Alle fondazioni bancarie l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di legge

Per ottenere la riduzione a metà dell’aliquota IRPEG e l’esonero dalla ritenuta sugli utili societari, le fondazioni bancarie devono provare di possedere i requisiti di legge nazionale per accedere al regime agevolativo, e di non avere natura imprenditoriale, secondo quanto stabilito dalle norme europee sugli aiuti di Stato. Tale assunto è stato precisato l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 69/E/2007, che recepisce la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 27619/2006), intervenute a risolvere il contrasto insorto nella sezione tributaria circa l’applicabilità alle fondazioni bancarie delle agevolazioni tributarie previste dall’art. 6, D.P.R. n. 601/1973 (riduzione dell’imposta sui redditi) e dall’art. 10-bis, legge n. 1745/1962 (esonero dalla ritenuta sugli utili societari). Giova ricordare, a tal riguardo, che con la sentenza n. 27619/2006, la Corte di Cassazione ha fissato precisi  criteri interpretativi  per la risoluzione dei contenziosi relativi ai periodi d’imposta ­dal 1990 al 1999, ­per i quali era applicabile la legge n. 218/1990 (c.d. «legge Amato»). Le direttive impartite  da tale documento di prassi riguardano, pertanto, il contenzioso sorto relativamente ai periodi d’imposta 1990-1999, per i quali era applicabile la legge Amato. Infatti, successivamente, la disciplina ha subìto sostanziali modifiche, anche per effetto dell’articolo 12, comma 2, del Dlgs 153/1999, che ha ammesso le fondazioni bancarie, in presenza di specifici presupposti, al beneficio della riduzione a metà dell’aliquota Irpeg (quest’ultima previsione è venuta meno a seguito dell’abrogazione disposta dall’articolo 2, comma 4, lettera a), del Dl 168/2004, convertito, con modificazioni, dalla legge 191/2004).

La circolare citata, uniformandosi, altresì, ai criteri interpretativi forniti dalla Corte di giustizia europea con la sentenza del 10 gennaio 2006 denota i seguenti capisaldi:

Ø     Per la spettanza dei benefici fiscali in questione, ciascuna fondazione bancaria ha l’onere di provare in giudizio, secondo le regole proprie del processo tributario, non solo il possesso dei requisiti previsti dalle norme agevolative nazionali, ma anche la natura non imprenditoriale dell’attività svolta, secondo la nozione invalsa nella disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato. In particolare, la prova deve avere a oggetto le seguenti circostanze:

a)     che esista nello statuto una previsione in base alla quale possano dirsi soddisfatti i requisiti tassativamente indicati dalle norme agevolative di cui si invoca l’applicazione (requisito formale);

b)    che l’attività in concreto esercitata dalla fondazione corrisponda a quella individuata dalle disposizioni legislative e statutarie (requisito sostanziale);

c)     che la fondazione non abbia natura imprenditoriale. La nozione di “impresa” alla quale occorre rifarsi è quella elaborata, ai fini del diritto comunitario in tema di concorrenza, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza della Corte di giustizia del 10 gennaio 2006). La detenzione di partecipazioni, quando si traduce in un vero e proprio controllo, dà luogo ad esercizio di impresa e ad assoggettamento a procedura concorsuale (cosiddetta holding individuale)“.

Ø     Sulla fondazione bancaria grava l’onere di provare l’inesistenza di qualunque influenza, anche indiretta, sulla gestione dell’impresa bancaria (o di altre imprese di cui la fondazione abbia acquistato partecipazioni); a tal fine, assume particolare rilevanza l’eventuale partecipazione della fondazione – azionista maggioritario o non maggioritario della società che esercita l’impresa bancaria – ad accordi parasociali e specialmente a patti di sindacato sull’esercizio del diritto di voto. Ai fini di escludere la natura imprenditoriale delle fondazioni bancarie, non è sufficiente provare l’assenza del fine di lucro oppure la circostanza di avere utilizzato i proventi dell’attività economica per il raggiungimento di scopi di utilità sociale.

