Le presunzioni ai fini fiscali

per la ricostruzione dell’imponibile durante le verifiche fiscali, il Fisco si avvale di tutta una serie di presunzioni che servono a ricostruire l’imponibile eventualmente evaso dal contribuente, in base ad alcuni dati considerati sensibili

1. – INTRODUZIONE.

La ricostruzione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA può fondarsi:

  • su prove dirette della falsità o incompletezza dei dati contabilizzati e dichiarati dal contribuente e del mancato o irregolare rispetto di specifiche norme;

 

  • su prove indirette – presuntive ovvero su dati ed elementi di natura indiziaria.

 

2. – LE PRESUNZIONI IN GENERALE.

Le presunzioni, in generale, consistono in fatti che, sebbene conosciuti non forniscono alcuna diretta dimostrazione di situazioni o accadimenti, ma permettono comunque di risalire a queste attraverso un processo di logica consequenzialità.

Le presunzioni sono regolate dall’art.2727 c.c., in base al quale “le presunzioni sono le conseguenze che la legge (dette legali) o il giudice (dette semplici) trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”.

In base a tale definizione le presunzioni si distinguono in:

  • legali, se individuate direttamente dalla legge;

  • semplici, se ricavate ed apprezzate dal giudice, che a norma dell’art.2729, c. 1, c.c., possono essere ammesse solo se gravi, precise e concordanti. Se sono prive di tali requisiti vengono definiti semplicissime.

Le presunzioni legali, a loro volta, si distinguono in assolute (iuris ed de iure) o relative (iuris tantum).

Le prime, a differenza delle seconde, non ammettono la prova contraria:

  • le presunzioni legali assolute hanno un rilievo sostanziale, in quanto integrano direttamente la fattispecie che, secondo la previsione normativa, produce un certo effetto giuridico. Cioè, le presunzioni legali assolute non rendono necessario esplicitare la capacità dimostrativa dell’elemento probatorio utilizzato rispetto al fatto ignoto che si intende dimostrare, in quanto questo effetto è stabilito dalla legge stessa, che lo considera, in sostanza, elemento costitutivo della fattispecie;

  • quelle legali relative e quelle semplici, invece, rilevano esclusivamente sul piano probatorio. Cioè, rappresentano degli elementi indiziari utilizzati in sede di controllo e accertamento in funzione di dimostrazione indiretta di fatti, che, in sede contenziosa, sono sottoposte al vaglio del giudice, cui spetta esprimersi, in definitiva, sulla relativa capacità probatoria.

 

2.1 – Modalità di utilizzo delle presunzioni nell’ambito dell’attività ispettiva fiscale.

La normativa tributaria contiene diversi casi di:

  • presunzioni legali assolute (ad esempio le risultanze acquisite nell’ambito delle indagini finanziarie), nel qual caso è sufficiente fare riferimento alle risultanze probatorie acquisite ed alla previsione normativa che ne conferisce rilievo di presunzione legale;

  • e di presunzioni legali relative (ad esempio quelle in tema di cessione e acquisto di beni presenti in magazzino), nel qual caso i verificatori hanno la necessità di specificare se la prova contraria sia stata o meno fornita e, in caso affermativo, esponendo le motivazioni per cui si ritiene che detta prova contraria sia o meno idonea a superare l’effetto probatorio stabilito dalla norma.

Abbiamo detto che, secondo l’art.2729 c.c., le presunzioni semplici possono essere ammesse solo se sussistono i requisiti di gravità, precisione e concordanza:

  • la gravità riguarda la consistenza dell’elemento presuntivo, che deve avere un peso rilevante in funzione della dimostrazione del fatto ignoto a cui si riferisce, di modo che, secondo un criterio probabilistico, l’ipotesi logica che se ne trae risulti quella più attendibile rispetto ai giudizi di fatto formulabili con riferimento ad un certo dato di comune esperienza;

  • la precisione attiene alla esattezza, specificità e concretezza che l’elemento presuntivo deve esprimere rispetto alle conseguenze che da esso possono essere tratte, oltre che alla univocità in base alla quale da quello stesso elemento sia possibile ricavare solo certe conclusioni e non altre;

  • la concordanza indica la coerenza e la non contraddittorietà degli elementi presuntivi utilizzati, che devono tutti condurre ad una stessa conseguenza.

