E' legittimo l'accertamento all'autovettura del fratello dell'amministratore

una volta verificato il trasporto illegittimo di documentazione contabile ed extracontabile nell’autovettura del fratello dell’amministratore, l’autovettura perde il carattere di auto personale per divenire di fatto auto aziendale, e quindi perquisibile senza autorizzazione

Con sentenza n. 10590 del 13 maggio 2011 (ud. del 30 marzo 2011) la Corte di Cassazione si è occupata, nuovamente, della questione relativa alla legittimità o meno dell’acquisizione di documentazione extracontabile presso l’autovettura di un terzo, utilizzata per celare documenti.

 

La decisione

La questione controversa investe il reperimento di documentazione extra contabile della società nell’autovettura del fratello dell’amministratore.

Il fatto controverso rispetto al quale la motivazione sarebbe stata omessa e sarebbe comunque contraddittoria è rappresentato dalla “mancata opposizione della persona terza” che, secondo la parte contribuente, “non equivale a consenso all’accesso operato al di fuori delle previsioni legislative“; peraltro, a suo dire, il consenso sarebbe “privo di rilievo giuridico non essendo richiesto o preso in considerazione da nessuna norma di legge“.

La Corte rileva che si è recentemente chiarito che è legittimo l’avviso fondato su “brogliacci” rinvenuti nell’autovettura del contribuente, pur se acquisita senza la prescritta autorizzazione della Procura della Repubblica, allorchè tale documentazione sia rinvenuta all’interno di automezzo utilizzato per l’esercizio dell’attività (Sez. trib., 5 febbraio 2011, n. 28041). In passato si era già precisato che è legittima la rettifica della dichiarazione della società contribuente fondata su documentazione extracontabile rinvenuta all’interno dell’autovettura dell’amministratore, sottoposta a controllo da una pattuglia della G.d.F. senza autorizzazione del Procuratore della Repubblica, in quanto l’autovettura stessa non era in quel momento adibita ad uso meramente personale od al trasporto per conto terzi ed era da ritenersi, invece, un bene “appartenente” all’impresa (Sez. trib., 3 luglio 2003, n. 10489). Nella specie dalla sentenza impugnata, a seguito di accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, risulta che “giunti presso l’abitazione del D.D.A.N., i militi notarono che una persona, identificata poi nel fratello dell’amministratore della società, D.D.G., era intento ad asportate presumibilmente dall’appartamento di D.D.A.N. contenitori in plastica e una busta di plastica contenenti documentazione presumibilmente contabile relativa alla attività esercitata da quest’ultimo e a riporli nel bagagliaio della autovettura di sua proprietà“. Pertanto, “quando alle sei del mattino i militi della G.d.F. si sono portati presso l’abitazione di D.D.A.N. e hanno notato il sospetto trasbordo di documentazione nella vettura di D.D.G., questa non era in quel momento adibita a uso personale, ma al trasporto di documentazione dell’azienda in verifica. Era, quindi, un veicolo di fatto – e in quel particolare momento – riferibile all’impresa e al suo amministratore, non differendo funzionalmente la struttura di tale veicolo da qualsiasi altro luogo chiuso idoneo a ricevere ed occultare cose, comunque, attinenti all’impresa stessa. Ne deriva che – non essendosi dovuto procedere all’apertura coattiva di plichi sigillati, borse e simili – non era necessaria una ulteriore e specifica autorizzazione, il che assorbe in sè ogni altra questione e rende l’apparato censorio inadeguato a elidere l’iter argomentativo dei giudici d’appello”.

 

Brevi indicazioni

L’accesso da parte dei verificatori può essere effettuato solo con apposita autorizzazione scritta, rilasciata dal capo dell’ufficio che ordina la verifica.

