Accesso presso un'abitazione sita a un indirizzo diverso da quello del contribuente, esempio quella del/della convivente

come è ben noto, in determinati casi il Fisco può, non solamente acquisire dati e informazioni da vari soggetti pubblici e privati, ma anche accedere presso i locali nei quali viene esercitata l’attività del contribuente e, in casi di particolare necessità, anche compiere accessi nel domicilio privato dei contribuenti

Aspetti generali

Come è ben noto, in determinati casi gli uffici dell’Agenzia delle Entrate e i nuclei della Guardia di Finanza possono non solamente acquisire dati e informazioni da vari soggetti pubblici e privati, nonché accedere presso i locali nei quali viene esercitata l’attività, ma anche, in casi di particolari necessità da valutare nel caso specifico, compiere accessi nel domicilio privato dei contribuenti.

Si tratta di ipotesi nelle quali entrano in gioco i diritti costituzionalmente garantiti di tutti i cittadini, e per tale ragione la valutazione delle esigenze specifiche che ne giustificano la compressione deve essere valutata dall’Autorità giudiziaria.

L’autorizzazione rilasciata dalla Procura della Repubblica (P.M.) per gli accessi presso l’abitazione privata del contribuente può riguardare la sola abitazione individuata nel decreto del magistrato, e non luoghi diversi.

Le deroghe al principio costituzionale di inviolabilità del domicilio devono infatti essere oggetto di interpretazione restrittiva. Della questione si è occupata la recente sentenza della Cassazione n. 4498 del 22.2.2013.

 

Il domicilio privato nella Costituzione

L’abitazione privata del contribuente è tutelata dall’art. 14 della Costituzione, il quale dispone che:

«Il domicilio è inviolabile.

Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale.

Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali».

La Costituzione riconosce e garantisce quindi l’inviolabilità del domicilio, la quale costituisce presupposto e forma di espressione della libertà personale tutelata dall’art. 13 Cost. (il cui primo comma stabilisce che «la libertà personale è inviolabile»).

La libertà del domicilio si articola nei seguenti termini:

  • libertà di scegliere il luogo dove stabilire il proprio domicilio;

  • libertà di svolgere all’interno del domicilio qualsiasi attività lecita;

  • diritto di impedire a chiunque di violare il proprio domicilio se non nei casi e nei modi stabiliti dalla legge.

La nozione di domicilio può includere:

  • l’abitazione,

  • il luogo nel quale il soggetto svolge la propria attività lavorativa

  • un’eventuale dimora occasionale.

Nel domicilio non possono essere dunque eseguite perquisizioni, ispezioni, sequestri se non nei modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte con riferimento alla tutela della libertà personale dall’art. 13 della Carta Fondamentale.

L’inviolabilità del domicilio «cede» con riferimento ad accertamenti per motivi di sanità (es. verifiche delle condizioni igieniche dei luoghi di lavoro), di incolumità pubblica (es. verifica del corretto adempimento degli obblighi relativi alla sicurezza sul lavoro da parte del datore) o a fini economici e fiscali (verifiche fiscali).

 

L’autorizzazione della Procura della Repubblica alla verifica fiscale

Per le ragioni sopra esposte, l’accesso domiciliare può essere effettuato solamente con l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica (P.M.) e in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, secondo il disposto dell’art. 52, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972.

Il provvedimento di autorizzazione – che deve essere motivato, anche per relationem – ha natura amministrativa e non giurisdizionale ed è sindacabile davanti al giudice tributario.

I gravi indizi di violazioni, che sono presupposto legittimante per l’accesso nei locali adibiti esclusivamente ad abitazione, non sono necessari per gli accessi presso locali a «destinazione promiscua» (essendo sia abitazione che luogo ove è esercitata l’attività).

Non ricorre la promiscuità dei locali se l’abitazione, pur trovandosi nello stesso edificio, è distinta dal luogo di lavoro, né se l’abitazione, pur comunicante con il luogo di esercizio dell’attività, è da questo divisa da una porta chiusa e provvista di due ingressi separati.

