Studi di settore: accertamento nullo se c’è solo scostamento dei ricavi senza altre prove

è l’ufficio a dovere provare la ricorrenza di circostanze gravi, precise e concordanti e l’applicazione di tale regola non determina un’inversione dell’onere della prova con la finalità di imputare al contribuente l’onere di dimostrare la divergenza trai dati indicati e quelli medi: l’ufficio deve produrre ulteriore documentazione ai fini della giustificazione della pretesa fiscale

E’ illegittimo l’accertamento fondato sullo scostamento dei ricavi dallo standard in materia di studi di settore, restando a carico dell’ufficio la produzione di ulteriore documentazione ai fini della giustificare la pretesa fiscale.

La Suprema Corte, con sentenza n. 17804 depositata il 17 ottobre 2012, ha ritenuto che in tema di applicazione di studi di settore lo scostamento dei dati reali dichiarati dal contribuente rispetto a quelli relativi alla media del settore determina la nullità dell’accertamento.

 

Studi settore

I parametri elaborati con gli studi di settore attraverso analisi economiche e tecniche statistico-matematiche, consentono di valutare i ricavi o i compensi che possono imputarsi al contribuente. In sostanza, consentono di tracciare i rapporti che possono originarsi tra le variabili strutturali e contabili delle società costituite da lavoratori autonomi con riferimento al settore economico di appartenenza, ai processi produttivi utilizzati, all’organizzazione, ai prodotti e servizi oggetto dell’attività. Gli studi di settore vengono usati dall’ufficio al fine dell’attività di controllo e dal contribuente per verificare, in sede di dichiarazione, la congruità dei ricavi dichiarati e dei valori economici attinenti l’attività di settore, Tali parametri sono degli strumenti presuntivi che misurano i ricavi, i compensi e il volume d’affari dei lavoratori che svolgono attività di impresa oppure arti e professioni (Dpcm del 29 gennaio 1996). In particolare, i parametri si applicano ai soggetti per i quali non sono ancora stati approvati gli studi di settore o per i quali gli studi, pur approvati, non sono applicabili.

La procedura prevede, previa instaurazione del contraddittorio, l’assoggettamento ad accertamento per quei contribuenti che hanno annotato nelle scritture contabili ricavi o compensi, oppure registrato corrispettivi, per un importo inferiore a quello che risulta dall’applicazione dei parametri. In questo caso, l’attività istruttoria dell’Agenzia delle entrate viene sempre preceduta da un invito al contraddittorio (cfr. Dpcm 27 marzo 1997).

 

Il caso

Il contribuente svolgente attività di artigiano ha impugnato l’accertamento emesso dall’ufficio finanziario perché i ricavi si discostavano non di molto dai parametri degli studi di settore. La CTP e la CTR non hanno accolto il ricorso del contribuente confermando la legittimità dell’atto impositivo.

La Suprema Corte, non accogliendo le motivazioni addotte dai giudici di merito, ha ritenuto che il mero scostamento dei ricavi dichiarati dai parametri applicati non può giustificare l’applicazione del metodo induttivo ì a cui l’ufficio può ricorrere condizione che possa dimostrare l’esistenza di altri elementi contro il contribuente. Infatti è stato ritenuto che “sembra doversi ritenere viziato da illegittimità l’accertamento il quale tragga origine dal mero scostamento dei dati reali dichiarati dal contribuente rispetto a quelli relativi alla media del settore senza che l’amministrazione finanziaria, su cui incombe l’onere della prova, suffraghi la pretesa fiscale con ulteriori elementi ed indizi tali da supportare l’inattendibilità dei dati riscontra rispetto all’ausilio statistico. Questa interpretazione risponde al principio generale per cui il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza… Non configura gli estremi di una prova per presunzioni, ma occorre, invece, che risulti qualche elemento ulteriore, tra cui, ad esempio, l’abnormità e l’irragionevolezza della difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente e la media del settore”.

Da quanto precede, si evince che è l’ufficio a dovere provare la ricorrenza di circostanze gravi, precise e concordanti e l’applicazione di tale regola non determina un’inversione dell’onere della prova con la finalità di imputare al contribuente l’onere di dimostrare la divergenza trai dati indicati e quelli medi.

Indubbiamente la sentenza in esame rappresenta un riconoscimento a favore del contribuente in materia di studi di settore dal momento che se lo scostamento non è comprovato da ulteriori elementi forniti dall’amministrazione l’accertamento non è valido.

Si segnala sul tema in esame un’ulteriore sentenza della Cassazione favorevole al contribuente secondo cui gli studi di settore non possono essere applicati se il contribuente dichiara un volume di affari inferiore dimostrando con idonea certificazione le sue precarie condizioni fisiche. Pertanto se l’accertamento rivela valori che sono contestati in base a documentazione probatoria risultano inidonei a supportare accertamento stesso e per tale motivo gli studi di settore non sono applicabile (Cass. 12 ottobre 2012, n. 17534).

 

26 ottobre 2012

Enzo Di Giacomo