Il presupposto IRAP per i professionisti

siamo nel momento più caldo per le dichiarazioni dei redditi: facciamo il punto sulla recente giurisprudenza di Cassazione in tema di debenza dell’IRAP per i liberi professionisti (Fabrizio Stella & Nicola Monfreda)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8962 del 12 aprile 2013, ha nuovamente espresso la propria posizione interpretativa in ordine all’estensione del presupposto d’imposta ai fini IRAP per gli esercenti arti o professioni.

In particolare, l’organo giurisdizionale de quo, ripercorrendo quanto già affermato in precedenti statuizioni, ha ribadito che, in tema di IRAP, l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata.

Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse ed impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

La prefata sentenza, pertanto, si pone sulla medesima linea già evidenziata dalla giurisprudenza tributaria nel corso degli ultimi anni e fatta propria, altresì, dall’Amministrazione Finanziaria con la Circolare n. 45/E del 13 giugno 2008 e, nel caso di specie, sottolinea che è sottoponibile alla disciplina IRAP il professionista che si avvale di un collaboratore per la fornitura di tutti i necessari servizi (dalla telefonia al segretariato) in forma rilevante e non occasionale, anche se formalmente dipendente di una società terza, poiché quanto rileva è che il rapporto sia di tipo continuativo, come pure i pagamenti relativi al servizio prestato.

Al riguardo, occorre evidenziare che la medesima Corte, con l’ordinanza nr. 15803 del 19 luglio 2011, aveva già evidenziato che l’Irap è applicabile nei confronti del professionista che si avvale di un lavoratore dipendente in maniera stabile, costituendo un’attività “autonomamente organizzata” a corredo dell’attività professionale svolta. Nella motivazione della dianzi citata pronuncia si legge infatti che “(1) è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto il professionista che svolga attività non autonomamente organizzata; (2) il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; (3) soprattutto, costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni”.

 

Come è ben noto, l’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997, con riferimento al presupposto d’imposta ai fini Irap, dispone testualmente che “presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”; in ragione del fatto che, mentre per l’attività di impresa l’esistenza di un’organizzazione di mezzi e di personale è insita nella natura stessa dell’attività (articoli 2082 e 2195 codice civile), per i lavoratori autonomi tale requisito può essere verificato solo nel caso concreto, spesso la prassi amministrativa e la giurisprudenza di merito e di legittimità hanno percorso orientamenti interpretativi divergenti proprio con specifico riguardo alla problematica inerente la sussistenza o meno di un presupposto d’imposta in capo al lavoratore autonomo a prescindere dalla tipologia di organizzazione di cui quest’ultimo si avvale.

Ex pluribus, la Corte di Cassazione, con ordinanza nr.2702 del 10 gennaio 2008, si è già pronunciata in merito alla vexata questio di cui trattasi, affermando, coerentemente alla recente posizione assunta nel provvedimento di che trattasi, che, per quanto concerne gli esercenti arti o professioni, l’insorgere del rapporto giuridico d’imposta ai fini Irap è subordinato alla sussistenza di un’autonoma organizzazione caratterizzata da un quid pluris rispetto ai beni strumentali minimi per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione. Nella richiamata pronuncia, l’organo giurisdizionale respinge l’interpretazione degli artt.2, 3, 4 e 8 del D.Lgs. nr.446/1997 prospettata dall’Amministrazione Finanziaria e fondata sul principio in ragione del quale, con riguardo all’attività di lavoro autonomo, il presupposto d’imposta dell’autonoma organizzazione non richiede necessariamente l’impiego di capitali e beni strumentali e/o lavoro altrui.

Infatti, l’Amministrazione Finanziaria, con la risoluzione n. 32/E del 31.01.2002, nel fornire un’interpretazione dell’indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza nr.156/2001, ha affermato che tutti gli esercenti arti o professioni devono considerarsi soggetti passivi ai fini Irap e, quindi, anche i professionisti “non organizzati”, restando esclusi soltanto coloro che si impegnano in attività di lavoro autonomo occasionale o saltuario ovvero che si inquadrano in rapporti di collaborazione coordinanta e continuativa.

In altre parole, l’Amministrazione Finanziaria, nella risoluzione di cui sopra, riprendendo quanto già affermato nella circolare n. 141/E del 04.06.19981, ritiene che l’Irap sia sempre dovuta dal lavoratore autonomo poiché il presupposto dell’autonoma organizzazione (inserito nell’art.2 del D.Lgs. nr.446/1997 dall’art.1, c. 1, D.Lgs. n. 137 del 10.04.1998) si identifica semplicemente nell’abitudinarietà stessa della professione che non può prescindere dalla stabilità e programmazione nel tempo delle energie intellettuali impiegate per acquisire clienti, ottenere credito e competere sul mercato, frutto di una personale organizzazione.