 

In particolare: l’accesso presso l’abitazione del contribuente

L’accesso presso l’abitazione privata del contribuente, tutelata come si è visto sopra dall’art. 14 della Costituzione, può essere effettuato solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica (come ribadito dalla Cassazione, tra le altre, nelle sentenze n. 7368 del 1° aprile 1998 e n. 9568 del 5.3.2007) e in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, conformemente a quanto disciplinato dall’art. 52, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972.

L’autorizzazione «giudiziaria» all’accesso ailocali, necessaria per entrare in quelli destinati promiscuamente adabitazione ed all’esercizio di attività commerciali, non richiede invece l’indicazione dei «gravi indizi» di violazione.

Quindi:

 

autorizzazione del P.M.

indicazione dei gravi motivi

locali utilizzati solo per l’attività

NO

NO

locali promiscui

SI

NO

abitazione

SI

SI

 

Il provvedimento autorizzatorio, che deve essere motivato anche per relationem, ha natura amministrativa e non giurisdizionale ed è sindacabile davanti al giudice tributario.

La Guardia di finanza, nella circolare del Comando Generale n. 1/1998, ha affermato che l’abitazione «deve essere intesa nel senso di centro effettivo della vita domestica della persona, risultando non sufficiente, a tal fine, la mera predisposizione, per il saltuario pernottamento o la consumazione di pasti, di alcuni vani o spazi dell’immobile».

Quanto alla presenza dei gravi indizi di violazione, che deve essere manifestata nella sola autorizzazione dell’A.G. in caso di accesso all’abitazione (e non a luoghi «promiscui»), ha precisato la Cassazione – sentenza n. 19689 dell’1.10.2004 – che deve trattarsi di un effettivo uso promiscuo, che si ha quando, negli stessi locali, vi sono sia l’abitazione che la sede dell’attività d’impresa.

 

Quando l’abitazione è distinta dalla sede dell’attività?

Non si ravvisa promiscuità dei locali quando l’abitazione, pur trovandosi nello stesso edificio, sia distinta dal luogo di lavoro; e ancora, non si ravvisa promiscuità nei casi in cui l’abitazione pur se comunicante con il luogo di esercizio del lavoro, sia divisa da una porta chiusa e sia provvista di due separati ingressi.

Se però i locali adibiti a laboratorio costituiscono pertinenza dell’abitazione, si rende necessaria l’autorizzazione del magistrato (Cass. n. 26454 del 23.9.2008).

Per quanto può essere osservato sulla base delle linee giurisprudenziali di legittimità, la distinzione tra locali di diversa natura è configurabile solamente se i rispettivi ambiti spaziali sono connotati da un’obiettiva indipendenza e incomunicabilità.

 

Gli orientamenti recenti

Nella sentenza della S.C. n. 4140 del 20.2.2013, i giudici di legittimità hanno esaminato la questione della ricorrenza dell’«uso promiscuo» dei locali – per l’attività commerciale e per usi abitativi –, la quale condiziona il regime delle autorizzazioni necessarie per legittimare l’accesso.

La vertenza traeva origine dall’accertamento relativo al 1996, notificato nel 2000, relativo alla registrazione di fatture di acquisto per operazioni inesistenti.

Nel contenzioso di merito era venuta alla luce la circostanza dell’utilizzo promiscuo dell’opificio nel quale aveva sede l’impresa verificata, il quale comprendeva anche (in locali comunicanti) il luogo di abitazione familiare dei soci.

Richiamando la propria giurisprudenza pregressa (sentenze n. 16570/2011 e. n. 6903/2011), la S.C. ha affermato in sostanza che l’uso promiscuo dei locali si ha non solamente quandoi medesimi ambienti sono utilizzati sia per la vita familiare che per l’attività professionale, ma anche quando «l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi».

