Le indagini sul conto corrente del convivente

attenzione, dalle verifiche sul conto corrente di un familiare può partire una procedura di accertamento contro chi ha usufruito di quel conto per occultare le proprie operazioni

Con sentenza n. 4775 del 28 febbraio 2011 (ud. del 21 ottobre 2010) la Corte di Cassazione ha legittimato la rettifica operata sulla base delle indagini finanziarie sui conti correnti formalmente intestati a persone legate da particolari rapporti con il contribuente (nella specie, convivente) e sulle cui movimentazioni non si è fornita prova della non riferibilità delle somme alla maggiore capacità contributiva contestata in sede di accertamento.

Il fatto

D.K. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale era stato accertato, sulla base di un processo verbale di constatazione fondato principalmente sull’acquisizione di dati di natura bancaria, un maggior reddito ai fini irpef relativamente all’anno 1994 di L. 79.382.000.

La sentenza della Cassazione

Nell’impugnata decisione di secondo grado si legge che D. ha ammesso di usufruire di una delega ad operare sul conto corrente bancario della S. divenuta “formalmente” propria convivente nell’anno 1997 sin dal momento della sua apertura, e che su tale conto il predetto “ha compiuto, senza controllo alcuno e nella massima libertà, consistenti depositi e prelievi, trasferimenti di somme dal proprio conto corrente a quello della S. e viceversa, investimenti sul conto gestione titoli della S. con somme bonificate dal proprio conto corrente“.

Sulla base di tali dati (per altro, si aggiunge, non contestati, anzi espressamente ritenuti fondati dal D. nel p.v.c.) la Commissione tributaria regionale ha osservato, anche in assenza di documentazione di segno contrario proveniente dalla S., il conto corrente in questione fosse riferibile esclusivamente al ricorrente.

Trattasi, di una valutazione di fatto che, nella misura in cui risulta sorretta da argomentazioni esenti da censura sul piano logico giuridico, sfugge al sindacato di questa Corte.

Nel caso di specie “la Commissione tributaria regionale, pur in presenza di uno stretto legame di natura personale fra il contribuente e l’intestataria dei conto corrente, evidenziato dalla formalizzazione del rapporto di convivenza sia pure in un momento successivo al periodo d’imposta considerato, ha desunto la riferibilità del conto corrente al D. dall’esistenza di una delega in suo favore, nonchè dalla sua concreta utilizzazione, da parte del predetto in assoluta autonomia, come confermato dalle movimentazioni di somme da e verso i propri conti correnti”.

La Corte, in proposito, richiama “il principio, che inerisce al rapporto inferenziale disciplinato dall’art. 2729 c.c., secondo cui le presunzioni semplici, dalle quali il 1 giudice del merito, sulla base di regole di esperienza, dalla conoscenza di un fatto secondario deduce l’esistenza del fatto principale ignoto (Cass., 9 febbraio 2004, n. 2431), determinano, come principale conseguenza, l’effetto di rendere superflua la prova che la parte onerata dovrebbe fornire”.

La controparte, rileva la Suprema Corte, a fronte di un meccanismo probatorio così delineatosi, ha l’onere di dimostrare, deducendo fatti che in qualche mode contrastano con la ricostruzione operata sulla base delle citate regole di esperienza, che la presunzione non può operare, facendo così, in sostanza, venire meno il requisito della concordanza (v. anche Cass., 27 novembre 1999, n. 132 91; Cass., giugno 1991, n. 6206, secondo cui “non costituisce una inversione dell’onere della presunzione da semplice in assoluta il tatto che il giudice, dalla circostanza che facilmente avrebbe potuto offrirsi una indicazione diversa da quella fornita dall’ufficio e il contribuente non ha a ciò provveduto, deduca la conferma di una determinata significabilità degli elementi posti a sostegno della presunzione semplice“.

Sotto tale profilo viene richiamato il condivisibile il principio, già affermato in materia di società, ma estensibile all’imprenditore individuale (Cass., 21 dicembre 2007, n. 27032), secondo cui, “sempre in materia di accertamenti bancari, decisivo rilievo ai fini indiziari può avere la mancata risposta della società contribuente ai chiarimenti richiesti dall’Ufficio circa i c/c bancari intestati a persone fisiche riconducibili alla società in ragione degli strettissimi rapporti con essa intercorrenti. A prescindere dai rapporti del ricorrente con la S., titolare del conto corrente bancario posto alla base dell’accertamento, di per sé significativi, in assenza di elementi, di prova contraria, della riferibilità dei relativi movimenti all’attività esercitata dai contribuente, mette conto di evidenziare come nella decisione impugnata la riferibilità delle movimentazioni, giustificata da una delega rilasciata ab inizio dall’intestataria del conto, sia stata desunta dalle documentate operazioni compiute, con danaro proveniente dai propri conti correnti, dal D., e da lui stesso non contestato nella loro storicità, ma semplicemente attribuite, si legge sempre nella decisione impugnata, a fattori estranei all’esercizio della propria professione di odontoiatra”.

Tanto premesso, afferma la Corte, “non può non trovare applicazione il consolidato principio secondo cui in tema di accertamento dei redditi (come dell’IVA), le presunzioni, stabilite dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (e dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2), secondo le quali i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti rispettivamente previsti dai successivi artt. 38 e 39 (e art. 54), se il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni (o che non si riferiscono ad operazioni imponibili), hanno un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta dalla persona fisica e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti; che essa può essere vinta dal contribuente il quale offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili” (Cass. n. 3929 del 2002, 2435, 8457 del 2001, 9946 del 2000 e 18421, 26692 e 28324 del 2005, 24995 del 2006, 8634 e 27032 del 2007, 374 del 2009).

