Definizione di area edificabile ai fini tributari: l'efficacia retraoattiva

L’art. 36, comma 2, D.L. n. 223/2006 (1) (in base al quale «un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo») non può applicarsi a fattispecie intervenute prima di luglio 2006, trattandosi di normativa innovativa che introduce criteri nuovi, applicabili solo alle fattispecie intervenute dopo la sua entrata in vigore (e non in via retroattiva).

 

            Tale importante principio è stato statuito dalla Commissione tributaria regionale Emilia Romagna, con sentenza del 29/01/2008, n.91. In particolare, l’iter logico-giuridico adottato da tale pronuncia può essere così puntualizzato: 1) L’art. 1, comma 2, legge 212/00 (Statuto del contribuente) stabilisce che una norma interpretativa in materia tributaria può essere disposta solo in casi eccezionali e con legge ordinaria, con l’inserimento altresì della qualificazione di “norma di interpretazione autentica”: in mancanza di tale specificazione la norma viene meno al principio generale della irretroattività delle disposizioni tributarie.

Di conseguenza l’art. 36 introduce una nuova disposizione valevole solamente per le situazioni verificatesi successivamente all’entrata in vigore di questa legge, anche se la sentenza n. 25506/06 delle Sezioni Unite della Cassazione ha ritenuto di considerare lo stesso art. 36 di natura interpretativa, venendo con ciò a favorire l’Amministrazione finanziaria a scapito del contribuente. 2) Il legislatore nella redazione ed approvazione dell’articolo art. 36 citato allorquando ha ritenuto di far decorrere l’applicabilità della norma non dai canonici 15 giorni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (o dal giorno successivo) ma da tempi diversi ha usato espressioni specifiche. Difatti al comma 8 ha inserito il termine “in deroga all’art. 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000 n. 212” dello Statuto dei diritti del contribuente.

 

            Ciò fa ritenere che il legislatore abbia voluto rendere retroattiva solo quella parte dell’art. 36 che specifica espressamente la deroga all’art. 3 comma 1 della legge n. 2 12/00.

3) E’ vero che la sentenza n. 25505/2006 delle Sezioni Unite della Cassazione ha al contrario ritenuto che l’art. 36 debba essere considerato quale norma interpretativa del DPR n. 131/86 ma solamente ai fini dell’inapplicabilità del sistema di valutazione automatica a seguito di un’interpretazione di un dato di fatto connesso alla sufficienza dell’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica per far lievitare il valore venale dell’immobile. Ma questa evidente valutazione di fatto, che interferisce con una situazione giuridica, non produce l’automatico superamento di altra norma di legge della stessa importanza quale lo Statuto del Contribuente sulla irretroattività delle norme tributarie. Questo contrasto di norme non può essere superato con una semplice valutazione di un dato di fatto, quando poi questo si traduce in un’applicazione nuova di una norma tributaria.

            Ciò connesso anche al fatto che nello stesso articolo, dichiarato norma interpretativa, il legislatore ha differenziato i riferimenti delle norme che dovevano essere applicate in deroga al comma I dell’art. 3 della legge 212/2000 da quelli che non lo derogavano.

 

            Tutte queste considerazioni portano a far ritenere come non possa applicarsi l’art. 36, comma 2°, della legge 223/06 alla fattispecie intervenuta nel 1998, trattandosi di normative da applicarsi dall’anno 2006 in poi e non in via retroattiva. In definitiva, secondo la pronuncia in commento in mancanza di un’espressa previsione del legislatore ordinario di deroga al comma 1 dell’articolo 3 della legge n. 212/2000 la norma sopravvenuta ha ai sensi dello stesso articolo uno secondo comma, della legge 212/00 (cd. Statuto del contribuente) carattere innovativo ed è applicabile solo per il futuro; l’attribuzione di una efficacia retroattiva deve venire espressamente dal legislatore ordinario.

 

Riflessioni

 

            Orbene, in tema di efficacia nel tempo delle norme tributarie, in base all’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (cosiddetto Statuto del contribuente), il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi, stabilito dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista (Cassazione sentenza del 2 aprile 2003 n. 5015).

 

            Ogni qual volta una normativa fiscale sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività ed una che l’escluda, l’interprete dovrà dare preferenza a questa seconda interpretazione come conforme a criteri generali introdotti con lo statuto del contribuente, e attraverso di esso ai valori costituzionali intesi in senso ampio e interpretati direttamente dallo stesso legislatore attraverso lo statuto. Pur non sussistendo nell’ordinamento un divieto giuridico assoluto all’introduzione di norme fiscali che abbiano effetti retroattivi – in caso di possibilità di interpretazioni alternative deve essere comunque preferita quella che non comporti la retroattività della disposizione fiscale” (Cassazione, sentenza n. 7080 del 14 aprile 2004).