La Corte di Cassazione, al contrario, con l’ordinanza n. 2702 del 10 gennaio 2008 riporta l’orientamento oramai consolidato nella giurisprudenza non solo della medesima Corte, ma anche degli organi di giurisdizione tributaria di primo e secondo grado, e afferma sostanzialmente che l’Irap è finalizzata ad incidere sulla idoneità produttiva espressa dal complesso organizzativo costituito da beni strumentali, capitali esterni e lavoro altrui, potenzialità distinta ed ulteriore rispetto alla professionalità del lavoratore autonomo la cui capacità contributiva è oggetto di separata tassazione ai fini delle imposte sul reddito ai sensi degli artt. 53 e 54 del D.P.R. n.917 del 22.12.1986.

In altre parole, l’Irap colpisce il valore aggiunto che l’autonomo complesso organizzativo di cui il professionista si avvale è in grado di apportare in maniera ulteriore rispetto all’attività personale del contribuente.

Pertanto, secondo l’interpretazione prospettata dalla Corte di Cassazione, ai fini Irap, si assiste ad una disgiunzione e, quindi, autonomia tra la capacità produttiva espressa dall’assetto organizzativo/complesso di uomini, mezzi, materiali e finanziamenti, e la capacità produttiva dell’individuo. Su tale punto, sembra interessante richiamare la posizione espressa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze nella sentenza 28 maggio 2003 n.1 5, in cui si afferma che “ai fini Irap, per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, si ha autonomia organizzativa quando gli strumenti materiali e personali utilizzati dal professionista siano in grado di svincolare, almeno potenzialmente, l’attività dell’organizzazione da quella dell’organizzatore ovvero ogni qualvolta la medesima si svilupperà e potrà esercitare in assenza del lavoratore autonomo”.2

In conclusione, la Corte di Cassazione, nell’ordinanza esaminata, in ragione del fatto che l’Irap non colpisce il reddito personale del contribuente, bensì il valore aggiunto prodotto dall’attività autonomamente organizzata ed è, quindi, un’imposta di carattere reale, in relazione alla quale assume rilevanza l’autonoma organizzazione, ulteriore rispetto al requisito della professionalità, cioè quella suscettibile di apportare detto valore, che è appunto il presupposto impositivo3, afferma testualmente che “l’attività di lavoro autonomo, diversa dall’impresa commerciale, alla luce della interpretazione fornita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 156 del 2001, integra il presupposto impositivo per l’Irap ove si svolga per mezzo di una attività autonomamente organizzata. In particolare, il requisito organizzativo rilevante, il cui accertamento spetta al giudice di merito, sussiste quando il contribuente, che sia responsabile dell’organizzazione e non sia inserito in strutture riferibili alla responsabilità altrui, eserciti l’attività di lavoro autonomo con l’impiego di beni strumentali, eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività auto organizzata per il solo lavoro personale, oppure si avvalga, in modo non occasionale, del lavoro altrui”.

 

Le conclusioni alle quali giunge la Corte di Cassazione nell’ordinanza dianzi citata, come sottolineato in precedenza, confermano il consolidato orientamento giurisprudenziale in ragione del quale, come si legge nella sentenza della medesima Corte n. 3678 del 8 febbraio 2007, l’esercizio dell’attività autonoma è escluso dall’applicazione dell’Irap qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata, requisito che ricorre solo qualora il contribuente: sia il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

 

La sentenza n. 3678 del 08.02.2007 viene pronunciata sulla scorta dei criteri espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza nr.156 del 10 maggio 2001, nella quale si afferma che:

  • l’Irap è un’imposta reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate;

  • in ragione del fatto che l’elemento organizzativo non è necessariamente connaturato con l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui;

  • nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, rappresentato, secondo l’art. 2, dall'”esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi“, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa.

In altre parole, nella sentenza n. 156 del 2001 della Corte Costituzionale, richiamata espressamente dalla sentenza n. 3678 del 2007 della Corte di Cassazione, si afferma che sussiste la possibilità che l’attività professionale possa essere svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui e, quindi, fuori dal campo di applicazione dell’Irap, imposta reale che, lungi dal rappresentare una sovrimposta sul reddito del professionista, è legittimamente finalizzata ad incidere, in conformità con l’art. 53 della Costituzione, sul valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate e, quindi, dalla ulteriore ricchezza creata dalla singola unità produttiva.

La Corte di Cassazione, pertanto, nella sentenza n. 3678/2007 afferma la validità della tesi in ragione della quale è necessario distinguere tra la ricchezza prodotta dall’impiego coordinato delle proprie facoltà mentali ed attitudinali, espressione della capacità del professionista, che in tale contesto è chiamato a scontare le imposte sul reddito di lavoro autonomo, e la ricchezza o meglio il “surplus di attività” agevolata dalla struttura organizzativa di cui si avvale il professionista. In altre parole, l’Irap colpisce il quid pluris realizzabile rispetto alla produttività autoorganizzata del lavoro del professionista.