Detti requisiti non sono previsti per le presunzioni semplicissime, cioè, prive dei citati requisiti, utilizzabili ove si adotti il metodo induttivo “puro”, che, pertanto, può essere fondato su fatti di carattere presuntivo di minore spessore dimostrativo, di cui è comunque necessaria una esposizione che deve risultare immune da profili di arbitrarietà, indeterminatezza e contraddittorietà.

In merito alle presunzioni semplici (aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza), utilizzabili nel metodo analitico-induttivo, la giurisprudenza di legittimità, in diverse occasioni, ha affermato che:

  • non si richiede che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignorato come l’unica conseguenza possibile secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, essendo sufficiente invece che, alla luce delle regole di esperienza, il fatto ignoto sia desumibile alla stregua di un canone di probabilità con riferimento a una connessione di accadimenti ragionevolmente verosimile in base a un criterio di normalità;

  • le presunzioni possono risultare gravi, precise e concordanti anche se desunte da dati di comune esperienza, sempre che rapportati, in maniera concreta e significativa, agli specifici elementi propri della fattispecie presa in esame;

  • la prova per presunzioni non esige che il fatto ignoto sia desumibile da una pluralità di fatti noti, potendo risultare sufficiente anche un unico fatto noto.

 

2.2 – Categorie di presunzioni utilizzabili nell’attività ispettiva.

Le presunzioni che possono essere utilizzate in via indiretta-presuntiva nell’attività ispettiva non sono teoricamente ipotizzabili a priori in maniera esaustiva e completa, in quanto sono riconducibili ad molteplici elaborazioni idonee a dimostrare, con un certo grado di attendibilità adeguato alle circostanze, fatti non conosciuti che si intendono dimostrare.

Le principali categorie di presunzioni sono:

  • Singoli elementi di fatto, di carattere materiale, ovvero complessi omogenei di elementi materiali, acquisiti nel corso dell’attività ispettiva. Ad esempio:

< rilevazione delle rimanenze in misura superiore o inferiore rispetto a quella per risultano ricevute o emesse fatture;

< rilevazione di consistenze di cassa superiori o inferiori alle risultanze contabili;

< rilevazione di finanziamenti all’impresa da parte del titolare o dei soci non giustificati dalle rispettive disponibilità;

< dichiarazioni di soggetti terzi acquisite in atti comprovanti l’effettuazione o la non effettuazione di certe operazioni.

 

  • Specifici elementi documentali, contabili o extracontabili, ovvero complessi omogenei di detti elementi, acquisiti nel corso dell’attività ispettiva. Ad esempio:

< fatture che non trovano coincidenza fra l’emittente e il ricevente;

< corrispondenza varia, agende;

< contabilità parallela a quella ufficiale in “nero”;

< documenti relativi a rapporti bancari del contribuente controllato e suoi clienti e fornitori.

 

  • Ricostruzioni indirette del ciclo d’affari del contribuente controllato. Ad esempio:

< riferimenti a medie o percentuali di redditività di certe attività economiche;

< percentuali di ricarico applicate al costo del venduto come risultanti dalla contabilità del contribuente ovvero ricavate altrimenti;

< valutazione dell’incidenza di certe componenti negativi (ad esempio costi pe acquisto di beni destinati alla rivendita o alla produzione) rispetto al reddito dichiarato;

< rilevazione di incongruenze fra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche di esercizio dell’attività svolta secondo le disposizioni contenute nell’art.62 sexies, D.L. 331/93 (sugli Studi di settore);

 

  • ragionamenti e/o elaborazioni logico-deduttivo, fondate su consolidate massime d’esperienza in considerazione di quanto normalmente accade in condizioni uguali a quelle esaminate. Ad esempio:

< confronto di attività e passività dichiarate con il valore normale o di mercato di analoghe transazioni poste in essere nelle medesime condizioni oggetto del controllo;

< secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità;

< secondo il comportamento assunto dal contribuente, che valutato complessivamente risulti assolutamente non rispondente ai principi di generale economicità che normalmente ispirano le attività economiche.