            D’altra parte, qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla legge n. 212/2000 deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi dello Statuto del contribuente; l’interprete è chiamato ad applicare i principi dello Statuto anche con riferimento a leggi tributarie che non siano state oggetto di correzione (Cassazione, sentenza n. 7080/2004).

            Per individuare (2) una legge d’interpretazione autentica con effetto retroattivo, occorre fare riferimento non solo alla cosiddetta autoqualificazione (lettera della legge, intitolazione della legge, lavori preparatori, obbligatoria ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge n. 212/2000), ma anche a indicatori obiettivi, come la struttura della fattispecie normativa; occorre che la disposizione interpretata e la disposizione interpretante si saldino per formare un precetto normativo unitario.

 

            La funzione della legge di interpretazione autentica è quella di chiarire il senso di norme presistenti al fine di rimediare sia ad interpretazioni giurisprudenziali divergenti sia ad eventuali incertezze interpretative. La funzione della legge d’interpretazione autentica è quella di dichiarare il senso di norme preesistenti al fine di rimediare sia a interpretazioni giurisdizionali diverse sia a eventuali incertezze interpretative. Le leggi interpretative, dirette a chiarire il significato di norme previdenti, finiscono per attribuire a leggi anteriormente emesse un significato eventualmente sfuggito ai contribuenti e agli esperti. Una norma che si dichiari interpretativa ha effettivamente tale carattere, e quindi effetto retroattivo, se l’interpretazione data della norma precedente era già possibile prima, in base a normali canoni di ermeneutica giuridica mentre, se l’interpretazione data non era possibile prima, nel senso che sarebbe stata contraria ai normali criteri di ermeneutica e di logica giuridica, la disposizione legislativa che si dichiarasse interpretativa sarebbe in realtà innovativa (T.A.R. Veneto sez. 1, 10 marzo 1999, n. 326 ).

 

            La possibilità di adottare norme dotate di efficacia retroattiva non può essere esclusa nella materia tributaria ove le norme stesse non siano arbitrarie e non ledano, altresì valori o principi costituzionali quali la solidarietà, l’eguaglianza, il diritto alla difesa, l’intangibilità del giudicato, l’autonomia della funzione giurisdizionale, l’affidamento o certezza dei rapporti tributari, l’effettività della tutela giurisdizionale, la capacità contributiva. I limiti alla portata retroattiva sono stati individuati dalla Consulta (vd. sentenza n. 525 del 2000) nella salvaguardia di norme costituzionali (sentenze n. 311/95 e n. 397/94); tra questi, i principi generali di ragionevolezza, razionalità e di uguaglianza, nella tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico e nel rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.

 

            Fatta salva un’effettiva causa giustificatrice il legislatore deve ragionevolmente attenersi all’irretroattività in quanto la certezza dei rapporti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillità dei cittadini. La regola iuris che discende dalla cosa giudicata costituisce un valore assoluto non condizionato dallo ius superveniens o da fatti sopravvenuti.

 

            L’immutabilità del giudicato non può cedere di fronte a norme tributarie sopravvenute aventi efficacia retroattiva. Il contenuto precettivo del giudicato tributario costituisce un modo di essere necessario e non più mutabile della realtà giuridica ormai definitivamente cristallizzata nel dctum del giudice tributario anche se questi abbia eventualmente travisato, ignorato o disapplicato la norma tributaria.

            La Carta Costituzionale garantisce al contribuente non solo il diritto di adire il giudice tributario ma anche il diritto di ottenere dal giudice stesso una situazione definitiva (immutabile) l’unica realmente satisfattiva della pretesa fatta valere dal contribuente. Nel quadro della divisione dei poteri dello Stato emerge che il legislatore tributario (3) non può sia sovrapporsi al decisum iudicis modificando ex post singoli rapporti tributari già definiti e coperti dal giudicato (Corte costituzionale sentenza n. 263 del 24 giugno 1994).

