cod. proc. civ.- di quei soli atti e documenti che riguardano “/a nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso”.

3.7 In ogni caso, indipendentemente dalla specificità della norma applicabile al giudizio di cassazione (art. 372 c.p.c), la verifica della tempestività del ricorso e l’accertamento della corretta instaurazione del contraddittorio, operano su piani diversi e non interferenti che giustificano il diverso trattamento riservato all’omesso deposito della rispettiva prova documentale al momento della costituzione in giudizio, in quanto: 1-in seguito alle pronunce del Giudice delle Leggi che hanno ripetutamente affermato il principio -rispettoso delle diverse esigenze di difesa delle parti processuali- secondo cui il momento in cui la notifica deve considerarsi perfezionata per il notificante (quindi in funzione della verifica della osservanza di termini perentori o di decadenza) deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario (cfr. Corte cost. n. 477/2002; Corte cost. n. 28/2004; Corte cost. ord. n. 97/2004, con riferimento all’art. 149 c.p.c. ed alla notificazione a mezzo posta), la prova documentale della tempestiva proposizione dell’atto introduttivo del giudizio è certamente nella immediata disponibilità dell’appellante, essendo conseguente al compimento di attività svolte direttamente da quest’ultimo (la data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, è comprovata dalla attestazione di cui all’art. 109 Dpr 15.12.959 n. 1229 rilasciata al momento della consegna dell’atto; la spedizione del plico in raccomandata è comprovata dalla apposita ricevuta rilasciata dall’Ufficio postale al momento della ricezione dell’atto per l’inoltro al destinatario), mentre il documento probatorio della effettiva ricezione dell’atto da parte del destinatario (relata di notifica; avviso di ricevimento) perviene al notificante solo in tempo successivo ed in seguito all’espletamento di attività che esulano dalla sua sfera di controllo; 2-la prova della effettiva ricezione dell’atto notificato al destinatario, diversamente da quella attinente la tempestiva proposizione dell’atto introduttivo, non è vincolata alla produzione dell’indicato documento, ma in quanto avente ad oggetto il fatto-conoscenza del contenuto dell’atto notificato (invito a comparire alla udienza per contraddire alla domanda), bene può essere desunta implicitamente dalla condotta concludente dello stesso destinatario (che si è costituito in giudizio spiegando le proprie difese), con la conseguenza che non vi è ragione, in questo caso, di anticipare una verifica di ammissibilità (relativa alla corretta instaurazione del contraddittorio) che potrebbe risultare superata nel caso in cui, pur non essendo stata fornita prova documentale del perfezionamento della notifica, il destinatario si costituisca senza formulare eccezioni alla udienza di trattazione la quale viene in tal modo a costituire il momento rilevante in cui il Giudice è chiamato a tale verifica.

Risponde pertanto a criteri di ragionevolezza, il trattamento differenziato riservato -anche nel processo tributario- all’omesso deposito in segreteria del ricorso in appello e della ricevuta della spedizione in raccomandata (inammissibilità della impugnazione), ed all’omesso deposito nel termine previsto per la costituzione dell’appellante della cartolina AR, consentendo alla parte appellante di produrre -fino alla udienza di verifica della rituale costituzione del contraddittorio- la prova documentale della eseguita notifica, non essendo assimilabili le due ipotesi in relazione alla diversa funzione cui sono preordinate le rispettive produzioni documentali, in quanto la parte appellata, costituendosi in giudizio, pone in essere una condotta idonea a costituire il rapporto processuale, ma non anche ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

3.8 Soltanto per completezza deve rilevarsi come nella specie non ricorra la diversa ipotesi prevista dal quinto comma dell’art. 22 Dlgs n. 546/1992, che presuppone il deposito in giudizio di documenti in ordine ai quali sono insorte contestazioni circa la corrispondenza all’originale.

Non essendo stato neppure allegato dalla Agenzia ricorrente di essere incorsa nella decadenza per causa a lei non imputabile, rimane inoltre escluso che l’esercizio dei poteri istruttori “ex officio” di cui all’art. 7 Dlgs n. 546/1992 possa essere invocato per supplire eventuali manchevolezze della parte appellante tenuta a depositare in giudizio il proprio fascicolo completo di tutti gli atti e documenti necessari alla preliminare verifica di ammissibilità della impugnazione cui è tenuto il Giudice tributario.

In conclusione accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio ex art. 382 co 3 c.p.c. in quanto il processo non poteva essere proseguito, con conseguente condanna dell’Agenzia fiscale alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, dichiarate interamente compensate le spese relative ai gradi dì merito.

 

P.Q.M.

– dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero della Economia e Finanze;

– accoglie il ricorso proposto nei confronti della Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata, dichiarando che il processo non poteva essere proseguito, e condanna la parte soccombente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 10.000,00 per compensi professionali oltre agli accessori di legge, compensate le spese dei precedenti gradi di merito.