A detta della Corte, infatti, l’imposizione deve concentrarsi sul differenziale che “rimanda ad una organizzazione di capitali o lavoro altrui affiancata al lavoratore autonomo nella produzione del profitto riconducibile all’organizzazione in quanto tale e non al singolo componente”. L’Irap, pertanto, rappresenta un’imposta reale che colpisce una capacità produttiva diversa e distinta da quella del professionista in quanto incide su quella parte di profitto ulteriore che il professionista ha prodotto avvalendosi di quel complesso organizzativo costituito da lavoratori dipendenti, finanziamenti esterni e beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile.

Le considerazioni de quibus, inoltre, derivano dall’analisi di quanto affermato nella Relazione di accompagnamento del provvedimento istitutivo dell’imposta, redatta dalla Commissione presieduta dal Prof. F.Gallo. Di rilevante interesse, ai fini del presente lavoro, è la delimitazione del concetto di “attività organizzata”; a tal proposito si afferma che “presupposto dell’Irap sarebbe più puntualmente l’esercizio di attività organizzate che si esprimono in una sequenza di atti e comportamenti coordinati e programmati … l’organizzazione si risolve, per il suo titolare, in disponibilità di beni e in prestazioni economicamente valutabili, corrispondenti alla potenzialità produttiva dell’organizzazione stessa.”

Pertanto, secondo la Commissione di cui sopra, “l’ulteriore tassazione Irap che si aggiunge a quella sui redditi, è giustificata dalla titolarità di una struttura produttiva organizzata che esprime potenzialità economica diversamente graduata a seconda delle dimensioni e dell’attitudine produttiva, potenzialità economica inesistente quando la produzione deriva dal lavoro personale del professionista.”

Ulteriore pronuncia di interesse in materia, tra le tante, è rappresentata dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 21203 del 5 novembre 2004 che afferma la non imponibilità ai fini Irap del professionista che, pur in presenza di beni strumentali e di occasionali compensi a terzi, non si avvale di una struttura organizzata stabile e cioè con lavoratori o collaboratori parasubordinati o con l’impiego di capitali esterni. Tale sentenza, inoltre, è richiamata dalla sentenza nr. 233 del 3 luglio 2006 della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna che, respingendo la tesi dell’Amministrazione Finanziaria in ragione della quale la già analizzata sentenza nr.156/2001 della Corte Costituzionale intende escludere dal campo applicativo dell’imposta di cui trattasi non i professionisti ma solo i collaboratori coordinati e continuativi ed i lavoratori occasionali, afferma testualmente che “L’Irap non è un’imposta sul reddito che colpisce il reddito professionale, bensì un’imposta reale che colpisce il valore aggiunto delle attività autonomamente organizzate. Pertanto, il libero professionista è fuori dall’ambito di applicazione dell’Irap se svolge un’attività senza collaboratori e senza alcuna forma di finanziamento.”

Con la sentenza di cui sopra ed in ragione del principio di diritto de quo, la Commissione Tributaria Provinciale di Bologna accoglie il ricorso presentato da un medico di base avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione finanziaria in ordine all’istanza di restituzione dell’Irap regolarmente versata ma asseritamente non dovuta in base alla considerazione che il ricorrente, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001, essendo privo di dipendenti e dotato di beni strumentali di modico valore, non aveva realizzato il presupposto di imposta4.

 

Per maggiore completezza della trattazione si ritiene utile richiamare i criteri che emergono dall’analisi delle principali sentenze emesse dalla Corte di Cassazione in materia di presupposto d’imposta ai fini Irap. In particolare:

  • nella sentenza n. 16 febbraio 2007 n. 3672 si afferma che si ha esercizio di “attività autonomamente organizzata” soggetta ad IRAP quando l’attività abituale ed autonoma del contribuente dia luogo ad un’organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente stesso. “Di guisa che l’imposta non risulta applicabile ove in concreto i mezzi personali e materiali di cui si sia avvalso il contribuente (nel caso di specie un dottore commercialista) costituiscano un mero ausilio della sua attività personale, simile a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esclusi dall’applicazione dell’IRAP (collaboratori continuativi, lavoratori dipendenti)”;

  • per la sentenza 16 febbraio 2007 n. 3675non è invece di ostacolo alla sussistenza dei requisiti per l’applicazione dell’IRAP il fatto che l’apporto del titolare sia insostituibile perché si tratti di attività riservata agli iscritti ad un albo (nel caso di specie un avvocato)”;