Si evidenzia che ogni genere di presunzione deve essere calibrata in concreto al tipo, alle caratteristiche ed alle dimensioni del soggetto controllato e che il relativo valore dimostrativo deve essere adeguatamente motivato in relazione ai presupposti previsti dalla norma per il metodo di accertamento adottato.

Negli ultimi anni, la Cassazione:

  • ha riconosciuto la possibilità di ricostruire in via analitica-induttiva il reddito della società di persone, valorizzando quale presunzione grave, precisa e concordante espressiva di ricavi non dichiarati, anche il fatto che i soci ed i loro familiari, privi di fonti di reddito diverse da quella rappresentata dalla partecipazione societaria, sono risultati in possesso di ingenti disponibilità finanziarie, di ingiustificata provenienza, assolutamente sproporzionate rispetto a quella che avrebbe dovuto essere la consistenza dei redditi ad essi imputabili, in base alla disciplina delle società di persone;

  • ha rilevato che il considerevole aumento di capitale in una società di capitali costituita a base familiare, per effetto di finanziamenti infruttiferi dei soci, risultati di fatto nullatenenti, possa essere ritenuto, ancora in un approccio analitico-induttivo presuntivamente sintomatico di redditi societari occultati al fisco;

  • è orientata ad attribuire rilevanza indiziaria, anche in presenza di contabilità esistente e formalmente corretta, al comportamento antieconomico dell’imprenditore, da questo in alcun modo spiegato o non giustificato.

Di seguito si riportano alcune decisioni della Cassazione che hanno aderito a tale orientamento:

  • Cassazione, n.1821 del 18.10.2000: “la regola alla quale si ispira chiunque svolga una attività economica è quella di ridurre i costi, a parità di tutte le altre condizioni. Pertanto, in presenza di comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso e in assenza di una sua diversa giustificazione, è legittimo il fondato sospetto che la incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si celi una diversa realtà…. In definitiva, in presenza di un comportamento contrario ai canoni dell’economicità che il contribuente non spieghi in alcun modo, o che giustifichi in maniera non convincente, è legittimo l’accertamento ai sensi dell’art.39, c. 1, lett. d), dpr 600/73” – analitico-induttivo;

  • Cassazione, n.7680 del 25.05.2002: “… l’imprenditore è senz’altro libero di applicare un canone di locazione inferiore a quello normalmente praticato, ma, in tal caso, ha l’onere di allegare e provare la ricorrenza di particolari condizioni oggettive che giustifichino tale comportamento, il quale, in caso contrario, potrà costituire un indice dell’occultamento di ricavi, quale presunzione grave, precisa e concordante;

  • Cassazione, n.10802 del 23.04.02: le regole dettate dall’art.9 Tuir in tema di determinazione del “valore normale” dei beni, rivestono non già una funzione meramente contabile, bensì un preciso valore sostanziale, quale criterio generale di valutazione delle varie componenti, positive e negative del reddito e come tale espressivo, anche, dei limiti di ammissibilità delle componenti negative, affermando che questo stesso principio generale impedisce che possano essere dedotto fiscalmente “costi non economicamente giustificati, al di sopra, in maniera rilevante (e perciò superiore alle eventuali normali oscillazioni di mercato) rispetto ai prezzi praticati comunemente” e concludendo che… simili costi ingiustificati non possono avere efficacia nei confronti del fisco per la parte che supera il normale valore di mercato. Ha altresì affermato che non assume rilevanza in senso contrario alla conclusione esposta, il principio generale della libertà dell’autonomia delle scelte imprenditoriali…. perché l’imprenditore, proprio perché tale, non può che agire secondo criteri di logica economica intesi ad ottenere il profitto più elevato ed a ridurre al minimo i costi…. occorre comunque che le varie operazioni, coordinate le une alle altre, abbiano un fine logico e rispondano, almeno nelle intenzioni di chi le pone in essere, a criteri di logica economica, sia pure intesa in senso ampio, con la conseguenza che chi ha posto in essere un comportamento palesemente antieconomico, da cui sono derivate conseguenze fiscali che hanno ridotto la base imponibile, ha l’onere di fornire al fisco una giustificazione razionale della propria scelta”;

