I controlli sulle annualità condonate

ecco la strategia d’azione dell’Agenzia per eventuali controlli sulle annualità 2000 – 2001- 2002 per cui erano stati presentati i condoni IVA

Con circolare n.1/E del 13 gennaio 2012 l’Agenzia delle Entrate ha fornito ai propri uffici periferici le indicazioni sui comportamenti da tenere nei confronti dei soggetti che hanno aderito al condono di cui alla legge n.289/2002, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 247, depositata il 25 luglio 2011 (che ha affermato il principio secondo il quale i termini per l’accertamento “raddoppiati” operano automaticamente in presenza della speciale condizione obiettiva rappresentata dall’obbligo di denuncia per i reati previsti dal decreto legislativo n. 74 del 2000, risultando “del tutto irrilevante che detto obbligo … possa insorgere anche dopo il decorso del termine “breve” o possa non essere adempiuto entro tale termine” e delle sentenze della Corte di Giustizia del 17 luglio 2008 (in causa C-132/06) e dell’11 dicembre 2008 (in causa C-174/07), le quali hanno dichiarato l’invalidità delle sanatorie previste agli articoli 8 e 9 della legge n. 289 del 2002.

 

Gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale

I principi affermati nella menzionata sentenza della Corte Costituzionale determinano rilevanti effetti in tema di accertamenti ai fini IVA relativi ai periodi d’imposta che abbiano formato oggetto delle sanatorie di cui alla legge n. 289 del 2002 e per i quali i termini di decadenza del potere accertativo siano ancora pendenti a causa della avvenuta commissione, con riferimento ai periodi d’imposta medesimi, di reati previsti dal decreto legislativo n. 74 del 2000 rilevanti ai fini dell’IVA (in tali casi l’accertamento risulta legittimo anche se l’obbligo di denunciare il reato all’autorità giudiziaria non sia stato assolto prima che il termine ordinario fosse, a suo tempo, decaduto).

I citati, rilevanti effetti della sentenza della Corte costituzionale risultano inoltre recepiti anche dall’art. 2, c. 5-ter, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, che ha disposto la proroga di un anno dei termini per l’accertamento ai fini IVA nei confronti dei contribuenti “che hanno aderito al condono di cui alla legge n. 289 del 2002”.

Come rilevato dalle Entrate “ quest’ultima norma, infatti, considera evidentemente che i termini di decadenza dell’azione di accertamento per i periodi d’imposta “condonabili” ai sensi della richiamata legge, ancora pendenti dopo la pronunzia della Corte Costituzionale, risultavano non adeguati a garantire il tempestivo esercizio delle attività di controllo conseguenti alla affermata “riespansione del potere accertativo dell’amministrazione”, con riguardo alle posizioni caratterizzate dalla sussistenza di violazioni penali”.

E quindi, “la norma in parola debba essere interpretata nel senso che la proroga da essa disposta si riferisce esclusivamente ai periodi d’imposta per i quali il contribuente si sia avvalso, ai fini IVA, delle sanatorie previste dalla legge n. 289 del 2002 idonee ad inibire, o limitare, il potere accertativo, avendo la norma stessa il chiaro intento di garantire un congruo margine temporale per considerare, ai fini dell’eventuale accertamento, le annualità 2000 e 2001 (in caso di omessa dichiarazione) e 2002, per le quali l’approssimarsi della scadenza del termine per l’accertamento avrebbe potuto costituire un ostacolo alla effettuazione di adeguate attività di controllo”.

 

Effetti della giurisprudenza comunitaria e domestica

L’Amministrazione finanziaria prende atto che la sentenza della Corte Costituzionale si riferisca esclusivamente al c.d. “condono tombale” di cui all’art. 9 della legge n. 289 del 2002.

Tuttavia, i principi da essa affermati possono ritenersi applicabili anche per gli accertamenti ai fini IVA relativi a periodi di imposta con riferimento ai quali il contribuente si sia avvalso di altre sanatorie previste dalla citata legge che incidono sul potere accertativo, quali in specie quelle di cui agli articoli 7, 8 e 15 (Definizione degli accertamenti, degli atti di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione).

