La liquidazione del compenso al CTU non deve necessariamente seguire la regolamentazione delle spese di giudizio

il Giudice tributario può liquidare il compenso al CTU in modo diverso dalla liquidazione delle spese processuali

PRINCIPIO

La regolamentazione delle spese del CTU non deve necessariamente seguire la regolamentazione delle spese di giudizio, in quanto ben può il giudice del merito operare una diversa valutazione, ponendo a carico di una delle parti per intero le spese del CTU, anche nel caso di compensazione delle spese di causa in relazione a ragioni contingenti, da indicare in motivazione, quali, nel caso di specie, al fine di giustificare la totalità delle spese del CTU a carico della società, nonostante la compensazione delle spese processuali tra le parti, la necessità di disporre la CTU “per chiarire una situazione derivante da una contabilità anomala poste in essere dalla società“.

Peraltro, mentre la compensazione delle spese processuali è possibile nei confronti delle parti, non può essere disposta anche nei confronti del CTU che ha, comunque, diritto al compenso ed essendo il giudice discrezionalmente, purchè motivatamente, libero di regolamentare le spese processuali anche diversamente dalle spese di lite relative ai compensi professionali dei difensori. Tale principio è stato statuito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 8047 del 3 aprile 2013 .

 

Vicenda

Nel caso di specie, il contribuente ha proposto ricorso incidentale in cassazione poiché il giudice del gravame aveva posto a carico definitivo della società appellata le spese della CTU , compensando tra le parti le spese del giudizio

 

Pronuncia

Gli Ermellini, respingendo per infondatezza il ricorso incidentale del contribuente in tema di diritto al compenso del CTU, hanno ribadito che il giudice del merito può diversificare quantitativamente tra i medesimi le spese relative alla CTU in ragione delle rispettive percentuali di responsabilità

 

Spese consulenza tecnica d’ufficio

L’articolo 7, D.Lgs. n. 546/1992, introduce nel processo tributario la consulenza tecnica d’ufficio (sganciata dall’impulso processuale delle parti) come mezzo istruttorio ufficioso, non alternativo alle relazioni tecniche scritte da richiedere agli organi tecnici dello Stato

Per effetto del principio d’integrazione di cui all’articolo 1, comma 2, del codice di procedura civile la disciplina del consulente tecnico d’ufficio è posta dalle norme del codice di procedura civile (artt. 61 – 64 e 191 – 201 c.p.c.) compatibili con il nuovo processo tributario. Spetta al giudice tributario la determinazione e liquidazione dei compensi del consulente tecnico d’ufficio incaricato ai fini dell’acquisizione di elementi di particolare complessità (Sent. n. 89 del 14 giugno 2006 dep. il 12 luglio 2006 della CTR di Napoli, sez. staccata di Salerno, sez. IX).

A tutela delle parti, la stessa legge pone a carico del giudice l’onere di motivare il proprio provvedimento di liquidazione delle spese e del compenso del CTU (Cass. sent. n. 3964 del 18.02.2013) Il giudice oltre che rispettare determinati parametri per la liquidazione, deve anche motivare adeguatamente il provvedimento di liquidazione del compenso, illustrando i criteri logici adottati per la determinazione, tanto più quando le parti del giudizio sono numerose; egli deve inoltre evidenziare, anche se in modo succinto, quelle che sono le modalità di computo del compenso. Il provvedimento di liquidazione del compenso al consulente tecnico d’ufficio deve essere contestato attraverso reclamo, che non è un mezzo di impugnazione, da devolvere necessariamente ad un diverso e sovraordinato organo giudiziario, ma uno strumento di opposizione destinato a fare acquisire al provvedimento medesimo la sua definitività.