L’autorizzazione deve contenere2:

  • il nominativo e i poteri del soggetto che dispone la verifica;

  • l’ordine di accedere;

  • l’indicazione del soggetto da verificare;

  • le ragioni del controllo;

  • le effettive esigenze d’indagine esterna;

  • l’indicazione che la verifica, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, si svolgerà durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento dell’attività stessa nonché alle relazioni commerciali o professionali;

  • le annualità da verificare;

  • la data dell’inizio della verifica;

  • la sottoscrizione del soggetto che autorizza la verifica.

 

Dalla lettura della sentenza emerge che è possibile compiere accessi e verifiche anche presso gli autoveicoli intestati a soggetti estranei all’impresa ma legati alla stessa da stretti vincoli di parentela.

In via di principio, ai sensi dell’art. 52, c. 3, del D.P.R. n. n. 633/1972, è in ogni caso necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere, durante l’accesso, a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili.

Anche per l’apertura di cassetti e borse e quant’altro risulti protetto da chiusure, è necessaria l’autorizzazione del magistrato, in quanto tali beni sono attratti nella categoria concettuale del domicilio.

Anche in questo caso, l’eventuale assenso del contribuente legittima l’operato dei verificatori (cfr. C.T.C., sez.IX, con decisione n.2841 del 10 luglio 1995).

Sul punto si veda la sentenza n. 17210 del 23 luglio 2009 (ud. del 22 giugno 2009) con cui la Corte di Cassazione ha confermato che il vizio procedurale possa essere sanato dal consenso prestato dal contribuente.

In particolare, “se l’Amministrazione non osserva la procedura ed intende eseguire lo stesso l’accesso, il contribuente legittimamente può rifiutare la verifica, senza incorrere in nessuna conseguenza ai fini dell’accertamento. Viceversa, nel caso in cui, nonostante l’omissione dei prescritti adempimenti, il contribuente consenta l’accesso, l’inosservanza della procedura rimane priva di conseguenze e non intacca il risultato della verifica, avendo il contribuente manifestato comunque la volontà di collaborazione, nonostante la rilevata inosservanza”.

Nel caso di specie, è pacifico il fatto, che l’accesso, nonostante il presunto mancato rispetto degli adempimenti procedurali che avrebbero dovuto precederlo, è stato consentito dal contribuente.

Ne consegue che il contribuente, avendo comunque consentito l’accesso, “non poteva poi contestarne i risultati sotto il profilo dell’inosservanza delle prescrizioni procedurali cui egli, attraverso il suo comportamento concludente, aveva di fatto rinunciato”.

Merita di essere evidenziata in questa sede la recente sentenza n. 21446 dell’8 luglio 2009 (dep. il 9 ottobre 2009), della Corte di Cassazione, secondo cui “l’espresso riferimento all’assenso all’asporto dei materiali, prestato dalla C, circostanza quest’ultima – vale la pena di sottolinearlo – che non è stata mai contestata dalla ricorrente” viene “a confutare l’ipotesi del preteso sequestro, posto che quest’ultimo, consistendo in un atto di coazione da parte dell’Autorità postula, per definizione, ai fini della sua configurabilità, la sottrazione ( materiale e giuridica) del bene alla disponibilità dell’avente diritto, in quanto tale, necessariamente effettuata contro la sua volontà”. In pratica, la Corte distingue l’acquisizione dal sequestro sulla base della sussistenza o meno del consenso.

Si registra, ancora, l’intervento della Cassazione – sentenza n. 9565 del 5 marzo 2007 (dep. il 23 aprile 2007) -, la quale afferma che occorre l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica solo per procedere ad “apertura coattiva” di borse, non essendo, invece, necessaria l’autorizzazione ove l’acquisizione di documenti contenuti in borse sia avvenuta con la collaborazione ed in continua presenza del figlio e della moglie del contribuente e, comunque, senza la manifestazione di alcuna contraria volontà.

Ed ancora, da ultimo, si osserva che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19837 del 13 giugno 2005, depositata il 12 ottobre 2005, ha ritenuto che non tutte le prove acquisite con procedura irrituale possono essere considerate di per sé inammissibili.