 

Recente intervento della Consulta

            Giova segnalare che la Consulta con la ordinanza  n. 41 del 27 febbraio 2008 ha statuito che: E’ manifestamente infondata la questione di  legittimità  costituzionale dell’art. 36, comma 2 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223  (Disposizioni  urgenti per  il  rilancio  economico  e  sociale,   per   il   contenimento   e   la razionalizzazione della spesa pubblica,  nonché  interventi  in  materia  di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito  con  modificazioni nella L. 4 agosto 2006, n. 248, sollevata in riferimento agli art.  3  e  53 della Costituzione ed ai principi  di  ragionevolezza,  non  contraddizione, affidamento  e  certezza  del   diritto.   L’interpretazione   fornita   dal legislatore tributario,  per  il  tramite  della  norma  censurata,  risulta compatibile con la formulazione letterale dell’art. 2, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 504/1992 ed annoverabile fra  le  soluzioni  ermeneutiche  ammesse dalla citata disposizione. Conseguentemente, non ostando l’art. 2  della  L. 27 luglio 2000, n.  212  all’adozione  di  disposizioni  di  interpretazione autentica prive di manifesta qualificazione in tal senso  e  costituendo  la potenzialità  edificatoria  dell’area,  ancorché  accordata   da   strumenti urbanistici il cui iter non sia stato perfezionato, elemento suscettibile di attribuire un incremento del valore venale  all’immobile,  la  questione  di legittimità costituzionale deve essere rigettata. In particolare, l’iter logico giuridico adottato da tale pronuncia può così essere puntualizzato:

 

– le questioni sollevate dai rimettenti con  riguardo  al menzionato art. 36, comma 2, del  decreto-legge  n.  223  del  2006  debbono essere dichiarate manifestamente infondate; al riguardo, va  preliminarmente  osservato  che,  diversamente  da quanto dedotto dalla Commissione  tributaria  provinciale  di  Piacenza,  la disposizione censurata costituisce interpretazione  autentica  dell’art.  2, comma 1, lettera b),  del  decreto  legislativo  n.  504  del  1992,  perché attribuisce alla disposizione interpretata un significato compatibile con la sua formulazione letterale;

 

– in particolare, detta disposizione prevede  testualmente  che,  per «area fabbricabile» ai fini dell’ICI, deve intendersi l’area utilizzabile  a scopo edificatorio «in base agli strumenti urbanistici generali o  attuativi ovvero»,  alternativamente,  «in  base   alle   possibilità   effettive   di edificazione  determinate  secondo   i   criteri   previsti   agli   effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità»; la disgiunzione «ovvero» consente di  annoverare  tra  le  possibili interpretazioni dell’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992 anche quella secondo cui il richiamo ai criteri  previsti  agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità  si  riferisce esclusivamente  all’utilizzabilità  edificatoria  dell’area  «in  base  alle possibilità effettive di edificazione»; pertanto, secondo tale  interpretazione,  la  nozione   di   area fabbricabile «in base agli strumenti urbanistici», ai fini dell’ICI,  non  è influenzata dal disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 37 del  d.P.R.  8  giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in materia di espropriazione per pubblica utilità), testo A, per i quali  –  ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio di un’area edificabile o legittimamente edificata  – 

«si  considerano  le  possibilità  legali  ed effettive di edificazione» (comma 3) e «non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di  inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale  o  alle  previsioni  di qualsiasi atto di programmazione o di  pianificazione  del  territorio,  ivi compresi il piano paesistico, il piano del parco, il  piano  di  bacino,  il piano regolatore generale, il programma di fabbricazione, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata anche per una parte limitata del territorio comunale per finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad  un  qualsiasi  altro  piano  o  provvedimento  che  abbia precluso  il  rilascio  di  atti,  comunque  denominati,  abilitativi  della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata» (comma 4);

 

– alla  stregua  delle  indicate  premesse  ermeneutiche,  il  testo dell’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n.  504  del  1992 può essere interpretato nel  senso  che,  ai  fini  dell’ICI,  si  considera fabbricabile anche l’area utilizzabile a scopo  edificatorio  in  base  allo strumento urbanistico generale, ancorché  questo  non  sia  stato  approvato dalla regione o non siano stati adottati i necessari strumenti attuativi del medesimo;

 

– la suddetta interpretazione  è  stata  successivamente  imposta  dal censurato art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, il  quale  ha fatto venir meno l’obiettiva incertezza sul significato dell’art.  2,  comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992;

 

– a tale conclusione non osta il disposto  del  comma  2  dell’art.  1 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di  statuto  dei diritti dei contribuenti), secondo cui «L’adozione di  norme  interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni  di  interpretazione autentica»;

 

– la disposizione denunciata, infatti, in quanto dotata  della  stessa forza della legge n. 212 del 2000 (che non  ha  valore  superiore  a  quello della legge ordinaria, come sottolineato da questa Corte con le ordinanze n. 180 del 2007, n. 428 del 2006 e n. 216  del  2004),  è  idonea  ad  abrogare implicitamente   quest’ultima    e,    conseguentemente,    ad    introdurre nell’ordinamento una valida norma  di  interpretazione  autentica,  ancorché priva di una espressa autoqualificazione in tal senso;

