Il trading tramite società estere

analizziamo le opportunità di pianificazione fiscale tramite l’utilizzo di società estere: il caso irlandese, il caso cipriota, il problema delle C.F.C.

La società trading

La costituzione di una società “trading” in un Paese dell’Unione Europea consente di delocalizzare una funzione aziendale in uno Stato con un regime fiscale più agevolato rispetto a quello italiano.

Ipotizzando che la struttura estera gestisca le vendite del gruppo, la base imponibile della società produttiva italiana viene legalmente erosa di una fetta di margine che viene attribuita, per l’appunto, alla società commerciale estera.

Nel contesto internazionale l’Irlanda è da tempo considerata la patria delle trading dei gruppi a vocazione internazionale; tuttavia, a seguito dell’uscita di Cipro dalla black list del 2001 (black list sulla disciplina delle “controlled foreign companies”) la trading cipriota diventa un’alternativa interessante a quella irlandese.

Esamineremo, nel presente elaborato, le opportunità e le criticità di entrambi i veicoli esteri.

Infatti, è bene precisare che la delocalizzazione di una funzione aziendale attraverso l’utilizzo di società estere, ancorché comunitarie, deve essere attentamente analizzato alla luce dei possibili rischi fiscali connessi con tale scelta.

Si pensi, per esempio, al rischio di esterovestizione, alla necessità di rispettare i prezzi di trasferimento infragruppo ecc..

Di conseguenza le opportunità e le criticità fiscali devono essere attentamente valutate quando si ipotizza una riorganizzazione del gruppo a livello internazionale.

 

La trading irlandese

Come detto, la trading estera per eccellenza è la trading irlandese; la stessa rappresenta infatti un veicolo ideale per una attività di acquisto e successiva rivendita di beni a livello internazionale.

La struttura del gruppo potrebbe essere la seguente:

 

Si precisa come in Irlanda le aliquote previste per la tassazione delle società siano:

  • 25% sui c.d. “passive income” (interessi attivi, royalties, ecc..);

  • 12,5% sui c.d. “active income” (trading, ecc..).

La tassazione del 12,5%, prevista per le società che svolgono un’attività di trading, viene concessa dall’Amministrazione finanziaria locale solo a seguito dell’accertamento della prevalenza della sostanza sulla forma.

L’agevolazione non viene quindi accordata alle strutture non idonee a svolgere la funzione commerciale; è necessaria quindi la presenza di un ufficio e di un dipendente che realmente svolga l’attività in esame.

Si evidenzia tuttavia come tali strutture, nonostante consentano generalmente risparmi di imposta rilevanti, siano abbastanza costose.

La scelta dell’Irlanda è inoltre sostenuta dall’assenza di una disciplina sul transfer pricing, dalla presenza di una mentalità internazionale e dall’utilizzo della lingua inglese.

Si ricorda che, nonostante la preoccupante recessione in cui è caduto recentemente il paese, una prerogativa che la Repubblica tende a non mollare è il modesto livello di tassazione dei redditi societari che si attesta tra i più bassi d’Europa.

 

La trading cipriota

Una scelta alternativa alla trading irlandese, dopo le ultime modifiche del legislatore italiano, è la società cipriota.

Come noto, infatti, il D.M. 27.7.2010 ha modificato le black e white list italiane togliendo Cipro e Malta dai c.d. paradisi fiscali. In particolare, i citati paesi sono stati espunti:

  • dal D.M. 4.5.1999, che individua i paesi a fiscalità privilegiata relativamente all’inversione dell’onere della prova per il trasferimento della residenza delle persone fisiche;

  • dal D.M. 21.11.2001, che è stato emanato principalmente per la disciplina sulle “controlled foreign companies” di cui all’art. 167 del T.U.I.R.;

  • dal D.M. 23.1.2002, emanato per la disciplina sulla indeducibilità costi di cui all’art. 110 commi 10 e segg. del T.U.I.R.

Esaminiamo le opportunità che offre la trading cipriota:

  • l’aliquota societaria è il 10%;

  • non sono previste ritenute in uscita sui dividendi;

  • non essendo più nella black list CFC, non opera la tassazione per trasparenza;

  • è una società comunitaria.

La società cipriota presenta quindi profili fiscali di sicuro interesse che consentono un risparmio maggiore rispetto all’Irlanda.

Tuttavia, si deve evidenziare come Cipro, ad oggi, evochi ancora l’idea di un paese off-shore e come i consulenti e le strutture siano meno evolute rispetto a quelle irlandesi.

Sicuramente la trading irlandese è più elegante nella configurazione di un gruppo internazionale.

 

Il problema della CFC “white list”

Si sottolinea come l’utilizzo di una trading estera deve essere attentamente vagliato alla luce della recente estensione della disciplina sulle “controlled foreign companies” anche alle strutture collocate in Paesi white list.

