Indennità dovute agli agenti alla cessazione del rapporto di agenzia

nell’ambito del rapporto di agenzia, particolare importanza assume la disciplina delle indennità spettanti all’agente in sede di cessazione del rapporto

            Nell’ambito del rapporto di agenzia, particolare importanza assume la disciplina delle indennità spettanti all’agente alla cessazione del rapporto. In particolare, l’art. 12 dell’Accordo economico collettivo del 26.6.2002 distingue l’indennità complessivamente dovuta all’agente alla cessazione del rapporto in tre diverse componenti:

  • indennità per la risoluzione del rapporto: è dovuta in ogni caso all’agente, anche nel caso in cui non vi sia stato incremento della clientela e/o del fatturato. Tale componente di indennità potrebbe venir meno nel la sola ipotesi in cui l’agente abbia commesso gravi violazioni nell’espletamento del rapporto (ad esempio, ritenzione di somme, attività di concorrenza sleale, violazione del patto di esclusiva, ecc.);
  • indennità suppletiva di clientela: è commisurata all’ammontare globale delle provvigioni maturante in costanza di rapporto, ed è riconosciuta all’agente solamente se il contratto si scioglie ad iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente, ovvero anche per dimissione dell’agente dovute ad una sua invalidità permanente o a seguito del conseguimento della pensione di vecchiaia;
  • indennità meritocratica: è riconosciuta solo se all’atto della cessazione del rapporto risulti un incremento del fatturato, nonché l’acquisizione di nuovi clienti, ed a condizione che il mandante riceva vantaggi economici derivanti dagli affari conclusi con tali nuovi clienti. 

            Delle tre componenti elencate, è necessario verificare se la ditta mandante possa procedere alla deducibilità fiscale dal proprio reddito dell’intera indennità, ovvero se per alcune componenti non si realizzino tutte le condizioni previste dalle disposizioni del TUIR (in particolare, certezza ed oggettiva determinabilità di cui all’art. 109 del TUIR). Le stesse questioni devono essere affrontate anche nel caso in cui la ditta mandante, non applicando gli accordi economici collettivi, provveda a liquidare le indennità ai sensi dell’art. 1751 c.c., il quale prevede di fatto la liquidazione dell’indennità, per le due componenti “suppletiva” e “meritocratica”, al verificarsi delle medesime condizioni previste dal succitato art. 12 dell’Accordo economico collettivo.

            Prima di verificare la posizione espressa dalla giurisprudenza di legittimità, e dall’Agenzia delle Entrate, è agevole evidenziare che mentre la prima componente dell’indennità (quella per la risoluzione del rapporto), presenta senza dubbio il requisito della certezza e dell’oggettiva determinabilità (è versata presso l’Enasarco annualmente), le altre componenti sono eventuali, in quanto sono dovute all’agente solamente in presenza di precisi presupposti.

            Sul punto, l’Agenzia delle Entrate, con la C.M. 9.4.2004, n. 59/E, aveva ritenuto legittima la deduzione degli accantonamenti operati dalle ditte mandanti a fronte degli obblighi relativi alla futura cessazione dei rapporti di agenzia, precisando che “a nulla rileva (….) la circostanza che talune componenti della complessiva indennità abbiano natura aleatoria” (come accade per l’indennità suppletiva e l’indennità meritocratica). Secondo la predetta R.M. n. 59/E/2004, infatti, gli accantonamenti per indennità di fine rapporto, anche se quantificati secondo criteri statistici, “assolvono a tutti gli effetti e senza distinzione, la funzione propria degli accantonamenti di quiescenza e previdenza”. A maggior supporto della propria conclusione, la citata prassi aveva richiamato l’art. 105, co. 4, del TUIR, dedicato alle indennità spettanti per la cessazione dei rapporti di agenzia, che a sua volta rimanda alle disposizioni del precedente co. 1 che disciplinano gli accantonamenti relative all’indennità di fine rapporto dei dipendenti. In altre parole, secondo l’Amministrazione Finanziaria, la natura previdenziale dell’accantonamento per indennità di fine rapporto di agenzia ne permette la deduzione in capo alla casa mandante che procede agli accantonamenti, a prescindere dalla natura aleatoria di determinate componenti che formano l’indennità stessa.

            Successivamente all’emanazione della C.M. 59/E/2004, la Cassazione, con le sentenze 24.11.2006, n. 24973, e 30.1.2007, n. 1910, si è pronunciata in merito alla deducibilità, ai fini del reddito d’impresa, dell’accantonamento per l’indennità suppletiva di clientela e per l’indennità meritocratica. In particolare, con le citate sentenze, la Suprema Corte ha sancito la non deducibilità degli accantonamenti operati a fronte dell’indennità suppletiva di clientela, in quanto tale indennità costituisce un onere soltanto eventuale (come detto, l’indennità è dovuta solamente se lo scioglimento del rapporto avviene su iniziativa della casa mandante per fatto non imputabile all’agente). Da ciò consegue che la deducibilità di tale onere, ai sensi dell’art. 109 del TUIR, avviene solamente nell’esercizio in cui venga materialmente corrisposta (per cassa), in quanto solamente in tale momento la spesa presenta il requisito della certezza. In pendenza di rapporto di agenzia, infatti, secondo la Cassazione l’onere è incerto sia nell’an che nel quantum e, come tale, non deducibile fiscalmente.