Ø     In tema di assolvimento dell’onere della prova occorre  ribadire che le questioni non esposte nel ricorso introduttivo del giudizio non possono essere introdotte mediante una memoria successiva (ai sensi dell’articolo 24, comma 2, del Dlgs 546/1992) e che le questioni non dedotte nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, se proposte nel grado successivo, costituiscono domanda nuova, improponibile nel giudizio d’appello (ai sensi dell’articolo 57, Dlgs 546/1992)

Ø     Ai fini del regime agevolativo fiscale, assume particolare rilevanza l’effettiva natura delle fondazioni bancarie, le quali rappresentano una particolare categoria di soggetti, istituita dalla “legge Amato” (la n. 218 del 1990) nell’ambito della riforma delle casse di risparmio e degli altri enti pubblici creditizi.

Ø     Le fondazioni bancarie, pur perseguendo i fini – tradizionali delle casse di risparmio – di utilità sociale, hanno come attività principale quella di gestire il pacchetto azionario di società bancarie. Più precisamente, nell’ambito del riordino operato dalla legge Amato, dalle originarie casse di risparmio sono state scorporate le aziende bancarie e conferite a società “conferitarie”, mentre agli “enti conferitari”, comunemente denominati fondazioni bancarie, è stata istituzionalmente attribuita la titolarità e l’amministrazione delle partecipazioni nelle società conferitarie.

Dott. Angelo Buscema

14 gennaio 2008

 

Oggetto:

Fondazioni bancarie – agevolazioni previste dall’art. 6 del DPR n. 601 del 1973 e dall’art. 10-bis della legge n. 1745 del 1962 – sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 27619 del 2006

Testo:

– Premessa

– La questione controversa

– Il panorama giurisprudenziale prima della pronuncia delle sezioni unite della Cassazione n. 27619 del 2006

– La pronuncia delle sezioni unite della Cassazione n. 27619 del 2006 4.1

– La soluzione individuata dalla pronuncia delle sezioni unite

– Ulteriori pronunce della Cassazione dopo la sentenza delle sezioni unite

– Gestione del contenzioso pendente

 

1. Premessa

Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27619 del 29 dicembre 2006, sono intervenute a comporre il contrasto insorto nella sezione tributaria circa l’applicabilita’ alle fondazioni bancarie delle agevolazioni tributarie previste dall’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 (riduzione dell’imposta sui redditi) e dall’art. 10-bis della legge 29 dicembre 1962, n. 1745 (esonero dalla ritenuta sugli utili societari).

I principi enunciati dalle sezioni unite sono stati poi recepiti dalla sezione tributaria della Corte di Cassazione, la quale ha pronunciato numerose sentenze di segno favorevole per l’Amministrazione finanziaria.

Sulla controversa questione la scrivente, con nota prot. n. 199226 del 18 dicembre 2003, aveva invitato le strutture territoriali a proseguire il contenzioso in materia, riservandosi di assumere un indirizzo definitivo all’esito della pronuncia delle sezioni unite.

Pertanto, alla    luce dei principi fissati dalla giurisprudenza di
legittimita’, si ritiene opportuno fornire ulteriori istruzioni.

 

2. La questione controversa

L’Amministrazione finanziaria    ritiene riconducibilita’ delle      fondazioni        bancarie beneficiari espressamente indicate dall’art. dall’art. 10-bis della legge n. 1745 del 1 peculiare attivita’ che esse svolgono in via gestione del pacchetto azionario di imprese 238/E del 4 ottobre 1996, che tiene conto del n. 103 del 24 ottobre 1995; risoluzione n. 145/E