Si ricorda che la disciplina sulle CFC prevede, in sintesi, che il reddito realizzato dalla società controllata residente in un paradiso fiscale, venga imputato per trasparenza alla controllante italiana.

In sostanza, il legislatore italiano ha voluto evitare che le società residenti accantonassero materia imponibile in paesi a bassa fiscalità con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta.

Il legislatore ha così introdotto l’articolo 167 e 168 del T.U.I.R. per contrastare tali fenomeni; come detto, l’elenco dei paradisi fiscali è contenuto nel D.M. del 21 novembre 2001.

Nel 2009 il legislatore è nuovamente intervenuto per inasprire la disciplina in esame ed ha introdotto quella che, nella prassi, viene definita la “CFC white list”.

In sostanza, la tassazione per trasparenza opera anche nei confronti di società residenti in paesi a fiscalità ordinaria se ricorrono determinate condizioni.

In particolare, l’art. 167 comma 8-bis del T.U.I.R. (introdotto dall’art. 13 comma 1 lettera c) del D.L. 78/2009) stabilisce che la disciplina CFC si applica anche in relazione alle controllate (ma non anche alle collegate) insediate in paesi a fiscalità ordinaria se sono congiuntamente verificate le seguenti condizioni:

a) la partecipata estera è assoggettata ad una tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbe soggetta ove residente in Italia;

b) i proventi della partecipata estera derivano per più della metà da:

  • gestione, detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie;

  • cessione o concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica;

  • prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari (c.d. servizi infragruppo).

La tassazione per trasparenza opera, è bene ribadirlo, solamente se entrambe le condizioni risultano soddisfatte.

In ogni caso, il contribuente può presentare interpello all’Amministrazione Finanziaria per chiedere la disapplicazione della disciplina, dimostrando che la struttura estera non è di puro artificio (art. 167 co. 8-ter del T.U.I.R.).

Quindi, la nuova “cfc white list” non si estende alle controllate localizzate in Paesi o territori a fiscalità ordinaria anche qualora queste siano nelle condizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 8-bis, quando queste ultime sono rappresentative di insediamenti effettivi, ovvero costituiscono costruzioni non artificiose come tali non volte a conseguire un indebito vantaggio fiscale.

La C.M. n.51/E del 2010 è intervenuta per chiarire cosa intenda l’Amministrazione finanziaria per “costruzione di puro artificio”.

La citata circolare riprende testualmente la sentenza della Corte di Giustizia Europea secondo cui una costruzione societaria non è da considerare meramente artificiosa ove “da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la controllata è realmente impiantata nello Stato di stabilimento e ivi esercita attività economiche effettive” (Sentenza Cadbury-Schweppes, punto 75).

Ciò in quanto “la circostanza che le attività corrispondenti agli utili della società estera controllata ben avrebbero potuto essere effettuate anche da una società stabilita sul territorio dello Stato membro in cui si trova la società residente, non può permettere di concludere per l’esistenza di una costruzione di puro artificio” (Sentenza Cadbury-Schweppes, punto 69).

Si evidenzia come:

  • la prova che la struttura estera “… non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale” va fornita preventivamente in sede di interpello da presentarsi secondo le modalità indicate nel comma 5 dell’articolo 167 del T.U.I.R;

  • si tratta di un adempimento obbligatorio che il contribuente deve eseguire qualora intenda disapplicare la disciplina in esame nei confronti di una sua controllata estera, che, in un determinato periodo d’imposta, supera entrambi i limiti indicati nel comma 8-bis.

Coerentemente con gli orientamenti comunitari l’Agenzia delle entrate precisa che la valutazione dell’artificiosità della costruzione estera andrà valutata caso per caso (cd. case by case analysis) in base ad “elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi”.

Analizziamo ora se la nuova CFC si applica alle trading irlandesi/cipriote.

Come detto, affinché operi la nuova tassazione per trasparenza devono sussistere congiuntamente 2 condizioni:

  1. tassazione inferiore alla metà di quella italiana;

  2. i proventi della partecipata sono prevalentemente “passive income”.

La società trading, sia irlandese che cipriota, sicuramente rientra nella prima delle due condizioni; infatti, l’aliquota del 12,5 % (Irlanda) e quella del 10% (Cipro) sono inferiori alla metà di quella italiana (27,5%/2 = 13,75)(1).

Tuttavia, l’attività svolta dalla trading essendo un’attività di acquisto e vendita di merci, non dovrebbe generare “passive income” che derivano, invece, dalla gestione di partecipazioni, marchi e dall’effettuazione di servizi infragruppo.

Di conseguenza, non sussistendo congiuntamente le due condizioni citate, la trading estera non dovrebbe ricadere nella nuova “CFC white list”.

Sul tema citiamo un recente quesito posto all’Agenzia delle entrate in sede di Telefisco 2011.