  • Cassazione, n.12674 del 2005: ha ritenuto legittima la ripresa a tassazione di maggiori ricavi imponibili perché il ricarico risultante dalle scritture contabili, sebbene formalmente regolare, appariva insufficiente e, quindi, antieconomico rispetto al costo delle materie prime impiegate;

  • nella sentenza n.18038 del 09.09.05, l’antieconomicità in argomento viene collegata, ai fini della possibilità di fondarvi l’accertamento analitico-induttivo pure in presenza di scritture contabili formalmente corrette, alla complessiva inattendibilità di fatto dell’impianto contabile, desumibile dalla circostanza che questo risulti in concreto “confliggente con i criteri della ragionevolezza”.

L’Agenzia delle Entrate ha elaborato altre circostanze ritenute utilizzabili quali possibili prove di valenze indirette-presuntiva, nei confronti di imprese minori, soprattutto esercenti il commercio al minuto:

  • il rilevamento, all’atto dell’accesso, di una significativa discordanza fra la consistenza di cassa ed il totale degli scontrini emessi nella stessa giornata oppure a partire dal giorno dell’ultimo versamento in banca;

  • anomalie nei tempi di emissione degli scontrini (ad esempio: la concentrazione di questi negli ultimi giorni del periodo di liquidazione Iva ovvero dell’anno solare ovvero l’emissione di molti scontrini in prossimità dell’orario di chiusura o per cifre tonde);

  • descrizione sommaria delle rimanenze finali e scarso dettaglio della loro classificazione, che si prestano ad occultare operazioni di acquisto e/o di vendita in nero;

  • frequenti prelievi di denaro da parte del titolare, che possono essere sintomatici di acquisti senza fattura;

  • finanziamenti all’impresa da parte del titolare o dei soci non giustificati dalle rispettive disponibilità finanziarie che possono derivare da vendite in nero.

 

3. – SISTEMI DI DETERMINAZIONE AUTOMATICA DEI REDDITI D’IMPRESA MINORE E DI LAVORO AUTONOMO.

Fermo restando che la c.d. “presunzione di veridicità” delle scritture contabili regolarmente tenute costituisce pur sempre un principio cardine dell’ordinamento tributario, tale che le risultanze delle stesse possono essere superate solo se sussistono i requisiti previsti dalla norma per il ricorso all’accertamento induttivo puro o analitico-induttivo,

il legislatore, nel tempo, ha emanato diversi provvedimenti normativi, essenzialmente nei riguardi delle imprese minori e dei lavoratori autonomi, finalizzati alla determinazione automatica dei redditi.

In particolare riguardano la previsione dell’obbligo o della facoltà di riportare in dichiarazione il risultato economico conseguente all’applicazione dell’automatismo configurato dalla legge ovvero, per il caso contrario, di dimostrarne l’inapplicabilità nel caso concreto.

Fra gli strumenti via via introdotti nell’ambito di tale processo evolutivo si segnalano i seguenti:

  • coefficienti presuntivi di reddito, di cui al D.L. 853/84;

  • coefficienti presuntivi di compensi, ricavi e volume d’affari, di cui all’art.12, D.l. 69/89;

  • minimum tax, di cui all’art.11, D.L. 384/92;

  • parametri per la determinazione presuntiva di ricavi, compensi e volumi d’affari introdotti dall’art.3, comma 181, L. 549/95;

  • studi di settore, di cui all’art.62 bis, D.L. 331/93.