 

– dalla riscontrata natura di interpretazione autentica propria  della disposizione censurata – natura non riconosciuta dal giudice rimettente,  ma ammessa dal diritto vivente (in particolare, dalla  sentenza  n.  25506  del 2006 delle sezioni unite della Corte di cassazione) – deriva l’insussistenza della dedotta violazione dei princípi di ragionevolezza e di affidamento dei cittadini nella certezza giuridica, in quanto la norma denunciata si  limita ad  attribuire  alla  disposizione  interpretata  uno  dei  significati  già ricompresi nell’area semantica della disposizione stessa e, pertanto,  sotto tale profilo, non può ritenersi irragionevole (ex plurimis, sentenze n.  400 e n. 234 del 2007; n. 274, n. 135 e n. 39 del 2006; n. 291 del 2003; n.  374 del 2002);

 

– quanto alle altre censure concernenti il citato art. 36,  comma  2, del  decreto-legge  n.  223  del  2006,  è  del  tutto  ragionevole  che  il legislatore: a) attribuisca alla nozione di “area  edificabile”  significati diversi a seconda del settore normativo in cui detta nozione deve operare e, pertanto, distingua tra normativa fiscale, per la quale rileva  la  corretta determinazione del valore imponibile del suolo, e normativa urbanistica, per la quale invece rileva l’effettiva  possibilità  di  edificare,  secondo  il corretto uso del territorio, indipendentemente dal valore venale del  suolo; b) muova dal presupposto fattuale che un’area in relazione alla quale non  è ancora ottenibile il permesso di costruire, ma che  tuttavia  è  qualificata come “edificabile” da uno strumento urbanistico  generale  non  approvato  o attuato, ha un valore venale tendenzialmente diverso da quello di un terreno agricolo privo di tale qualificazione;  c)  conseguentemente  distingua,  ai fini della determinazione  dell’imponibile  dell’ICI,  le  aree  qualificate edificabili in base a strumenti urbanistici non approvati o non attuati  (e, quindi, in concreto  non  ancora  edificabili),  per  le  quali  applica  il criterio  del  valore  venale,  dalle   aree   agricole   prive   di   detta qualificazione, per le quali applica il diverso criterio  della  valutazione basata sulle rendite catastali;

 

– infatti, la potenzialità edificatoria dell’area, anche se  prevista da strumenti urbanistici solo in itinere  o  ancora  inattuati,  costituisce notoriamente un elemento oggettivo  idoneo  ad  influenzare  il  valore  del terreno  e,  pertanto,  rappresenta  un  indice  di  capacità   contributiva adeguato, ai sensi dell’art. 53 Cost., in quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio economicamente  rilevante;  e  ciò  indipendentemente dalla eventualità che, nei contratti di  compravendita,  il  compratore,  in considerazione dei motivi dell’acquisto, si cauteli condizionando il negozio alla  concreta  edificabilità  del  suolo,  trattandosi  di  una   ipotetica circostanza di mero fatto, come tale irrilevante nel giudizio di legittimità costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 155 del 2005; ordinanze n. 173  del 2003; n. 481 e n. 311 del 2002);

 

– inoltre, il criterio del valore venale non comporta affatto – come, invece, sembrano ritenere i rimettenti – una valutazione fissa  ed  astratta del bene, ma  consente  di  attribuire  al  terreno  (già  qualificato  come edificabile dallo strumento urbanistico generale) il suo valore di  mercato, adeguando la valutazione alle specifiche condizioni di  fatto  del  bene  e, quindi, anche alle più o meno rilevanti probabilità di  rendere  attuali  le potenzialità edificatorie dell’area;

 

– del resto, la giurisprudenza delle sezioni  unite  della  Corte  di cassazione (con la citata sentenza n. 25506  del  2006,  menzionata,  seppur criticamente, dagli stessi rimettenti) si è già espressa nello stesso senso, affermando  che  l’edificabilità  di  un  terreno  in  base  al  solo  piano regolatore, anche se privo di strumenti attuativi, è sufficiente, di  norma, a far lievitare il valore di mercato di detto terreno  e  che  è,  pertanto, ragionevole che la normativa  censurata  consideri  “edificabile”,  ai  fini della determinazione dell’imponibile, un’area che, invece, è considerata  in concreto ancora non edificabile dalla normativa urbanistica;

