La Cassazione a Sezioni Unite interviene sugli studi di settore

Gli ultimi aggiornamenti giurisprudenziali, direttamente dalla Suprema Corte, in tema di studi di settore e parametri

 

In assenza di espresse indicazioni normative, il necessario ricorso ai criteri interpretativi di tipo sia letterale che sistematico ha portato la dottrina, salve posizioni isolate, a dividersi nel qualificare gli strumenti presuntivi come presunzioni semplici o legali (relative) e, per l’effetto, ad offrire differenti soluzioni sulle conseguenze dell’una o dell’altra impostazione, quali:

  • la natura (sostanziale o procedimentale);

  • l’inquadramento sistematico rispetto agli accertamenti previsti dall’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 (analitico o induttivo);

  • i criteri di riparto degli oneri probatori tra ufficio e contribuente;

  • il contenuto della motivazione dell’atto di accertamento;

  • i poteri del giudice tributario.

 

La Corte di Cassazione ha ormai acquisito, in omaggio alla flessibilità dei vari metodi di accertamento espressione del principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione:

  • l’esclusione di ogni automatismo nella loro applicazione”; peraltro confermata dalla stessa Amministrazione finanziaria con la circolare n. 5/2008;

  • l’ampio riconoscimento per il contribuente della possibilità di prova contraria, anche mediante presunzioni”; l’utilizzo di altre presunzione per smontare la presunzione da studi di settore;

  • la crescente valorizzazione del contraddittorio e dell’adeguatezza della motivazione come parte fondante ed intrinseca agli atti di accertamento” (di fatto, l’obbligatorietà del contraddittorio).

 

In questo quadro, vanno registrate le quattro sentenze della Cassazione a Sezioni unite – nn. 26635, 26636,26637,26638 del 10 dicembre 2009 (ud. del 1° dicembre 2009), che nell’occuparsi specificatamente di un caso di un contribuente sottoposto a parametri, estendono le stesse conclusioni agli studi di settore.

Gli studi di settore, pur costituendo fuor di dubbio uno strumento più raffinato dei parametri, soprattutto perché la loro elaborazione prevede una diretta collaborazione delle categorie interessate, restano tuttavia una elaborazione statistica, il cui frutto è un’ipotesi probabilistica, che, per quanto seriamente approssimata, può solo costituire una “presunzione semplice”.

 

STUDI DI SETTORE: PRESUNZIONE SEMPLICE

 

Di presunzione semplice parla espressamente la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 14 bis, (introdotto con il D.L. n. 81 del 2007, art. 15, comma 3 bis), a proposito degli indicatori di normalità economica (approvati con D.M. 20 marzo 2007, modificato con D.M. 4 luglio 2007), che gli uffici devono utilizzare per gli accertamenti da effettuare fino alla revisione degli studi di settore: tali indicatori, che debbono essere “idonei alla individuazione di ricavi, compensi e corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, hanno natura sperimentale e i maggiori ricavi, compensi o corrispettivi da essi desumibili costituiscono presunzioni semplici”. Inoltre “ai fini del l’accertamento l’Agenzia delle entrate ha l’onere di motivare e fornire elementi di prova per avvalorare l’attribuzione dei maggiori ricavi o compensi derivanti dall’applicazione degli indicatori” de quibus. Non solo, ma “i contribuenti che dichiarano un ammontare di ricavi, compensi o corrispettivi inferiori rispetto a quelli desumibili dagli indicatori… non sono soggetti ad accertamenti automatici e in caso di accertamento spetta all’ufficio accertatore motivare e fornire elementi di prova per gli scostamenti riscontrati”.

In buona sostanza, gli studi di settore, anche se caratterizzati da una minore approssimazione probabilistica rispetto ai parametri, rappresentano la predisposizione di indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale, evidenziata dallo scostamento delle dichiarazioni dei contribuenti relative all’ammontare dei ricavi o dei compensi rispetto a quello che l’elaborazione statistica stabilisce essere il livello “normale” in relazione alla specifica attività svolta dal dichiarante.