La riforma delle casse di risparmio e creditizi attuata con la legge 30 luglio 1990 che l’ostacolo alla in una delle categorie di 6 del DPR n. 601 del 1973 e 962 sia rappresentato dalla principale, consistente nella bancarie (cfr. circolare n. parere del Consiglio di Stato del 2 ottobre 2001) degli altri enti pubblici , n. 218 (cd. “legge Amato”) e con il decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, nel prevedere lo scorporo dagli originari enti creditizi delle aziende bancarie e il loro conferimento a societa’ per azioni di nuova creazione (le cosiddette “societa’ conferitarie”), ha istituito gli “enti pubblici conferenti” (nel linguaggio corrente comunemente denominati “fondazioni bancarie”) . Tali enti hanno assunto istituzionalmente la titolarita’ e l’amministrazione di partecipazioni nelle rispettive societa’ conferitarie dell’azienda bancaria, conservando piena capacita’ di diritto pubblico e proseguendo l’attivita’ – tradizionale per le casse di risparmio – nel campo della promozione dello sviluppo sociale, culturale ed economico.

 Il contenzioso esaminato nella presente circolare si riferisce specificamente ai periodi d’imposta per i quali era applicabile la “legge Amato”.

Successivamente, con l’entrata in vigore del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, emanato a seguito della legge delega 23 dicembre 1998, n. 461       (cosiddetta       “legge Ciampi”), nell’ambito di un riordino della disciplina civilistica e fiscale degli “enti conferenti” (ridenominati “fondazioni” dall’art. 1, lett. c), del citato D.Lgs. n. 153 del 1999), gli enti in parola sono stati espressamente ammessi, in presenza di specifici presupposti, ai benefici di cui all’art. 6 del DPR n. 601 del 1973, in base all’art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 153 del 1999, al quale l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto portata innovativa (cfr. la risoluzione n. 145/E del 2 ottobre 2001).

Le speciali disposizioni agevolative previste dal richiamato art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 153 del 1999 sono venute meno per effetto dell’art. 2, comma 4, lett. a), del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, che le ha espressamente abrogate, a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data del 12 luglio 2004, giorno di entrata in vigore del predetto DL n. 168 del 2004 (cfr. art. 2, comma 5, e art. 6 dello stesso DL; circolare n. 52/E del 10 dicembre 2004, punto 2.1).

3. Il panorama giurisprudenziale prima della pronuncia delle sezioni unite della Cassazione n. 27619 del 2006

Sulla problematica in esame la Corte di Cassazione era intervenuta con decisioni contrastanti. Piu’ precisamente, con la sentenza n. 14574 del 20 novembre 2001, la Suprema Corte si era espressa nel senso di escludere le fondazioni bancarie dai benefici previsti dall’art. 10-bis della legge n. 1745 del 1962, mentre con la sentenza n. 6607 del 9 maggio 2002 aveva riconosciuto la spettanza della riduzione dell’imposta sui redditi prevista dall’art. 6 del DPR n. 601 del 1973. Tale ultimo orientamento, sfavorevole all’Amministrazione finanziaria, era stato poi ribadito dal Giudice di legittimita’ con le sentenze n. 19365 del 17 dicembre 2003, n. 19445 del 18 dicembre 2003 e n. 129 del 9 gennaio 2004.

Al fine di comporre il contrasto insorto all’interno della sezione tributaria, con ordinanza n. 12217 del 14 agosto 2002, era stata sottoposta al Primo Presidente della Corte di Cassazione, per l’eventuale rimessione alle sezioni unite, la questione dell’esonero dalla ritenuta sugli utili societari prevista dall’art. 10-bis della legge n. 1745 del 1962, rimandando a quella sede anche l’approfondimento delle questioni circa la sovrapponibilita’ delle due agevolazioni (l’esonero dall’obbligo di ritenuta ai sensi dell’art. 10-bis citato e la riduzione dell’imposta sui redditi ai sensi dell’art. 6 del DPR n. 601 del 1973) e la natura – interpretativa o innovativa – dell’art. 12 del citato D.Lgs. n. 153 del 1999.