 

– pertanto i giudici a quibus errano – ai  fini  della  determinazione dell’imponibile dell’ICI –  sia  nel  distinguere  le  aree  edificabili  in concreto da quelle edificabili in astratto (cioè considerate edificabili  da strumenti urbanistici non approvati  o  non  attuati),  sia  nell’equiparare queste ultime alle altre aree agricole;  e  ciò  perché  –  sempre  ai  fini fiscali – l’astratta edificabilità del suolo giustifica di per sé, come  già osservato, la valutazione  del  terreno  secondo  il  suo  valore  venale  e differenzia  radicalmente  tale  tipo  di  suoli  da  quelli  agricoli   non edificabili;

 

– dunque, non  sussistono  le  dedotte  violazioni  dei  principi  di capacità contributiva, di ragionevolezza e di uguaglianza.

 

Carmela Lucariello

3 Marzo

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Note

Art. 36.
Recupero di base imponibile

1) Ai fini dell’applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo.

2) Con Sentenza 30 novembre 2005, n. 26115, la Corte di Cassazione ha precisato che, in caso di rapporti pendenti, non può applicarsi retroattivamente l’art. 3, Legge n. 549/1995, (“legge prima casa”), rispetto alla previgente normativa costituita dalla Legge n. 118/1985. Infatti, è principio ormai pacifico che, in materia tributaria, la legge da applicare debba essere quella vigente al momento della conclusione dell’atto, salvo che dalla lettera della nuova normativa non emerga chiaramente l’applicabilità retroattiva della medesima o una sua natura interpretativa. Come chiarisce la citata Sentenza, dalla nuova disposizione applicabile al caso di specie non è dato rilevare esplicitamente né la portata retroattiva né tanto meno una sua valenza interpretativa, dovendosi così concludere per l’applicazione della precedente normativa costituita dalla Legge n. 118/1985

3) Il giudice di legittimità, sezione quinta civile, con la sentenza n. 4616 del 3/03/2005, ha precisato le condizioni di ammissibilità della legge di interpretazione autentica:

  1. la legge di interpretazione autentica ha efficacia retroattiva e di conseguenza è applicabile ai rapporti d’imposta sorti prima della sua entrata in vigore e non ancora definiti,
  2. il giudicato si pone come limite suscettibile d’impedire il dispiegamento di efficacia della nuova norma d’interpretazione autentica al caso concreto;
  3. è ammissibile, ai sensi dell’articolo 11 delle preleggi e degli articoli 1 e 3 della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente), quella legge di interpretazione autentica che presuppone il contenuto non inequivoco della norma interpretata e la riconducibilità dell’esegesi prescelta dal legislatore a una delle alternative prima ammissibili;
  4. il dettato della norma interpretativa deve ridurre univocamente e non eccedere la portata precettiva teorica della disposizione precedente.

“IL PRESENTE INTERVENTO E’ ESPRESSIONE PERSONALE DELL’AUTORE.

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ALLEGATO

 

Commissione Tributaria regionale Emilia Romagna, sez. XIII, sent. 29 gennaio 2008, n. 91

Oggetto della causa e svolgimento del processo

Con atto depositato in data 08/03/2004 la Signora P.A. di […]  (BO) propose ricorso avverso l’avviso di accertamento n. 795010100385 – prot. 4779212003 emesso dall’Agenzia delle Entrate di Bologna, notificato in data 24/12/2003, relativo all’imposta IRPEF di tassazione separata per l’anno 1998. Deduceva come con atto di compravendita notaio S.P. in data 22/6/98, registrato il 13/07/98, aveva venduto insieme al Signor P.C. un appezzamento di terreno con sovrastanti fabbricati colonici in […], località […], di ha. 2.95.87 per un importo complessivo di lit. 7.600.900.000, dei quali lire 4.826.446.367 ricevuti nell’anno 1998. L’Ufficio le aveva notificato in data 24/12/03 un accertamento per una maggior imposta IRPEF di €. 269.581,72, con interessi al 31/12/03 di €. 56.471,83, nonché per sanzioni per €. 269.581,72.

 

Affermava che il terreno venduto era stato inserito dal Comune nella variante in corso d’approvazione del Piano Regolatore Generale da agricolo ad edificabile; senza però che la modifica fosse ancora divenuta definitiva. Da questo fatto l’ufficio aveva determinato un valore del terreno ben maggiore del dichiarato. Eccepiva il contribuente l’errore dell’Ufficio in quanto tale terreno fino all’approvazione definitiva del PRG non poteva essere ritenuto edificabile