 

Le istruzioni agli uffici

Alla luce di quanto sopra enucleato per le Entrate “può dunque considerarsi legittima l’attività di accertamento ai fini IVA relativamente alle annualità interessate dalle sanatorie di cui agli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, anche dopo la scadenza del termine ordinario di decadenza del potere accertativo, qualora sussistano per le annualità medesime elementi in relazione ai quali sussiste l’obbligo di denuncia per uno dei reati di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, indipendentemente dalla circostanza che l’obbligo stesso sia stato assolto prima della detta scadenza. Altresì legittima può considerarsi l’ulteriore attività di accertamento, per le medesime annualità, eventualmente interessate dalla sanatoria di cui all’art. 15 della legge citata”.

Con riguardo a tali posizioni interessate dalla sanatoria, infatti, si rende improcrastinabile l’accertamento dell’IVA, o della maggiore IVA, considerato che la proroga dei termini decadenziali , limita, per alcune delle annualità interessate, l’esercizio dei poteri accertativi al 31 dicembre del 2012.

Pertanto, in virtù del raddoppio dei termini decadenziali, garantito dalla eventuale presenza di violazioni penali, risultano ancora accertabili i seguenti periodi d’imposta oggetto delle sanatorie in discorso:

  • 2000, in caso di omessa presentazione della dichiarazione (termini per l’accertamento scadenti, in ragione della detta proroga di un anno, il 31 dicembre 2012);

  • 2001, in caso di omessa presentazione della dichiarazione (termini per l’accertamento scadenti, in ragione della detta proroga di un anno, il 31 dicembre 2013);

  • 2002 (termini per l’accertamento scadenti, in ragione della detta proroga di un anno, in caso di infedele dichiarazione il 31 dicembre 2012 e, in caso di omessa presentazione della dichiarazione, il 31 dicembre 2014).

 

Se le posizioni ai fini IVA dei contribuenti che hanno aderito alle sanatorie di cui agli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002 potrebbero avere già formato oggetto di attività istruttorie agli atti degli uffici, all’esito delle quali sia emersa la configurabilità di violazioni penali di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, va effettuata, nel più breve tempo possibile, la conseguente attività di accertamento eventualmente non proseguita a seguito delle intervenute sanatorie.

Ciò vale anche per gli atti a suo tempo definiti ai sensi dell’art. 15 della legge n. 289 del 2002.

In proposito, indipendentemente dalla intervenuta attività istruttoria, va tenuto presente che andrà considerato ogni elemento agli atti utile per l’accertamento ai fini IVA per le annualità sopra richiamate, idoneo a configurare la sussistenza di violazioni penali di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000.

Per le posizioni ai fini IVA dei contribuenti che abbiano aderito alle sanatorie di cui agli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, le quali non abbiano già formato oggetto di attività istruttorie, l’adesione alle citate sanatorie operata a suo tempo dai contribuenti non può essere trasformata in una sorta di “autodenuncia”.

Infatti, la C.M. n.1/2012 ritiene che “la regolarizzazione a suo tempo effettuata, ai sensi degli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, non rappresenti, di per sé sola, un indizio di violazione penale idoneo, di per sé solo, a generare l’obbligo di denuncia”.

Tale avviso, per quanto attiene la sanatoria di cui all’art. 8, è confortato dal tenore letterale del comma 12 (“l’integrazione effettuata … non costituisce notizia di reato”).

Con riguardo alla sanatoria di cui all’art. 9 va invece considerato che la definizione automatica ha caratteristiche di definizione “onnicomprensiva” di qualsiasi violazione (nota o meno al contribuente all’atto della definizione), affidata ad un meccanismo di calcolo degli importi dovuti che prescinde da specifiche irregolarità.

Quindi, “l’importo versato, anche se superiore alle soglie di rilevanza penale, non si può ritenere indizio di infedeltà dichiarativa, mancando qualsiasi riferimento a specifiche omissioni e potendo la definizione medesima essere dipesa dalla generale esigenza di non restare in alcun modo esposti ad azioni di controllo dalle quali potevano emergere violazioni di vario genere, e comunque non necessariamente integranti, di volta in volta, fattispecie di reato di cui alla legge n. 74 del 2000”.

Proprio in ragione delle considerazioni testé esposte, l’art. 9 non contiene la clausola di salvaguardia prevista dal già citato comma 12 dell’articolo 8.