Peraltro, il suddetto procedimento era stato sospeso a seguito del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea, operato d’ufficio dalla stessa sezione tributaria della Cassazione con ordinanza n. 8319 del 30 aprile 2004, sulle questioni riguardanti, tra l’altro, la qualificazione delle fondazioni bancarie come imprese in base alla disciplina comunitaria in materia di concorrenza nonche’ la compatibilita’ del regime fiscale agevolato con le norme e i principi del trattato CE in tema di aiuti di Stato (causa C-222/04).

La Corte di giustizia europea si e’ pronunciata con la sentenza del 10 gennaio 2006, affermando, tra l’altro, che spetta al giudice nazionale valutare, caso per caso, sulla base della disciplina applicabile nel periodo

oggetto di contestazione, se le fondazioni bancarie possano essere qualificate come “imprese” ai sensi dell’art. 87, n. 1, del Trattato CE e, in quanto tali, essere sottoposte alle norme comunitarie in materia di aiuti di Stato, nonche’ se l’esenzione della ritenuta sui dividendi possa essere qualificata come aiuto di Stato ai sensi del citato art. 87.

Ai fini che qui ci occupano, e’ importante sottolineare come la Corte di giustizia europea, sulla base della normativa che disciplinava le fondazioni bancarie nel periodo in esame, abbia ritenuto che non si potesse escludere che tali soggetti in astratto fossero qualificabili come “imprese” nell’ambito del diritto comunitario, posto che:

 . le fondazioni, pur non potendo svolgere direttamente attivita’ bancaria, assicuravano la “continuita’ operativa” tra esse stesse e la banca controllata;

 . vi poteva essere coincidenza tra componenti degli organi amministrativi e di controllo dei due soggetti (fondazione e banca conferitaria);

. la fondazione doveva destinare una determinata quota di proventi,

derivanti dalle partecipazioni nella societa’ bancaria, ad una riserva finalizzata alla sottoscrizione degli aumenti di capitale di tale societa’;

. la fondazione poteva investire in titoli della societa’ bancaria controllata;

. la fondazione poteva svolgere operazioni finanziarie e commerciali necessarie per realizzare gli scopi non lucrativi ad essa assegnati, nel cui ambito offriva beni o servizi sul mercato e, dunque, svolgeva pur sempre un’attivita’ economica.

 

4. La pronuncia delle sezioni unite della Cassazione n. 27619 del 2006

Le sezioni unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate con una sentenza molto articolata, della quale si richiamano in questa sede i passi piu’ significativi.

I Giudici di legittimita’, nel recepire quanto affermato dalla Corte di giustizia europea con la citata sentenza del 10 gennaio 2006, hanno ribadito che e’ compito del Giudice nazionale compiere le verifiche finalizzate a dare corretta applicazione del diritto comunitario, una volta ricostruita la disciplina normativa nazionale vigente ratione temporis ed accertata in concreto l’attivita’ effettivamente svolta dalle fondazioni bancarie.

In esito a tali verifiche, qualora venga riscontrata la natura di impresa delle fondazioni bancarie e siano qualificate come aiuto di Stato le agevolazioni dalle stesse richieste, ne deriverebbe l’obbligo di disapplicare il regime agevolativo di cui all’art. 10-bis della legge n. 1745 del 1962, nonche’ quello di cui all’art. 6 del DPR n. 601 del 1973, per contrasto con il diritto comunitario.

La verifica sulla compatibilita’ delle agevolazioni fiscali con la disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato va operata d’ufficio ed anche, per la prima volta, nel corso del giudizio di legittimita’, qualora la questione non sia stata esaminata nei precedenti gradi di giudizio. In tale ultima ipotesi, se sono necessari accertamenti di nuove questioni di fatto – come nella specifica controversia sottoposta all’esame delle sezioni unite – va pronunciata la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, con la conseguenza che e’ demandato al Giudice del rinvio il compimento del predetto accertamento.

