La contabilità parallela legittima l’accertamento induttivo

vediamo a quali rischi si sottopone il contribuente che tiene una contabilità “nera” a latere di quella utilizzata a fini fiscali

Il ritrovamento di una contabilità parallela informale, tenuta in qualsiasi modo, legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo. E’ questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 10390 del 12 maggio 2011, con la quale è stato ritenuto valido l’accertamento induttivo fondato su dati contenuti in un file del PC del proprio fornitore.

La sentenza in commento ci permette di analizzare le problematiche attinenti la contabilità parallela e l’accertamento induttivo, senza tralasciare il tema dell’accesso, qui richiamato dal caso di specie.

 

Premessa

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 10390 del 12 maggio 2011, ritenendo valido l’accertamento induttivo fondato su dati contenuti in un file del PC del proprio fornitore, ha affermato il principio per cui il ritrovamento di una contabilità parallela informale, tenuta in qualsiasi modo, legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo.

La sentenza in commento ci permette di analizzare le problematiche attinenti la contabilità parallela e l’accertamento induttivo, senza tralasciare il tema dell’accesso, qui richiamato dal caso di specie.

 

Il caso

Una cooperativa riceveva un avviso di accertamento basato su un PVC redatto dalla Guardia di Finanza, la quale a seguito di una verifica presso terzi (nei locali di un suo fornitore) aveva rinvenuto in un computer un file anonimo ed un riepilogo giornaliero denominato “rapportino dell’impiantista”, entrambi contenenti elementi di contabilità parallela dei rapporti intercorsi con il cliente, ovvero la cooperativa.

Sulla base dei dati contenuti in detto file, l’Ufficio emetteva l’atto impositivo, con il quale veniva accertato un maggior reddito della società a fronte di operazioni inesistenti.

 

La Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto arbitrario il modus operandi dell’Ufficio, per aver considerato elemento di prova certa un semplice indizio.

Secondo i giudici di merito il file su cui si fondava l’accertamento era anonimo e, pertanto, il riferimento alla cooperativa si reggeva esclusivamente su una deduzione dei verificatori ma, costituendo semplicemente un indizio, non poteva assurgere al rango di prova.

 

Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate proponeva, dunque, ricorso per cassazione censurando la decisione dei giudici di secondo grado che non avevano riconosciuto valenza probatoria alla contabilità parallela rinvenuta presso il fornitore e costituita, appunto, dal file in oggetto.

 

La contabilità parallela

La dicitura “contabilitàparallela” (o contabilità nera) viene utilizzata quando un imprenditore tiene memoria di operazioni che non vengono fatte apparire nei registri contabili ufficiali dell’azienda.

Si tratta di un fenomeno molto diffuso nella prassi, sia fra le imprese di piccole dimensioni che nelle società multinazionali, che viene attuato solitamente utilizzando software appositi o, semplicemente, tramite i tradizionali appunti manuali o ancora tramite amici compiacenti coinvolti nel ruolo di depositari.

In pratica, ciò avviene quando l’imprenditore non vuole che determinati eventi figurino nei registri contabili oppure nel bilancio o nelle dichiarazioni fiscali. Ma trovandosi nella necessità di doverne comunque tenere memoria per scopi personali, viene istituita una contabilità parallela.Esempio molto diffuso a livello di piccole imprese, è quello del quaderno in cui annotare il totale delle vendite, a fronte di pochissimi scontrini emessi ufficialmente.

 

Tuttavia, le ragioni che spesso spingono verso l’utilizzo di una contabilità parallela non sempre nascono dalla volontà di frodare il Fisco, ma nelle società maggiori, la finalità è solitamente quella di far apparire l’azienda in buona salute mascherando i debiti, per evitare la sfiducia dei soci nei confronti degli amministratori o, peggio ancora, la dichiarazione di fallimento.