  • alla luce della sentenza 16 febbraio 2007 n. 3677al fine di individuare i requisiti dell’autonoma amministrazione l’art. 2 del D.lgs. 446 del 1997 richiede unicamente la presenza di un’organizzazione autonoma senza fissare alcun limite quantitativo diverso da quello insito nel concetto stesso evocato dalle parole usate; non occorre, quindi, che si tratti di una struttura d’importanza prevalente rispetto al lavoro del titolare o addirittura in grado di generare profitti anche senza di lui ma è sufficiente che vi sia un insieme tale da porre il professionista (nel caso di specie un regioniere commercialista) in una condizione più favorevole di quella in cui si sarebbe trovato senza di esso.”;

  • nella sentenza 5 marzo 2007 n. 5009 si afferma che l’imposta non risulta applicabile ove in concreto i mezzi personali e materiali di cui si sia avvalso il contribuente (nel caso di specie un ragioniere) costituiscano un mero ausilio della sua attività personale, simile a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esclusi dall’applicazione dell’IRAP (collaboratori continuativi, lavoratori dipendenti);

  • nella sentenza 16 febbraio 2007 n. 3673 si legge cheNon sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’IRAP i professionisti (nel caso di specie un promotore finanziario) che si avvalgano, in modo non occasionale, di lavoro altrui, o impieghino nell’organizzazione beni strumentali eccedenti, per quantità o valore, il minimo comunemente ritenuto indispensabile per l’esercizio dell’attività: eccedenza di cui è indice, fra l’altro, l’avvenuta deduzione del costo ai fini dell’IRPEF o dell’IVA.”;

  • le Sez. Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12111 del 26 maggio 2009, hanno ribadito che “l’esercizio dell’attività di promotore finanziario di cui all’art. 31, comma 2, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni”;

  • nella sentenza del 28 aprile 2010 n. 10240 si afferma che “la disponibilità, da parte dei medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, di uno studio, avente le caratteristiche e dotato delle attrezzature indicate nell’art. 22 dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, reso esecutivo con d.P.R. 28 luglio 2000, n. 270, rientrando nell’ambito del “minimo indispensabile” per l’esercizio dell’attività professionale, ed essendo obbligatoria ai fini dell’instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non integra, di per sé, in assenza di personale dipendente, il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini del presupposto impositivo.”

L’Agenzia delle Entrate, sulla scorta degli orientamenti espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001 e dalla Corte di Cassazione nelle sentenza n. 21203 del 5 novembre 2004 e nel c.d. dies a quo Irap5, con la Circolare n. 45/E del 13 giugno 2008 ha chiaramente affermato che “non è ulteriormente sostenibile la tesi interpretativa dell’assoggettamento generalizzato ad IRAP degli esercenti arti e professioni”. Nell’istruzione ministeriale, alla quale fa seguito la Circolare n. 28 maggio 2010 n. 28/E, pertanto, si afferma il principio in ragione del quale gli esercenti arti e professioni rientrano nell’ambito applicativo della fattispecie impositiva in esame solo nel momento in cui si avvalgono di un’autonoma organizzazione, elemento di fatto la cui sussistenza deve essere accertata caso per caso e nel concreto, pur seguendo i criteri operativi dettati con le citate disposizioni.

 

17 giugno 2013

Fabrizio Stella e Nicola Monfreda

1Nella Circolare nr.141/E del 04.06.1998 si legge cheCon riferimento alla locuzione “autonomamente organizzata”, si precisa che l’obiettivo che il legislatore ha inteso perseguire è quello di escludere dall’ambito di applicazione del tributo tutte quelle attività che, pur potendosi astrattamente ricondurre all’esercizio d’impresa, di arti o professioni, non sono tuttavia esercitate mediante un’organizzazione autonoma da parte del soggetto interessato. È il caso, ad esempio, dell’attività di collaborazione coordinata e continuativa che si configura soltanto laddove non vengano impiegati propri “mezzi organizzati” (cfr. art. 49, comma 2, lett. a), del T.U.I.R. – D.P.R. n. 917 del 1986).”

2 Vgs. per ulteriori approfondimenti BRIGHENTI F., Irap e professionisti non organizzati: la storia continua, in Boll.Trib. 2003, p.1352; CIAMEI V., Irap e professionisti: scontro ancora aperto, Giur.merito 2004, p.370.

3 Vgs. sul punto la sentenza della Commissione Tributaria Bologna, Sez.X, 27.10.2004 nr.87.

4 La Commissione Tributaria si avvale anche della dottrina rinviando, ad ulteriore conferma della posizione assunta, a DE MITA E., su “Il Sole24Ore” del 03.02.2002, p.11.

5 L’8 febbraio 2007, la sezione tributaria della Corte di Cassazione ha deliberato circa 80 sentenze in materia di IRAP, concernenti per la maggior parte la questione dell’assoggettamento a tale imposta degli esercenti arti e professioni, enunciando alcuni importanti principi ai fini dell’individuazione dell’attività autonomamente organizzata di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997.