In merito agli studi di settore si accenna che:

  • la circostanza che il contribuente rientri nel capo di applicazione degli studi di settore, determina, quale principio generale, la necessità che lo stesso adegui, in sede di dichiarazione, ai risultati reddituali derivanti dall’applicazione dello studio, a meno che non dimostri, di fatto, la non adattabilità dello studio medesimo a specifiche condizioni di esercizio ed alle caratteristiche della sua attività;

  • in caso di non adeguamento e di mancata dimostrazione della concreta inoperatività dello studio, sussiste la possibilità per l’Ufficio di determinare il reddito del contribuente sulla base dello studio medesimo con l’obbligo, però, di instaurare il contraddittorio con il contribuente interessato;

  • secondo l’orientamento dell’A.F., la particolarità del meccanismo degli studi di settore, consiste nel configurare presunzioni gravi, precise e concordanti che, nei confronti dei contribuenti interessati, possono condurre a configurare una base imponibile diversa da quella dichiarata anche a prescindere dalla previsa ispezione della contabilità, configurando, così, una autonoma tecnica di accertamento e non già semplici elementi di prova della pretesa tributaria.

 

4. – VALORE GIURIDICO DELLE DICHIARAZIONI RESE DAL SOGGETTO CONTROLLATO E DA SOGGETTI CHE HANNO INTRATTENUTO TRA LORO RAPPORTI ECONOMICI.

In merito alle dichiarazioni rese dal soggetto controllato, la possibilità che i verificatori, nel corso dell’attività ispettiva, rivolgano richieste di chiarimenti, informazioni e delucidazioni al soggetto controllato, nonché di acquisire le osservazioni e le richieste dallo stesso spontaneamente formulate, è prevista dall’art.52, 6^ c., dpr 633/72, richiamato dall’art.33, 1^ c., dpr 600/73, nonché dall’art.12, 4^ c., L.212/2000.

Secondo la dottrina tali dichiarazioni, verbalizzate e sottoscritte dall’interessato, avrebbero valore giuridico di semplici “ammissioni, come tali liberamente valutabili dal giudice e prive di ogni valore proprio della prova legale.

Di contro, diverse decisioni della giurisprudenza hanno attribuito a dette dichiarazioni valore di confessione stragiudiziale.

Cioè, secondo l’art.2735 c.c. (Confessione stragiudiziale), la confessione stragiudiziale fatta alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale (facendo piena prova contro colui che l’ha formulata). Se è fatta a un terzo o se è contenuta in un testamento, è liberamente apprezzata dal giudice.

Quindi, ad esempio, è stato sostenuto che le dichiarazioni dell’amministratore di una società produttrice di calzature, relative ai quantitativi di pellame mediamente occorrenti per la produzione di queste, possono essere apprezzate appunto come una confessione stragiudiziale, quando siano rese in contraddittorio con i verbalizzanti e risultino dal verbale di constatazione, sottoscritto dallo stesso, legittimando pertanto l’accertamento per infedeltà della dichiarazione annuale, tanto come elemento indiziario grave, preciso e concordante, quanto come prova diretta.

È chiaro che l’efficacia probatoria di questa confessione può prodursi solo in relazione a fatti materiali e non anche per opinioni o giudizi di fatto o di diritto.

In merito alle dichiarazioni rese da soggetti terzi che hanno intrattenuto rapporti economici con il soggetto controllato, la legittimità tanto dell’acquisizione, quanto della successiva utilizzazione ai fini fiscali, per lungo tempo, è stata messa in dubbio per la previsione dell’art.7, d.lgs. 546/92, che esclude l’ammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario, da cui discenderebbe l’impossibilità del soggetto controllato di introdurre a sua difesa, nel processo stesso, dichiarazioni di terzi in grado di smentire o contrastare quelle a lui sfavorevoli acquisite dai verificatori nel corso dell’attività ispettiva.