Nell’ambito di tale verifica, peraltro, l’aspetto piu’ rilevante – seppure non esclusivo – e’ rappresentato dalla questione di diritto interno relativa all’accertamento dei requisiti per l’applicabilita’ delle norme agevolative.

Le sezioni unite, con specifico riferimento all’art. 10-bis della legge n. 1745 del 1962, affermano che, trattandosi di un’agevolazione fiscale in senso stretto, incombe sul soggetto richiedente l’onere della prova in ordine al relativo presupposto, avuto riguardo sia alle norme legislative e       statutarie che regolavano i compiti e l’attivita’ della fondazione nel  periodo            d’imposta         in         contestazione, sia all’attivita’ effettivamente esercitata in quel periodo.

Nel cassare con rinvio la sentenza impugnata, le sezioni unite hanno illustrato i seguenti principi di diritto ai quali deve uniformarsi il giudice di rinvio:

. “la gestione di partecipazioni di controllo sull’impresa bancaria (o su impresa di cui e’ titolare un’impresa facente parte di una holding), ovvero di acquisizione e gestione di partecipazioni di altre imprese, da parte delle fondazioni bancarie attraverso una propria struttura organizzata, nella vigenza del regime di cui alla L. 30 luglio 1990, n. 218, e al D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356, e’ idonea a far ritenere tali soggetti come imprese, ai fini dell’applicazione del diritto comunitario della concorrenza”;

. e’ onere del soggetto che invoca l’agevolazione dimostrare che l’attivita’ da esso svolta “considerati i fini statutari, gli eventuali accordi parasociali aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di voto o danti luogo ad un’influenza dominante, anche congiunta, sulla gestione della banca conferitaria o di altre imprese, e anche il complesso delle attivita’ effettivamente espletate nel periodo d’imposta, abbia un ruolo non prevalente o strumentale rispetto alla provvista di risorse destinate all’esercizio di attivita’ sociali, di beneficenza o culturali”;

. “in ogni caso, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione di cui all’art. 10-bis della L. 29 dicembre 1962, n. 1745,    … occorre la
dimostrazione che tali attivita’ abbiano costituito le uniche espletate dall ‘ente”;

. “nei processi tributari in cui viene chiesto il riconoscimento di un’agevolazione fiscale incombe al soggetto che invoca tale agevolazione l’onere della prova dei relativi presupposti”;

. “ad esito del predetto esame, in applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria, ove ritenga che la misura costituisca un Aiuto di Stato e la Repubblica italiana non abbia seguito la procedura di cui all’art. 88, comma 3, del Trattato CE, ritenuta l’illegalita’ della misura di aiuto, disapplichi le norme nazionali e dichiari non spettante l’ agevolazione”.

4.1 La soluzione individuata dalla pronuncia delle sezioni unite

La soluzione offerta dai Giudici di legittimita’ alla problematica in esame e’ individuata nell’assolvimento dell’onere della prova da parte della fondazione bancaria in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione del beneficio fiscale richiesto e, di riflesso, in ordine alla natura non imprenditoriale dell’attivita’ esercitata, al fine di escludere la configurabilita’ in termini di aiuto di Stato dell’agevolazione richiesta.

Come precisato dalle sezioni unite, “la prova … deve riguardare l’attivita’ effettivamente espletata nel periodo d’imposta in contestazione, alla luce delle disposizioni normative e statutarie”.