 

L’interpretazione dell’Agenzia in sede di Telefisco 2011

Il quesito proposto all’Agenzia delle entrate ha ad oggetto una società “trading” che effettua operazioni di compravendita di merci e prodotti finiti (in nome e per conto proprio) con controparti appartenenti al medesimo gruppo.

E’ stato chiesto se l’attività svolta possa essere definita come un “servizio intercompany” e se la società ricada quindi nella CFC white list.

Si ribadisce come:

  • le trading irlandesi scontino una tassazione del 12,5% (inferiore alla metà di quella italiana);

  • l’attività di trading non dovrebbe rientrare nei c.d. “passive income” previsti dalla norma, poiché consiste in un acquisto/cessione di beni e non in una prestazione di servizi.

In sede di Telefisco, l’Agenzia delle entrate ha tuttavia sostenuto che “l’attività indicata nel quesito, rappresentata nelle sue caratteristiche essenziali, non esclude, in sostanza, la configurabilità di una prestazione di servizi; eventuali elementi idonei ad escludere in concreto la sussistenza di una situazione elusiva, potranno essere valutate in relazione al singolo caso”.

L’Agenzia ritiene dunque che l’attività di trading possa configurare una prestazione di servizi intercompany ed è quindi necessaria la presentazione di un’istanza di interpello se si vuole evitare la tassazione per trasparenza in capo ai soci italiani.

Tale interpretazione non convince; si confonde infatti una prestazione di servizi (una prestazioni di servizi è un’attività economica che non risulta possedibile a differenza della fornitura di una merce fisica; è una prestazione lavorativa o professionale che compie un soggetto a favore di chi la richiede) con una “funzione” svolta da una delle società del gruppo, ossia l’acquisto e la successiva vendita delle merci.

Ad avviso di chi scrive la disciplina in esame non dovrebbe applicarsi soprattutto se i clienti sono dei soggetti terzi al gruppo (trading di vendita).

Si ribadisce, in ogni caso, come il contribuente possa presentare istanza di interpello dimostrando che la struttura estera non è una costruzione di puro artificio.

Poiché, come detto, l’Irlanda concede la tassazione del 12,5% solamente se c’è un ufficio e un dipendente che realmente svolga l’attività commerciale, si ritiene di facile dimostrazione che la società estera non è una “scatola vuota”.

Diversamente, nell’ipotesi in cui il dipendente gestisca 5 o 6 società trading, magari utilizzando 5 o 6 scrivanie dello stesso studio professionale, potrebbero sorgere dei dubbi sull’artificiosità della struttura.

Si ricorda, come precisato nella C.M. 51/2010, che l’Agenzia delle entrate dovrà utilizzare gli indici individuati nella Risoluzione 8.6.2010 del Consiglio dell’Unione Europea per determinare se la società estera è una costruzione artificiosa.

Si veda la seguente tabella.

 

Gli indici di artificiosità della struttura estera:

  1. l’insufficienza di motivi economici o commerciali validi per l’attribuzione degli utili, che pertanto non rispecchia la realtà economica;

  2. la costituzione non risponde essenzialmente a una società reale intesa a svolgere attività economiche effettive;

  3. non esiste alcuna correlazione proporzionale tra le attività apparentemente svolte dalla CFC e la misura in cui tale società esiste fiscalmente in termini di locali, personale e attrezzature;

  4. la società non residente è sovra capitalizzata: dispone di un capitale nettamente superiore a quello di cui ha bisogno per svolgere un’attività;

  5. il contribuente ha concluso transazioni prive di realtà economica, aventi poca o nessuna finalità commerciale o che potrebbero essere contrarie agli interessi commerciali generali se non fossero state concluse a fini di evasione fiscale.

 

Con riferimento all’indicatore sub c), coerentemente con quanto precisato sia dalla Corte di Giustizia che dalla Commissione Europea, possono essere considerati elementi di prova, volti a dimostrare il livello di presenza fisica della controllata nel territorio estero, la disponibilità in loco da parte della stessa di locali, personale e attrezzature.

Nonostante ciò evochi l’interpello CFC black list esimente lettera a), si ritiene che l’interpello del comma 8-ter sia di più facile dimostrazione in quanto devo provare la non aritificiosità della struttura e non lo svolgimento di una effettiva attività industriale o commerciale nello stato di insediamento.

Concludendo, la costituzione di una trading estera (sia irlandese che cipriota) presenta indubbi profili di interesse, tuttavia deve essere attentamente valutata alla luce dei possibili rischi fiscali e della nuova disciplina introdotta dal legislatore.

 

Nota

1) La C.M. 51/E del 20101 ha precisato che si deve confrontare la “tassazione effettiva estera” con quella “virtuale” interna considerando esclusivamente le imposte sul reddito, da individuare facendo riferimento, qualora esistente, alla Convenzione contro le doppie imposizioni ed escludendo in ogni caso l’Irap.

 

28 marzo 2011

Ennio Vial e Vita Pozzi