Lo scostamento non deve essere “qualsiasi“, ma testimoniare una “grave incongruenza” (come espressamente prevede il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, e come deve interpretarsi, in una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, la L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, nel quale pur essendo presente un diretto richiamo alla norma precedentemente citata, non compare in maniera espressa il requisito della gravità dello scostamento): tanto legittima l’avvio di una procedura finalizzata all’accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore (o dai parametri) devono essere “corretti“, in contraddittorio con il contribuente, in modo da “fotografare” la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell’ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa “incoerenza” con la “normale redditività” delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato.

 

NON BASTA UNO SCOSTAMENTO QUALSIASI

OCCORRE LA GRAVE INCONGRUENZA

 

Ancora una volta, quindi, è il contraddittorio – previsto espressamente dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, come modificato dalla L. n. 301 del 2004, art. 1, comma 409, lett. b), e comunque già affermato come indefettibile, a prescindere dalla espressa previsione, dalla giurisprudenza, in ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo (v. Cass. n. 17229/2006), e dalla prassi amministrativa – l’elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l’ipotesi dello studio di settore.

 

IL CONTRADDITTORIO E’ ELEMENTO ESSENZIALE

 

Altrimenti lo studio di settore si trasformerebbe da mezzo di accertamento in mezzo di determinazione del reddito, con un’illegittima compressione dei diritti emergenti dagli artt. 3, 24 e 53 Cost.: se appare ammissibile la predisposizione di mezzi di contrasto all’evasione fiscale che rendano più agile e, quindi, più efficace l’azione dell’Ufficio, come indubbiamente sono i sistemi di accertamento per standard (parametri e studi di settore), il limite della utilizzabilità degli stessi sta, da un lato, nella impossibilità di far conseguire, alla eventuale incongruenza tra standard e ricavi dichiarati, un automatismo dell’accertamento, che eluderebbe lo scopo precipuo dell’attività accertativa che è quello di giungere alla determinazione del reddito effettivo del contribuente in coerenza con il principio di cui all’art. 53 Cost.; dall’altro, nel riconoscimento della partecipazione del contribuente alla fase di formazione dell’atto d’accertamento mediante un contraddittorio preventivo, che consente di adeguare il risultato dello standard alla concreta realtà economica del destinatario dell’accertamento, concedendo a quest’ultimo, nella eventuale fase processuale, la più ampia facoltà di prova (anche per presunzioni), che sarà, unitamente agli elementi forniti dall’Ufficio, liberamente valutata dal giudice adito.

L’accertamento per standard appare un sistema unitario con il quale il legislatore, nel quadro di un medesimo disegno funzionale ad agevolare l’attività accertatrice nel perseguire l’evasione fiscale, ha individuato strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività di determinate attività catalogate per settori omogenei. Tali strumenti, rilevando, rispetto ai redditi dichiarati, eventuali significative incongruenze, legittimano l’avvio delle procedure di accertamento a carico del contribuente con invito a quest’ultimo, nel rispetto delle regole del giusto procedimento e del principio di cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuente, a fornire, in contraddittorio, i propri chiarimenti e gli elementi giustificativi del rilevato scostamento o dell’inapplicabilità nella specie dello standard.

Il sistema delineato è frutto di un processo di progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività, che giustifica la prevalenza in ogni caso dello strumento più recente su quello precedente con la conseguente applicazione retroattiva dello standard più affinato è pertanto, più affidabile.

 

LO STRUMENTO ANTECEDENTE E’ SUPERATO DAL PIU’ RECENTE

 

Tale sistema affianca la (e non si colloca all’interno della) procedura di accertamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in quanto la procedura di accertamento standardizzato è indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard, nè validamente prova contro, e la cui irregolarità, per i contribuenti in contabilità ordinaria, costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata. Si tratta, poi, di un sistema, che diversamente da quello di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, trova il suo punto centrale nell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell’elaborazione statistica) alla fase dinamica dell’accertamento (l’applicazione degli standard al singolo destinatario dell’attività accertativa).

 

IL PRINCIPIO ESPRESSO DALLE SEZIONI UNITE

 

La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non e ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente”.

 

21 gennaio 2010

Roberta De Marchi