Considerazioni del tutto analoghe valgono anche per la sanatoria di cui all’art. 7, la quale, seppure caratterizzata da talune specificità, presenta tratti di analogia con quelle di cui agli articoli 8 e 9 della legge n. 289 del 2002.

In definitiva, sostiene l’A.F., “in ragione della pronuncia dei giudici europei del luglio 2008 e della sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2011, … qualora le dichiarazioni presentate ai sensi degli articoli 7, 8 e 9 contengano elementi tali da poter desumere, anche indirettamente, l’eventuale evasione di un’IVA di importo superiore a quello delle soglie di rilevanza penale, le stesse non possano essere considerate alla stregua di una “autodenuncia” del contribuente, e che, in aggiunta e, correlativamente, sussista l’obbligo di denuncia con riguardo a tutte le dichiarazioni come sopra caratterizzate”.

In ordine all’art. 14 della legge n. 289 del 2002, la regolarizzazione delle scritture contabili, poteva esclusivamente conseguire alle sanatorie effettuate ai sensi degli articoli 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, in quanto finalizzata a recepire nelle scritture contabili gli effetti delle sanatorie medesime.

Se dunque, osservano i tecnici delle Entrate, “elementi relativi alle predette sanatorie non possono integrare indizi di violazioni penali, rilevanti ai fini dell’IVA, idonei, di per sé soli, a generare l’obbligo di denuncia, lo stesso vale a fortiori per la eventuale, conseguente regolarizzazione di cui al citato art. 14”.

Pertanto, “per le posizioni interessate dalle varie sanatorie in parola, che si presentino caratterizzate da elementi quantitativi tali da fare astrattamente ipotizzare la sussistenza di reati di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, la circostanza che gli stessi non possono generare l’obbligo di denuncia porta ad escludere che gli elementi medesimi possano fungere da fonte di innesco per attività di controllo sulle annualità oggetto delle sanatorie”.

Dette attività di controllo potranno essere effettuate in presenza di eventuali elementi agli atti degli Uffici, dai quali emergano circostanze a suo tempo non valorizzate a causa dell’adesione alle sanatorie in parola, ovvero sopraggiunte, in relazione alle quali possa ravvisarsi l’obbligo, per le annualità ancora accertabili, di denuncia penale e, conseguentemente, la possibilità di procedere all’accertamento ai fini dell’IVA.

Le Direzioni Regionali e Provinciali si attiveranno, pertanto, con riguardo alle posizioni oggetto di sanatoria ai sensi degli articoli 7, 8, e 9 della legge n. 289 del 2002, al fine di:

  • effettuare ogni possibile approfondimento volto ad individuare l’eventuale esistenza agli atti di elementi idonei a configurare violazioni di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000, rilevanti ai fini dell’IVA, per le annualità per le quali i termini per l’accertamento siano ancora aperti;

  • in presenza dei suddetti elementi, eseguire le attività di controllo propedeutiche alla constatazione delle violazioni e, effettuata quest’ultima, inoltrare immediatamente la denuncia penale;

  • emettere l’atto di accertamento e di irrogazione delle sanzioni.

 

Analoga attivazione deve riguardare i processi verbali di constatazione e gli accertamenti a suo tempo definiti ai sensi dell’art. 15 della legge n. 289 del 2002, onde procedere, ricorrendone i presupposti, alla denuncia penale (ove non già effettuata), ed alla emissione degli atti di accertamento ed irrogazione delle sanzioni.

Nella ipotesi della intervenuta definizione di un atto di accertamento precedentemente notificato, considerato che gli effetti di quest’ultimo sono stati caducati dalla sanatoria, illegittima per le ragioni innanzi chiarite, va dunque emesso un nuovo atto di accertamento, in funzione della più volte citata “riespansione del potere accertativo dell’amministrazione” affermata dalla Corte Costituzionale, ed allo scopo di salvaguardare il diritto di difesa del contribuente.

In ogni caso, va previamente valutata l’opportunità di procedere ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo n. 218 del 1997, onde pervenire, ove possibile, alla definizione dell’accertamento con adesione del contribuente.

 

24 gennaio 2012

Francesco Buetto