La questione è stata risolta definitivamente dalla Corte Costituzionale, con la decisione n.18 del 12/01/2000, sancendo:

  • l’utilizzabilità nel processo tributario delle dichiarazioni di terzi eventualmente raccolte nella fase dell’istruttoria amministrativa, non già con il valore tipico delle “prove testimoniali” in senso stretto, bensì con quello che in generale caratterizza gli elementi indiziari, idonei pur sempre a concorrere alla formazione del convincimento del giudice;

  • resta ferma la possibilità del contribuente di contestare, in sede di esercizio del proprio diritto di difesa, la veridicità delle dichiarazioni di terzi, raccolte dall’A.F. nella fase procedimentale; in questo caso il giudice tributario, qualora non ritenga che l’accertamento sia adeguatamente sorretto da altri mezzi di prova ed anche a prescindere, quindi, dalle dichiarazioni di terzi, potrà e dovrà far uso degli ampi poteri inquisitori riconosciuti dall’art.7, 1^ c., d.lgs. 546/92, rinnovando e, se del caso, integrando, secondo le indicazioni delle parti e con tutte le garanzie di imparzialità, l’attività istruttoria dell’ufficio.

La successiva giurisprudenza della Cassazione, in diverse pronunce, ha ribadito che nel processo tributario è ammessa tanto la possibilità che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell’A.F. trovino ingresso a carico del contribuente con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, quanto il potere del contribuente di introdurre a difesa dichiarazioni rese da terzi in sede extra-processuale, con lo stesso valore probatorio.

Conseguentemente, appare fondato sostenere che:

  • le dichiarazioni rese da terzi possono essere utilizzate in funzione probatoria nell’ambito dell’attività ispettiva, oltre che del successivo procedimento di accertamento, secondo le generali modalità con cui devono essere valorizzate tute le altre prove indirette-presuntive, valutandone in concreto la capacità dimostrativa dei fatti che si intende provare, in maniera diversa a seconda che le stesse siano finalizzate a produrre effetti nei riguardi di un impianto contabile regolare e attendibile, ovvero, di contro, inesistente o sostanzialmente inaffidabile.

È chiaro che le dichiarazioni, tanto del contribuente controllato, che di terzi estranei all’attività ispettiva, devono essere ritualmente verbalizzate ed i processi verbali riportanti le dichiarazioni utilizzate per supportare i rilievi contenuti nello stesso verbale devono essere allegate al p.v.c. ed oggetto di specifici e chiari richiami nell’ambito dell’esposizione dei rilievi fiscali formulati.

 

5. – RISCONTRO ANALITICO – CENNI.

Come detto all’inizio del presente argomento, la ricostruzione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA può fondarsi su prove dirette della falsità o incompletezza dei dati contabilizzati e dichiarati dal contribuente e del mancato o irregolare rispetto di specifiche norme.

Quindi, al di fuori della possibilità dell’utilizzo di prove presuntive ovvero, avendo pur sempre riferimento alle risultanze delle scritture contabili, in via analitica-induttiva, l’attività ispettiva deve essere sviluppata mediante l’acquisizione di prove dirette della falsità, inesattezza od incompletezza della dichiarazione.

A detta acquisizione può pervenirsi:

  • tanto sulla base di specifiche risultanze documentali e materiali,

  • quanto mediante riscontri finalizzati ad appurare che l’applicazione delle norme fiscali sia avvenuta correttamente o meno,

  • analiticamente orientati a singole componenti reddituali ovvero a più componenti interessate ad una operazione unitaria od omogenea.

Tale particolare attività di riscontro, ove rivolta, ai fini dell’imposizione sui redditi, nei riguardi dei soggetti che svolgono attività d’impresa, deve presupporre una adeguata conoscenza delle norme generali e delle disposizioni di dettaglio che sovrintendono alla tassazione dei soggetti da controllare, oltre che muovere da una preventiva selezione degli obiettivi su cui concentrare le operazioni ispettive, fondata, oltre che sulle risultanze dell’attività di intelligence, sulla preventiva conoscenza delle caratteristiche economiche dell’impresa da controllare.

Pertanto, l’attività ispettiva con metodo analitico riguarda il controllo degli obblighi ed adempimenti previsti dalle singole norme impositive, sulla base della documentazione contabile obbligatoria tenuta dal contribuente sottoposto a verifica, per verificare il mancato o irregolare rispetto delle norme tributarie.

(Fonte: Circ. 1/2008 Comando Generale della G. di F. III Rep. Op. – Ufficio Tutela Entrate – Istruzione sull’attività di verifica)

 

26 giugno 2013

Antonino Pernice