 

In merito alla contabilità parallela il problema affrontato dalla giurisprudenza è stato in relazione alla valenza probatoria da attribuire a tale elemento, ovvero se il ritrovamento di una documentazione informale costituita da appunti personali e informazioni dell’imprenditore può rappresentare un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza ai fini dell’esercizio del potere di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Ed inoltre, se la documentazione rinvenuta in sede di verifica è da considerarsi una vera e propria contabilità parallela tale da giustificare l’accertamento induttivo.

 

In ordine alla valenza probatoria da attribuire alla documentazione extracontabile rinvenuta a seguito di verifica fiscale, la Cassazione ha più volte affermato che il ritrovamento da parte della Guardia di Finanza, sia presso la sede dell’impresa che in locali diversi da quelli societari, di una “contabilitàparallela” a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposta a verifica fiscale legittima di per sé, a prescindere cioè dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso al c.d. accertamentoinduttivo di cui all’art. 39, cc. 2 e 3, del D.P.R. n. 600/1973.

In sostanza, la c.d. “contabilità parallela” (o contabilità “in nero”) costituisce valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti della legge.

 

Accertamento induttivo

L’art. 39 del D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600 indica tre “metodi accertativi”:

  1. accertamento analitico “in senso stretto”: la base imponibile viene ridefinita con riferimento alle singole componenti attive e passive, dalla cui somma algebrica risulta il reddito complessivo e l’imposta dovuta. L’accertamento analitico fa, dunque, riferimento alle singole componenti che concorrono alla formazione del reddito d’impresa o di lavoro autonomo;

  2. accertamento “analitico-induttivo”: in questo secondo caso il legislatore consente l’uso di presunzioni semplici, purché queste abbiano i requisiti di gravità, precisione e concordanza;

 

  1. accertamento “induttivo-extracontabile”: al verificarsi di casi tassativamente previsti (i.e., contabilità inattendibile oppure l’omessa presentazione della dichiarazione) è possibile rettificare il reddito mediante presunzioni “semplicissime”, ossia prive anche dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

 

Tuttavia, non e’ sufficiente l’esistenza di un semplice brogliaccio per giustificare un accertamento induttivo, in presenza di una contabilità formalmente in regola, a meno che da quel brogliaccio non sia presumibile dedurre una doppia contabilità parallela (Cassazione sentenza n. 1536 del 02/07/2009)

Infatti, secondo consolidata giurisprudenza, “il mero ritrovamento di una contabilità parallela a quella ufficialmente tenuta, legittima di per sé, a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso al cosiddetto accertamento induttivo.

 

In merito alla disciplina dell’onere probatorio in tema di accertamento analitico – induttivo, sappiamo che, in relazione alla regolarità formale e all’attendibilità sostanziale delle scritture contabili, l’Amministrazione finanziaria procede alla rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture (ossia nei confronti dei soggetti esercenti attività d’impresa o arti e professioni) ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi quando:

  • “… l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”

e ai fini Iva quando:

  • le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte … sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”.

 

In particolare, la Suprema corte ha più volte affermato che in sede di accertamento induttivo fondato sul ritrovamento di una contabilità parallela” spetta al contribuente l’onere probatorio contrario, ossia la possibilità di fornire spiegazioni attendibili circa i dati rinvenuti.

Infatti, il ritrovamento da parte della Guardia di Finanza, sia presso la sede dell’impresa che in locali diversi da quelli societari, di una “contabilità parallela” a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposta a verifica fiscale, costituisce valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti della legge e legittimità di per sé, a prescindere cioè dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso al cd. accertamento induttivo di cui all’art. 39, secondo e terzo comma del DPR n. 600 del 1973.

In tali ipotesi, spetta al contribuente dimostrare che il reddito presunto dagli ispettori delle finanze non corrisponda a quello da lui effettivamente realizzato.

Dunque, incombe sul contribuente l’onere della prova contraria.