La decisione scrutinata, pertanto, risulta aver correttamente applicato, fornendo per altro adeguata motivazione, il principio secondo cui, una volta acquisita la prova, anche attraverso presunzioni, della riferibilità al contribuente di un rapporto di natura bancaria, opera la presunzione legale, superabile mediante prova contraria, nella specie non fornita, inerente all’attribuzione dei movimenti bancari all’attività svolta dal contribuente medesimo.

Analisi

Le modifiche normative apportate alle indagini bancarie/finanziarie(1) impongono a tutti gli operatori – uffici e professionisti – una attenzione particolare, dal momento che l’equazione addebitamenti + accreditamenti = ricavi/corrispettivi non contabilizzati può condurre all’emissione di accertamenti di rilevante importo.

Una volta avviato il controllo nei confronti di un determinato contribuente, spesso gli uffici ritengono opportuno estenderlo a soggetti terzi collegati – direttamente o indirettamente – con il verificato.

Nel corso di questi anni la Corte di Cassazione, più volte, è stata chiamata a pronunciarsi sull’argomento, affermando che le risultanze dei conti correnti bancari – quando si tratti di conti intestati a soggetti diversi da quelli sottoposti a verifica -, in tanto possono essere invocate a sostegno di presunti acquisti o vendite in evasione d’imposta, in quanto risultino concreti elementi che autorizzino a collegare quei movimenti con operazioni commerciali del soggetto nei cui confronti si intende procedere ad accertamento.

Dall’esame dei conti si possono trarre indicazioni certe se le stesse sono assistite da gravità, precisione e concordanza, al fine di stabilire se i movimenti di capitali presenti nel conto siano il frutto di operazioni commerciali di terzi ( per esempio, la mancata giustificazione dei cospicui movimenti nei libretti, in assenza di altre significative attività lucrative del parente in senso lato che ne era in possesso, possono costituire elementi atti a suffragare la riferibilità).

E’ ormai acclarata l’estendibilità delle indagini a terzi(2), che può essere effettuata nei casi di sussistenza di elementi documentali o presuntivi, che attestino la riconducibilità del conto in capo ad un soggetto diverso dell’intestatario,

Si segnala, fra le altre, la sentenza n. 1452 del 3 dicembre 2008, dep. il 21 gennaio 2009, con cui la Corte di Cassazione ha affermato che in tema di accertamento delle imposte, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari tra i quali può assumere rilievo decisivo la mancata risposta del contribuente alla richiesta di chiarimenti rivoltagli dall’Ufficio in ordine ai medesimi conti, e senza che l’utilizzabilità dei dati dagli stessi risultanti trovi ostacolo nel divieto di doppia presunzione, attenendo quest’ultimo alla correlazione tra una presunzione semplice ed un’altra presunzione semplice, e non già al rapporto con una presunzione legale, quale è quella che ricorre nella fattispecie in esame (V. pure Cass. Sentenze n. 27032 del 21/12/2007, n. 18421 del 2005, n. 6232 del 2003)”.

Inoltre, osserva la Corte, “le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente devono ritenersi legittime, essendo il rapporto familiare sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari degli indicati soggetti. Detto principio deve, peraltro, estendersi all’accertamento d’Ufficio, ex art. 41, del D.P.R. citato, in radicale assenza di dichiarazione, posto che in tale ipotesi l’Ufficio può avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 18868 del 07/09/2007, n. 13391 del 2003, n. 8683 del 2002)”.

La valutazione dei presupposti per il dirottamento delle indagini nei confronti di terzi può essere effettuata nei casi di sussistenza di elementi documentali, che attestino la riconducibilità del conto in capo ad un soggetto diverso dell’intestatario.

Se in via di principio le potestà di controllo in esame trovano applicazione unicamente ai rapporti intestati o cointestati al contribuente sottoposto a controllo, è indubbio, però, che le stesse potestà si applicano anche relativamente ai rapporti intestati e alle operazioni effettuate esclusivamente da soggetti terzi, specialmente se legati al contribuente da vincoli familiari o commerciali, a condizione che l’ufficio accertatore dimostri che, la titolarità dei rapporti come delle operazioni, è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie rilevate dalla documentazione bancaria acquisita (in tal senso, Cassazione nn. 1728/1999, 8457/2001, 8826/2001 e 6232/2003).

E su tali tematiche, la giurisprudenza degli ultimi anni ha privilegiato soluzioni più aderenti alla sostanza del rapporto tributario sottostante all’avviso di accertamento piuttosto che a valutazioni legate alla forma.

Nella maggior parte dei casi sottoposti al vaglio della Cassazione la riferibiltà è in re ipsa: si pensi al titolare di una azienda che riversa il nero sul conto della moglie (o compagna), dei figli o di parenti vicini.

Note

1) Cfr. G. Antico, Le indagini finanziarie, Buffetti Editore, Roma, 2010.

2) Cfr. anche sul punto Antico, Indagini finanziarie: recenti orientamenti della Corte di Cassazione sull’estendibilità a parenti e soci, in “ Finanza&Fisco”, n. 14/2007, pag. 1054.

21 marzo 2011

Gianfranco Antico