Più precisamente, incombe sulla  fondazione bancaria l’onere di provare la        contestuale       ricorrenza    nel        periodo            d’imposta oggetto di contestazione delle seguenti circostanze:

esistenza di  una previsione statutaria, adottata in conformita’ all’art. 12 del D.Lgs. n. 356 del 1990, in base alla quale possano dirsi soddisfatti i requisiti tassativamente indicati dalle norme agevolative di cui si invoca l’applicazione (requisito formale);

effettiva corrispondenza dell’attivita’ esercitata in concreto dalla fondazione con           quella   individuata  dalle disposizioni legislative e statutarie (requisito sostanziale);

natura non imprenditoriale dell’ente ai fini del diritto comunitario in tema di concorrenza. In proposito, occorre tenere presente che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia, la nozione di “impresa” nell’ambito della disciplina comunitaria e’ estesa fino a ricomprendere “qualsiasi    ente che eserciti un’attivita’ economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalita’ di finanziamento … Costituisce attivita’ economica qualsiasi attivita’ che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato”; in particolare, “un soggetto che, titolare di partecipazioni di controllo in

una societa’,     eserciti effettivamente   tale       controllo partecipando direttamente o  indirettamente   alla gestione di essa, deve essere considerato partecipe dell’attivita’ economica svolta   dall’impresa

controllata. Dunque, anche tale soggetto deve essere considerato, a tale titolo, un’impresa ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE” (cfr. sentenza della Corte di giustizia del 10 gennaio 2006, punti 107, 108, 112 e 113). Con specifico riferimento alle fondazioni bancarie, le sezioni unite osservano – cosi’ come in precedenza rilevato dalla Corte di giustizia europea con la citata pronuncia del 10 gennaio 2006 – che la disciplina normativa e statutaria all’epoca vigente rendeva astrattamente possibile per tali enti l’esercizio di un effettivo controllo nei confronti delle imprese partecipate e di un intervento diretto o indiretto nella loro gestione. Invero, “il collegamento genetico e funzionale – di natura normativa – con imprese bancarie (o finanziarie operanti nel settore bancario) o, comunque,   ove  sia avvenuta la dismissione delle
partecipazioni bancarie d’origine con l’utilizzazione del ricavato per l’acquisizione di altre rilevanti partecipazioni, costituiva il primario fine istituzionale degli enti in questione”. Tale circostanza va valutata

alla luce del principio da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui “la detenzione di partecipazioni, quando si traduce in un vero e proprio controllo, da’ luogo ad esercizio di impresa e ad assoggettamento a procedura concorsuale (cosiddetta holding individuale) . Pare significativo rilevare che, secondo il nuovo testo dell’art. 2497-sexies del codice civile, la detenzione del capitale di controllo di       una       societa’ di capitali pone a carico del soggetto detentore una presunzione di esercizio di attivita’ di direzione nei confronti della societa’ partecipata, regola che non fa altro che consacrare il principio della cosiddetta holding individuale elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte e viene generalmente letta come espressione di un principio generale gia’ contenuto nell’ordinamento”.

In linea con tale indirizzo si   e’ peraltro espressa  anche l’Amministrazione finanziaria, affermando che la detenzione di partecipazioni in societa’ di capitali non si traduce in attivita’ di impresa solo qualora “il possesso di titoli o quote di partecipazione in soggetti societari, in considerazione dell’entita’ della partecipazione e del ruolo effettivamente svolto nella societa’ partecipata, si sostanzi in una   gestione           statico-conservativa del patrimonio, realizzando un impiego delle risorse patrimoniali finalizzato alla percezione di utili da destinare al raggiungimento degli scopi istituzionali” (cfr. risoluzione n. 83/E del 30 giugno 2005; circolare n. 59/E del 31 ottobre 2007, punto 2).

Pertanto, come sottolineato dalle sezioni unite, sulla fondazione bancaria grava l’onere di provare l’inesistenza di qualunque influenza, anche indiretta, sulla gestione dell’impresa bancaria (o di altre imprese di cui la fondazione abbia acquistato partecipazioni); a tal fine, assume particolare rilevanza “l’eventuale partecipazione della fondazione – azionista maggioritario o non maggioritario della societa’ che esercita l’impresa bancaria – ad accordi parasociali e specialmente a patti di sindacato sull’esercizio del diritto di voto, … attraverso i quali l’azionista – anche non maggioritario – puo’ svolgere una determinante

influenza sulla   gestione           sociale, ad        esempio           sulla nomina degli amministratori o sugli assetti proprietari”.