            Un particolare aspetto evidenziato dalla Cassazione (ed analizzato anche da Assonime nella Circolare 18.7.2007, n. 41) è quello relativo al requisito della maturazione: a parere della Corte, infatti, l’indennità suppletiva (e meritocratica), a differenza di quella riconosciuta per la cessazione del rapporto, non matura in costanza del rapporto di agenzia, ma trova la sua fonte solo all’atto della cessazione del rapporto. Si tratterebbe, quindi, solamente di un diritto eventuale e successivo, che nasce alla cessazione del rapporto, e che solo in tale momento può verificarsi la spettanza in capo all’agente. Proprio per tale caratteristica, quindi, non si realizzerebbero le condizioni previste dall’art. 105, co. 1, del TUIR, che riconosce la deduzione degli accantonamenti a fronte dell’indennità di  fine rapporto, in funzione della quota maturata in ciascun esercizio.

            A seguito delle citate sentenze della Suprema Corte, l’Agenzia delle Entrate è ritornata sulla questione con la C.M. 6.7.2007, n. 42/E, in cui, sia pure non entrando nel merito delle argomentazioni svolte dalla Cassazione, si limita a prendere atto di tale nuovo orientamento giurisprudenziale e precisa che il precedente orientamento espresso nella C.M. 59/E/2004 deve intendersi superato. In particolare, anche se l’Agenzia delle Entrate, nella C.M. 42/E/2007, si esprime genericamente in merito all’indennità per la cessazione del rapporto di agenzia, si ritiene corretto sostenere, come ha precisato Assonime nella citata circolare 41/2007, che la questione dell’indeducibilità dell’accantonamento operato dalla ditta mandante non riguardi l’intera indennità, ma solamente quelle parte riferita all’indennità suppletiva di clientela (oggetto delle sentenze della Cassazione), nonché quella per indennità meritocratica, sia pure non espressamente oggetto di trattazione da parte della giurisprudenza di legittimità. Infatti, solo tali componenti presentano aspetti di aleatorietà, mentre appare indubitabile la deducibilità della quota parte di indennità legata alla mera cessazione del rapporto (principio di maturazione).

            L’Amministrazione Finanziaria, tuttavia, non si limita a prendere posizione sulla deducibilità delle quote future, ossia quelle accantonate successivamente all’emanazione della C.M. n.42/E/2007, ma fornisce istruzioni operative in ordine agli adempimenti che le imprese dovrebbero porre in essere anche in relazione alle quote maturate in precedenti esercizi. In particolare:

  • si precisa che non saranno applicate sanzioni ed interessi nei confronti dei contribuenti che si sono conformati al contenuto della C.M. n. 59/E/2004, ovviamente per comportamenti successivi alla data di emanazione del documento di prassi;
  • per i periodi d’imposta precedenti (segnatamente il 2004 ed il 2005), laddove siano stati adottati comportamenti conformi alla predetta C.M. n. 59/E/2004, i contribuenti possono emendare le dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap nei termini previsti dall’art. 2, co. 8, del DPR n. 322/98, ossia entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione originaria. Per tali situazioni, comunque, ricorda l’Agenzia, resta ferma la possibilità di avvalersi, in presenza dlele condizioni previste dalla norma, del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/97, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui è stata commessa la violazione;
  • gli Uffici non procederanno all’applicazione di sanzioni ed interessi, a condizione che il contribuente, uniformandosi al contenuto della C.M. 42/E/2007, abbia proceduto alla rettifica delle dichiarazioni presentate.

           Relativamente a tale presa di posizione, è interessante analizzare quanto sostenuto da Assonime nella Circolare n. 41/2007, in cui si esprimono delle perplessità in merito alle suddette affermazione dell’Agenzia. In particolare, è sottolineato che l’utilizzo della dichiarazione integrativa, nel caso di specie, dello strumento della dichiarazione integrativa la quale, si ricorda ha la mera funzione di consentire, in via opzionale, di “integrare o correggere errori od omissioni commessi nella dichiarazione originaria” (art. 2, co. 8, del DPR 322/98). Pertanto, laddove il contribuente scelga di non adottare tale possibilità, non sono previste sanzioni ulteriori rispetto a quelle già previste imn merito alla dichiarazione non rettificata. Lo stesso dicasi per lo strumento del ravvedimento operoso, il quale opera esclusivamente nell’ambito della disciplina delle sanzioni amministrative, e consente al contribuente che intende provvedere alla correzione di errori od omissioni, di ottenere una riduzione delle sanzioni stesse in cambio di una propria spontanea attivazione.

            Ma ciò che più colpisce della posizione espressa da parte dell’Agenzia in merito ai periodi d’imposta pregressi è la “neutralità” in termini di gettito, in quanto in relazione agli accantonamenti operati dalle imprese (e dedotti), si possono produrre le seguenti conseguenze:

  • alla cessazione del rapporto di agenzia si verificano le condizioni affinchè all’agente spetti sia l’indennità suppletiva di clientela, sia quella meritocratica: in tal caso, poiché la deduzione è già avvenuta per competenza all’atto dell’accantonamento operato in ciascun periodo d’imposta, all’atto del pagamento si verifica l’utilizzo del fondo per far fronte al pagamento di quanto dovuto;
  • alla cessazione del rapporto non si verificano le condizioni per il diritto all’indennità suppletiva e di quella meritocratica: in tale ipotesi, il venir meno del fondo accantonato nei precedenti esercizi produce una sopravvenienza attiva imponibile (in quanto sono stati dedotti i precedenti accantonamenti).

            In entrambe le ipotesi, in virtù del principio di continuità del reddito d’impresa, non si produce alcun danno sostanziale alle casse erariali, ma si assiste ad un semplice spostamento del momento temporale del recupero delle imposte non pagate in precedenza, ragion per cui non si comprendono le ragioni per cui l’Agenzia pretenderebbe la presentazione di dichiarazioni rettificative da parte delle imprese interessate. A tale proposito, si auspica un ulteriore intervento da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Sandro Cerato

16 Marzo 2009