È quindi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui la parte impugni le spese di consulenza tecnica poste a suo carico dalla sentenza che ha definito il processo in secondo grado (Sent. n. 12266 del 27 marzo 2007 dep. il 25 maggio 2007 della Corte cass., sez. tributaria). La liquidazione delle spettanze del consulente tecnico d’ufficio, è effettuata con decreto di pagamento da parte dello stesso giudice che procede. Tale decreto viene comunicato allo stesso consulente ed alle parti. Il decreto sopra menzionato rappresenta un titolo provvisoriamente esecutivo; tale titolo nei rapporti esterni tra le parti e lo stesso consulente diventa definitivo in mancanza di opposizione ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 170, DPR 30 maggio 2002, n. 115, concernente “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”. L’opposizione deve essere proposta entro il termine di venti giorni dall’avvenuta comunicazione, da parte del consulente e/o dalle parti processuali. Le regolamentazione definitiva per quanto concerne le spese del consulente tecnico d’ufficio, ex artt. 91 e ss. c.p.c., ha efficacia solo tra le parti in causa; nei confronti del consulente stesso le parti sono tenute (di norma solidalmente) al pagamento del compenso liquidatogli con il decreto ex art. 168 del citato DPR 30 maggio 2002, n. 115. La parte escussa dal consulente per il pagamento del compenso non può opporgli la differente regolamentazione delle spese contenuta nella sentenza, dovendo pagare l’intero compenso.

Come precedente giurisprudenza sul tema ha anche precisato (cfr. sul punto Cass. civ. 30.12.2009, n. 28094; Cass. civ. 15.07.2008, n. 23586) solo in seguito si avrà possibilità di agire in regresso ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 1299 c.c., nei confronti della parte al cui carico sono state poste in sentenza.

 

16 agosto 2013

Ignazio Buscema

 

Allegato 1 – modello reclamo

AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PROVINCIALE DI ……….

………………………………………

La società ……………………….. con sede in …………………….. via ……………………..…

C.F. ……………………… nella persona del proprio legale rappresentante pro tempore (oppure il Sig.

………………………………………….. nato a ……………………….. il ………………… C.F. ……………………… ) rappresentata e difesa da …………………………………………. E domiciliata nel suo studio ……………………… via ………………………….

PREMESSO

che in data ……………………… è stato comunicato il decreto n….di liquidazione delle spettanze del Consulente tecnico d’ufficio .Il predetto decreto ha liquidato a favore di………. nella sua qualità di CTU il compenso di euro…………per

onorari, nonché euro……per rimborso spese , oltre iva – c.n.p.a.i.a –inps .Il predetto decreto ha posto il pagamento a carico della suindicata società……………..

PRESENTA RECLAMO

EX ARTICOLO 170 DEL DPR N. 112/2000

avverso il menzionato decreto per i seguenti motivi: …………….

………..……….

e chiede in accoglimento del presente reclamo e previa riforma dell’impugnato decreto di :

Firma del difensore

 

Allegato 2 – sentenza

CASSAZIONE 03-04-2013 Sentenza n.8047 sez. T

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 243/53/2004,accoglieva il ricorso della società P. Sri avverso l’avviso di rettifica Iva, per anno d’imposta 1997, con cui l’Agenzia delle entrate accertava un debito d’imposta di Euro 475.131,05, non riconosceva un credito di Euro 12.576,76, per un totale complessivamente dovuto di Euro 487.707,81.

Con sentenza n.5/18/2006 depositata il 15/2/2006 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, previo espletamento di CTU contabile, accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, determinando il maggior imponibile Iva in Euro 36.443,34, riducendo al minimo di legge le relative sanzioni pecuniarie.

L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., rilevando di avere correttamente, in forza di presunzione, posto a base della rettifica elementi risultanti dai conto correnti bancari, essendosi, invece, la CTR, inammissibilmente, sostituita alla parte nel fornire la prova, ammettendo la CTU;

b) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, art. 191 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., avendo il CTU e la Commissione che ne ha accolto le risultanze, ritenuto illegittimo il recupero di L. 436.500.000, relativo alla cessione di tre immobili di proprietà dei soci in mancanza di prova contraria, altrettanto illegittimo riteneva l’annullamento dei due recuperi, rispettivamente di L. 212.380.389 per giroconti e di L. 420.179. 504 per addebiti di titolo di credito,in mancanza prova contraria al valore presuntivo assegnato dalla legge alte risultanze dei conti.

