Detrazione IVA su acquisto yacht: occorre prova dell’inerenza

per le società che non operano nel settore nautico, è necessario dimostrare l’inerenza dell’acquisto di un’imbarcazione prima di detrarre l’IVA

E’ legittimo l’avviso di accertamento con il quale il Fisco recupera a tassazione l’imposta sul valore aggiunto (IVA), conseguente alla mancata regolarizzazione dell’acquisto di uno yacht, effettuato in sospensione d’imposta, se l’attività d’impresa non è inerente al settore nautico. Infatti il requisito dell’inerenza, in assenza di operazioni attive, non può essere desunto dalla sola qualità di imprenditore individuale o societario dell’acquirente del bene. Lo si evince dalla breve ordinanza 10554 della Corte di Cassazione, pubblicata 25 giugno 2012.

 

Premessa

E’ legittimo l’avviso di accertamento con il quale il Fisco recupera a tassazione l’imposta sul valore aggiunto (IVA), conseguente alla mancata regolarizzazione dell’acquisto di uno yacht, effettuato in sospensione d’imposta, se l’attività d’impresa non è inerente al settore nautico. Infatti il requisito dell’inerenza, in assenza di operazioni attive, non può essere desunto dalla sola qualità di imprenditore individuale o societario dell’acquirente del bene.

Lo si evince dalla breve ordinanza 10554 della Corte di Cassazione, pubblicata 25 giugno 2012.

 

L’accertamento

Una società impugnava davanti al giudice tributario l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione l’IVA, scaturente dalla mancata regolarizzazione dell’acquisto di un’imbarcazione da diporto, effettuato in sospensione d’imposta ai sensi dell’art. 8, co. 2, del d.P.R. 633/72.

Ad avviso dell’Ufficio si trattava di un bene “non inerente” all’attività esercitata dalla società.

Tale tesi trovava l’avallo dell’adita CTP che di fatti rigettava il ricorso. Di poi la sentenza della CTR del Lazio che, all’esito dell’appello proposto dalla società, confermava la decisione di prime cure, ritenendo non provato il requisito dell’inerenza, in quanto la contribuente:

  • non aveva mai svolto attività di produzione nel settore nautico, né tantomeno aveva stipulato contratti di consulenza e di collaborazione con soggetti muniti di specifica professionalità nel settore in questione.

Avverso la sentenza della CTR, la contribuente proponeva ricorso per cassazione, ma l’atto non ha sortito gli effetti sperati.

 

La Corte: prova dell’inerenza

In sostanza, la Sezione Tributaria della Cassazione ha ritenuto legittimo il recupero a tassazione dell’IVA perché la società ricorrente non ha dimostrato di avere svolto attività nel settore nautico.

Gli Ermellini, per quanto attinente al merito dell’accertamento, hanno infatti osservato che la detrazione di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 633/72, dell’imposta assolta, dovuta o addebitata a titolo di rivalsa in relazione all’acquisto di beni o servizi effettuato nell’esercizio d’impresa richiede:

a) che i relativi contratti siano stipulati dall’imprenditore in quanto tale;

b) l’inerenza dei beni o servizi all’attività d’impresa.

L’inerenza, “in assenza di operazioni attive, non può essere, però, presunta solo per la qualità di imprenditore individuale o societario dell’acquirente del bene, trattandosi di elemento puramente indiziario, rispetto ad una caratteristica che postula l’effettivo esercizio dell’impresa e che, dunque, esige la temporaneità di detta assenza ed il ricadere dell’acquisto medesimo in una fase preparatoria dell’impiego produttivo. Detto elemento, pertanto, deve trovare conforto in altre circostanze della concreta vicenda (con onere della prova a carico di chi invochi la detrazione), idonee ad evidenziare l’effettiva connessione dell’acquisto con l’espletamento della progettata attività imprenditoriale” (Cass. 2729/01, 131197/09).

 

Articolo 19, comma 1, d.P.R. 633/1972

Permette al compratore di portare in detrazione l’IVA addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio d’impresa. Il diritto alla detrazione infatti richiede un quid pluris rispetto alla qualità di imprenditore dell’acquirente, ossia l’inerenza o strumentalità del bene comprato rispetto all’attività imprenditoriale. In altri termini, il collegamento funzionale dell’acquisto all’esercizio dell’impresa.

 

Onere della prova

Grava sul contribuente l’onere di dimostrare la sussistenza dell’inerenza o della strumentalità. I detti requisiti non si possono presumere in ragione della qualità di società commerciale dell’acquirente.

L’Amministrazione Finanziaria ha più volte affermato che il diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti è subordinato all’“inerenza” della spesa effettuata rispetto all’attività specifica dell’azienda. Inoltre, al fine dell’esercizio del diritto alla detrazione, il contribuente non deve attendere l’effettiva utilizzazione dei beni e dei servizi nella propria attività, essendo sufficiente che i beni e i servizi siano “afferenti”, cioè destinati a essere utilizzati in operazioni che danno diritto a detrazione. (circolare 24/12/1997 n. 328).

 

 

Ebbene, nel caso di specie, la contribuente non ha fornito elementi di prova atti a smentire gli elementi presuntivi raccolti dai verbalizzanti e posti a fondamento dell’impugnata sentenza.

 

Accertamento dell’IVA

Inoltre, il Collegio ha ritenuto scevro da qualsivoglia vizio motivazionale l’avviso di accertamento oggetto di controversia; avviso che rinviava “per relationem” al processo verbale di constatazione (P.v.c.) redatto dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate “a seguito di verifica presso la società”.

A riguardo, il Collegio ha ribadito che, in tema di accertamento dell’IVA, ai sensi dell’art. 56 del d.P.R. 633/72:

  • l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento può essere assolto anche mediante rinvio ad altri atti conosciuti o conoscibili da parte del contribuente, ed in particolare al verbale redatto dalla Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria”.

Pertanto, nei casi di impugnazioni, il giudice tributario deve accertare, motivando adeguatamente sul punto:

  • se il detto verbale sia stato posto nella sfera di conoscenza del contribuente, tenendo presente che tale presupposto deve considerarsi ‘in re ipsa’ quando il riferimento attiene a verbali di ispezione o verifica redatti alla presenza del contribuente, a lui comunicati o notificati nei modi di legge”.

 

Conclusioni

Insomma, alla stregua delle riportate considerazioni, la Corte di Cassazione, decidendo in camera di consiglio, ha concluso per il rigetto del ricorso, con condanna della contribuente alla rifusione delle spese di lite, che sono state liquidate in 4mila euro, oltre quelle prenotate a debito.

 

1 marzo 2013

Antonio Gigliotti