In tali ipotesi, l’autorizzazione all’accesso da parte dell’A.G., finalizzata a tutelare l’inviolabilità del domicilio privato, e quindi lo spazio di libertà del contribuente, si pone come condizione imprescindibile per la legittimità dell’atto e delle conseguenti acquisizioni.

In definitiva, l’accertamento fondato su accessi, ispezioni o verifiche presso locali «promiscui» nel senso anzidetto, in assenza di autorizzazione del P.M. (che tuttavia, trattandosi di sedi promiscue, non deve necessariamente recare l’indicazione dei gravi motivi), è illegittimo e annullabile in sede di giurisdizione tributaria.

 

L’autorizzazione del P.M. legittima solo «lo specifico accesso»

Un importante principio di diritto è stato da ultimo riaffermato dalla stessa Cassazione nella sentenza n. 4498 del 22.2.2013, relativa a un accertamento fondato sull’accesso della G.d.F. presso l’abitazione privata del contribuente.

Il ricorso di quest’ultimo era stato accolto dalla CTP e confermato dalla CTR per la considerazione che l’accesso era stato autorizzato dal P.M. presso l’abitazione del ricorrente, e non anche presso l’abitazione della sua convivente, dove era stato in effetti eseguito e dove era stata reperita la documentazione contabile.

Nell’ambito delle operazioni, la G.d.F. aveva agito estendendo l’indagine all’altra abitazione sulla base di una dichiarazione sostanzialmente confessoria del contribuente stesso, il quale aveva dichiarato di convivere con la signora ivi residente.

A questo riguardo, la Corte ha puntualizzato che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica «è stata prevista dal legislatore come opportuno filtro preventivo all’azione accertativa in materia fiscale in tutte le fattispecie coinvolgenti il “domicilio” del contribuente», inviolabile per disposizione costituzionale.

Detta autorizzazione non costituisce quindi un mero adempimento formale, perché richiede l’accertamento della sussistenza, nel caso specifico, degli specifici presupposti richiesti ai fini del superamento della previsione generale dell’art. 14 Cost.

In quanto «indefettibile presupposto di validità dell’acquisizione probatoria conseguita con l’accesso», lo stesso provvedimento può essere impugnato dal contribuente aventi il giudice tributario insieme con la contestazione della legittimità della pretesa tributaria avanzata dall’ufficio in forza di quell’acquisizione probatoria (a tale riguardo sono richiamate: Cass., SS.UU., n. 16424/2002; Cass., SS.UU., n. 11082/2010; Cass. n. 23595/2011 e n. 631/2012).

«In quanto così funzionalmente caratterizzata, l’autorizzazione in tema di accessi, ispezioni e verifiche da parte degli uffici finanziari dello Stato (o della guardia di finanza nell’esercizio dei compiti di collaborazione con detti uffici a essa demandati) legittima solo lo specifico accesso autorizzato, essendo la norma di stretta interpretazione e dovendosi, invero, limitare al massimo l’indubbio vulnus al principio costituzionale di inviolabilità del domicilio comunque derivante dalla previsione dell’accesso».

Correttamente, quindi, la CTR aveva ritenuto che l’accesso fosse stato eseguito in difetto della necessaria autorizzazione.

Il principio di diritto, in applicazione del quale è stato rigettato il ricorso per cassazione dell’Amministrazione, è stato pertanto affermato nei seguenti termini:

«In tema di accessi, ispezioni e verifiche da parte degli uffici finanziari dello Stato (e della guardia di finanza nell’esercizio dei compiti di collaborazione con detti uffici, a essa demandati), l’autorizzazione all’accesso data dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 del DPR n. 633/1972, legittima solo lo specifico accesso in tal senso autorizzato; sicché in base a essa non è consentito agli uffici finanziari accedere in altri luoghi ove si ritenga che l’abitazione debba essere individuata in via di fatto».

 

13 settembre 2013

Fabio Carrirolo