Si costituiva con controricorso la società intimata, formulando ricorso incidentale deducendo i seguenti vizi:

a) nullità per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al combinato disposto della L. n. 212 del 2000, art. 7, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, lamentando la violazione del contraddittorio, essendo l’utilizzo dei dati bancari imprescindibilmente connesso con la partecipazione del contribuente al contraddittorio;

b) nullità per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, e art. 56, avendo l’ufficio effettuato un accertamento parziale, regolato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, invece di procedere obbligatoriamente, in via alternativa fra loro ad accertamento analitico, seppur su base presuntiva, ovvero ad accertamento induttivo;

c) mancata instaurazione del contraddittorio e conseguente violazione di legge per false ed erronea applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, per non aver assicurato l’ufficio al contribuente la facoltà di una valida difesa preventiva attraverso l’effettivo contraddittorio con l’ufficio stesso;

d) contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la CTR posto a carico definitivo della società appellata le spese della CTU, compensando tra le parti le spese del giudizio.

L’Agenzia delle Entrate presentava controricorso in relazione al ricorso incidentale.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 6.2.2013, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Vanno, preliminarmente, riuniti i ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza.

2. In relazione al primo motivo di ricorso, la censura è formulata in modo tale da risolversi in una richiesta di riesame del materiale probatorio esistente. Il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, nn. 2) e 7), accorda all’ufficio, in tema di Iva, il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione.

Tale presunzione ha portata generale e riguarda le dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, a prescindere dall’attività svolta. Nel caso di specie, ancorchè la motivazione della sentenza rilievi che l’opportunità di disporre la CTU è da individuarsi nell’acquisizione di “elementi di prova atti a giustificare la compatibilita delle operazioni contabili poste in essere dei soci sui loro conti correnti bancari e quelli concernenti l’attività della società”, tuttavia, non essendo stata acquisita dal ctu ulteriore documentazione, in concreto, l’attività del consulente si è limitata alla valutazione delle risultanze delle prove documentali prodotte dalla società, determinando, con valutazione di merito, incensurabile in sede di legittimità, l’importo non giustificato dalla P. srl (Euro 36.443,34) quale importo al netto di Iva non assoggettato ad imposta.

Peraltro non sarebbe logico porre a carico del (presunto) debitore la revisione critica dell’elaborazione contabile di maggiore somma, la cui spettanza egli ha inteso negare in radice (cfr Cass. Sez. U, Sentenza n. 761 del 23/01/2002).

Per altro le prove addotte in giudizio dalla P. srl avevano già indotto la Commissione provinciale ad accogliere integralmente il ricorso della società e non appare sindacabile in sede di legittimità la ritenuta necessità, da parte della CTR, di farsi assistere e supportare dall’ausilio di un consulente tecnico d’ufficio, facendo analizzare le prove documentali prodotte dalla società, senza integrare tali prove, ma valutandole nella loro effettiva portata al fine di fornire un parere tecnico.

Vanno esclusi, nel caso di specie le violazioni dell’onere probatorio lamentato dalla ricorrente.

Anche il secondo motivo è infondato.

Le censure lamentate, sopra riportate, rappresentano mere questioni di fatto, inammissibili, non avendo il CTU svolto un’attività interpretativa di norme, essendosi limitato a ricostruire fatti di natura contabile e tecnica, che sono stati fatti propri e condivisi dalla CTR, fondata su un accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità.