In questo contesto si inserisce la sentenza della Corte Suprema della Cassazione – la n. 26454 del 23 settembre 2008 (dep. il 4 novembre 2008) – secondo cui “in tema di imposte dirette (come di I.V.A.), gliavvisi di accertamento e di rettifica motivati con riferimento a datiacquisiti dall’amministrazione finanziaria a seguito di accessinell’abitazione dei contribuenti, che non siano, o siano illegittimamente,autorizzati dal procuratore della Repubblica, sono invalidi edinsuscettibili di produrre effetti, non potendo attività compiute indispregio del fondamentale diritto all’inviolabilità del domicilio essereassunte, di per sé, a giustificazione ed a fondamento di atti impositivi acarico dei soggetti che hanno dovuto subire le attività medesime (cfr. ancheCass. Sentenze n. 15230 del 03/12/2001, n. 12050 del 1998, n. 7368 del1998)”.

Detta autorizzazione – prosegue la sentenza – “in ordine alla quale non sono applicabili le garanzie previste dal codice di procedura penale, è espressione di attività amministrativa, e la sua mancanza può essere fatta valere di fronte al giudice tributario, anche se con l’impugnazione dell’atto terminale del procedimento impositivo, in quanto rende inutilizzabili le prove acquisite a carico del contribuente”.

Per i giudici di Cassazione, nel caso di specie, una volta acclarato il trasporto illegittimo di documentazione contabile ed extracontabile nell’autovettura del fratello dell’amministratore, l’autovettura perde il carattere di auto personale per divenire – di fatto – auto aziendale, e quindi, non era comunque necessaria una ulteriore e specifica autorizzazione.

 

22 giugno 2011

Roberta De Marchi

1Per la Corte di Cassazione è manifestamente fondato il motivo opposto, atteso che dalla sentenza di primo grado emerge “che il brogliaccio fu rinvenuto all’interno dell’automezzo del contribuente (esercente attività di commercio all’ingrosso di abbigliamento e accessori), automezzo adibito al trasporto di beni viaggianti, e che tale accertamento in fatto dei giudici di primo grado non risulta essere stato oggetto di impugnazione); deve pertanto ritenersi che il furgone su cui fu rinvenuto il brogliaccio fosse un bene “appartenente” all’impresa, ossia un bene utilizzato per l’attività aziendale (neppure risultando in alcun modo eccepito che l’automezzo apparteneva a soggetto estraneo all’impresa o era adibito a trasporto per conto terzi) e che pertanto non necessitasse l’autorizzazione (v. sul punto Cass. nn. 10489/2003, 13612/2003, secondo le quali è legittimo l’avviso di rettifica della dichiarazione della società contribuente fondato su documentazione extracontabile rinvenuta all’interno dell’autovettura dell’amministratore, sottoposta a controllo da una pattuglia della Guardia di Finanza senza autorizzazione del Procuratore della Repubblica, in quanto l’autovettura stessa non era in quel momento adibita ad uso meramente personale o al trasporto per conto terzi ed era da ritenersi un bene appartenente all’impresa)”. Aggiunge la Corte Suprema che “non risulta che per acquisire il brogliacco fu necessario procedere all’apertura coattiva di plichi sigillati, borse, casseforti, mobili o simili, che in ogni caso (sempre secondo l’accertamento dei primi giudici – così come riportato dalla sentenza d’appello oggetto di censura in questa sede – e non risultante impugnato) l’acquisizione del brogliaccio avvenne “col pieno consenso del proprietario dell’automezzo”, infine che Cass. n. 25253/2005, citata nella sentenza impugnata, risulta assolutamente inconferente (riferendosi alla diversa ipotesi di ispezione personale)”.

2 Sul punto, per completezza d’analisi, si rinvia alla migliore dottrina ANTICO, in ANTICO-CARRIROLO-FUSCONI-TUCCI-ZAPPI, L’accertamento fiscale, Il Sole24ore, Milano, 2010