Di conseguenza, in assenza di prova contraria, la presunzione impone al giudice di ritenere provato il fatto previsto.

 

L’accesso costituisce l’esplicazione massima dell’invadenza del potere pubblico nella sfera privata.

Si tratta di un atto autoritativo che si pone come strumentale rispetto ad un’attività più ampia che attraverso lo stesso ha inizio.

 

Per quanto riguarda la disciplina di accessi, ispezioni e verifiche

  • l’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 stabilisce che:

  1. Gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. Tuttavia per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti e professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato”.

  2. L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni”.

Tali disposizioni contenute nel decreto Iva sono egualmente applicabili anche ai fini delle imposte dirette.

 

Gli accessi possono essere suddivisi sostanzialmente in tre categorie, in funzione dei luoghi presso i quali vengono effettuati:

  1. Per quanto riguarda l’accesso nei locali destinati ad attività lavorative del contribuente, siano esse commerciali, professionali, agricole o artistiche, è necessaria un’apposita autorizzazione rilasciata dal Capo Ufficio o dal Comandante del Reparto da cui i funzionari od i militari procedenti dipendono.

  2. Per quanto riguarda l’accesso presso locali utilizzati ad uso promiscuo, cioè ad attività lavorativa del contribuente e contestualmente a sua abitazione, è necessario anche il preventivo rilascio di un’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

  3. Per quanto riguarda l’accesso a “locali diversi da quelli indicati al precedente comma”, tra di essi rientrano sicuramente i locali adibiti esclusivamente ad abitazione del soggetto controllato o di terzi, nonché gli altri locali privati del contribuente verificato o di terzi. Per l’effettuazione di tali controlli, la legge richiede l’esistenza di “gravi indizi” di violazione delle norme tributarie, e della preventiva autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica.

 

Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale dal quale devono risultare:

  • le ispezioni e le rilevazioni eseguite;

  • le richieste fatte al contribuente (o a chi lo rappresenta);

  • le risposte ricevute;

  • la sottoscrizione del contribuente (o di chi lo rappresenta) o il motivo della mancata sottoscrizione.

  • Il contribuente ha diritto di avere copia del processo verbale (art. 52 c. 6 del DPR 633/72).

 

Il problema che spesso si trova a dover risolvere la giurisprudenza di merito e di legittimità riguarda le conseguenze derivanti dalla mancata richiesta di autorizzazione al magistrato per l’accesso dei militari o dei funzionari presso i “locali diversi”, oltre che all’abitazione del contribuente.

Secondo un orientamento della Corte di Cassazione, gli accessi disposti presso i locali commerciali o gli studi professionali non necessitano di alcuna autorizzazione se effettuati dalla Guardia di Finanza, posto che trova applicazione l’art. 35 della L. 4/29, secondo cui la polizia tributaria può sempre accedere “in ogni locale adibito ad azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche, per assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria ” (Cassazione, sent. n. 10137 del 28.04.2010).

 

Cassazione, sentenza n. 10390 del 12.05.2011

In tale ambito si inserisce la pronuncia in commento,con la quale la Cassazione ha stabilito che la Guardia di Finanza, in quanto polizia tributaria, può sempre accedere negli esercizi pubblici e in ogni locale adibito ad azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche, per assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria, non necessitando, a tal fine, di autorizzazione scritta. Nel caso, invece, in cui l’accesso venga effettuato dal personale civile dell’Amministrazione finanziaria è necessaria un’apposita autorizzazione scritta.

 

La Suprema Corte ha, inoltre, ritenuto il motivo di ricorso fondato, atteso che costituisce un orientamento consolidato quello per cui “il ritrovamento da parte della Guardia di Finanza in locali diversi da quelli societari di una “contabilità parallela” a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposta a verifica fiscale legittima, di per sé ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, la rettifica della dichiarazione sulla base di accertamento induttivo”.

 

14 ottobre 2011

Antonio Gigliotti