3. Anche il ricorso incidentale è infondato.

Con riferimento al primo e terzo motivo va osservato che il relativo vizio deve obiettivamente emergere come omessa considerazione e/o trascuratezza di valutazione di una circostanza essenziale (che avrebbe potuto, con grado di certezza, portare a diversa decisione) e non può consistere nella difformità di apprezzamento di elementi di fatto e/o probatori emersi nel contraddicono, diversamente valutate dalle parti, poiché un siffatto potere sull’apprezzamento dei fatti e delle prove spetta unicamente al giudice di merito.

I motivi di ricorso si limitano a riversare in un giudizio di cassazione sostanzialmente le critiche relative al contenuto del verbale di constatazione della Guardia di Finanza, già richiamato nella ctu, esaminato dai giudici di merito che ne hanno rilevato, con motivazione esente da censure, la parziale fondatezza.

Le censure rappresentano nient’altro che la riproposizione di tesi o difese di una parte, valutazione disattese dalla sentenza impugnata con apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità.

La CTR ha, al riguardo, rilevato, escludendo la violazione del diritto di difesa, che la società era “pienamente a conoscenza dei motivi di tale riduzione, avendo essa stessa prodotto la relativa documentazione giustificativa; non può pertanto lamentarsi dell’omessa allegazione di detta nota per sostenere, in sede contenziosa, la legittimità dell’avviso di rettifica e chiederne la dichiarazione di nullità…”.

Nessuna specifica contestazione risulta formulata avverso tale capo della sentenza dovendosi quindi ritenere l’avviso di rettifica correttamente motivato facendo riferimento a due lp.v.c consegnati alla parte in data 23/7/1999 e 15/6/2001.

3.2 il secondo motivo difetta di autosufficienza non risultando allegata l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di primo grado, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. (Cass. Sez. 3, 20/10/2006, n. 22540).

Sussiste, infatti, il difetto di autosufficienza, se vengono sottopongono all’esame del Giudice di legittimità questione nuove non esaminate dai giudici di merito se non risulta dalla sentenza impugnata che la parte abbia formulato le relative questioni con il ricorso introduttivo, nè – ove l’avesse proposte – che abbia “riproposto” tali questioni davanti al giudice di appello. Peraltro rientra nel potere dell’Amministrazione finanziaria, nell’ambito della previsione di legge, di scegliere il metodo di accertamento da utilizzare nel caso concreto e, pertanto, parte contribuente, in assenza di peculiarità pregiudizievoli, non ha titolo a dolersi della scelta operata (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8333 del 25/05/2012).

Infatti quando il processo verbale venga portato, anche “per relationem”, a conoscenza del contribuente, questi è posto in grado di difendersi, a prescindere dal metodo – analitico o induttivo o parziale – adottato in sede di verifica, non essendo l’esistenza del potere di accertamento condizionata dal metodo adottato (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19258 del 30/09/2005).

Anche l’ultimo motivo è infondato.

La regolamentazione delle spese del CTU non deve necessariamente seguire la regolamentazione delle spese di giudizio, in quanto ben può il giudice del merito operare una diversa valutazione, ponendo a carico di una delle parti per intero le spese di ctu, anche nel caso di compensazione delle spese di causa in relazione a ragioni contingenti, da indicare in motivazione, quali, nel caso di specie, al fine di giustificare la totalità delle spese di ctu a carico della società, nonostante la compensazione delle spese processuali tra le parti, la necessità di disporre la CTU “per chiarire una situazione derivante da una contabilità anomala poste in essere dalla società”, criterio quest’ultimo la cui adozione non è censurabile in cassazione (cfr Cass. Sez. 3, Sentenza n. 315 del 11/01/2002).

Peraltro, mentre la compensazione delle spese processuali è possibile nei confronti delle parti, non può essere disposta anche nei confronti del CTU che ha, comunque, diritto al compenso ed essendo il giudice discrezionalmente, purchè motivatamente, libero di regolamentare le spese processuali anche diversamente dalle spese di lite relative ai compensi professionali dei difensori.

Conseguentemente vanno rigettati sia il ricorso principale che incidentale. La reciproca soccombenza costituisce giusto motivo di compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso, principale e incidentale. Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.