In definitiva, secondo i Giudici di legittimita’, ai fini di escludere la natura imprenditoriale delle fondazioni bancarie non sarebbe sufficiente provare l’assenza del fine di lucro oppure la circostanza di avere utilizzato i proventi dell’attivita’ economica per il raggiungimento di scopi di utilita’ sociale. Infatti, “il possesso di partecipazioni di controllo di un’impresa bancaria (o di una altra impresa, come una finanziaria …), allorche’ costituisce un elemento strutturale normativo coessenziale alla struttura e all’attivita’ dell’ente, puo’ essere considerato come esercizio d’impresa, anche se al soggetto in questione vengono affidati compiti di  natura   non economica, oltre quelli istituzionali di non profit”.

5. Ulteriori pronunce della Cassazione dopo la sentenza delle sezioni unite

I criteri dettati dalle sezioni unite sono stati successivamente recepiti dalla sezione tributaria della Corte di Cassazione con numerose pronunce, le quali consentono, tra l’altro, di meglio delineare alcuni specifici aspetti della problematica in esame.

In primo luogo, con riferimento alla questione di diritto interno concernente l’individuazione dei presupposti per le agevolazioni, i Giudici di legittimita’ hanno puntualizzato il rapporto esistente tra le due norme agevolative in esame.

Piu’ precisamente, secondo il costante indirizzo manifestato dalla Corte, sussiste un rapporto di stretta connessione tra l’art. 6 del DPR n. 601 del 1973 e l’art. 10-bis della legge n. 1745 del 1962, in quanto i presupposti per   la  spettanza della     riduzione la meta’ dell’aliquota dell’imposta sui redditi costituiscono condizione indispensabile per l’esonero dalla ritenuta sui dividendi (Cass. nn. 19305, 19299 e 19298 del 17 settembre 2007; nn. 18979 e 18978 del 10 settembre 2007; n. 17113 del 3 agosto 2007; nn. 16929 e 16927 del 31 luglio 2007; n. 16244 del 23 luglio 2007; nn. 10253 e 10251 del 4 maggio 2007; n. 7883 del 30 marzo 2007).

In proposito, i Giudici di legittimita’ evidenziano che l’agevolazione di cui al citato art. 10-bis era stata originariamente introdotta in favore dei soggetti esenti dalla soppressa imposta sulle societa’ e che attualmente, stante l’abolizione di tale imposta e la permanenza in vigore del citato art. 10-bis (espressamente sancita dall’art. 73, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600), il parametro di riferimento soggettivo debba essere ravvisato nella spettanza del regime di agevolazione per il tributo che ha sostituito l’imposta sulle societa’, e  cioe’ la riduzione a meta’ dell’aliquota dell’imposta sui redditi prevista dall’art. 6 del DPR n. 601 del 1973.

In altri termini, l’esonero di cui all’art. 10-bis della legge n. 1745 del 1962 spettava in presenza di due presupposti in capo all’ente beneficiario:

perseguire, in fatto e in diritto, il fine esclusivo della beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica;

possedere i requisiti per l’applicazione dell’art. 6 del DPR n. 601 del 1973.

Di conseguenza, se non spetta la riduzione a meta’ dell’aliquota dell’imposta sui redditi, non spetta neppure l’esonero della ritenuta sugli utili. A tale conclusione era gia’ pervenuta l’Amministrazione finanziaria con la citata circolare n. 238/E del 1996.

In secondo luogo, circa la dibattuta valenza – innovativa o interpretativa – della disciplina contenuta nella legge n. 461 del 1998 e nel D.Lgs n. 153 del 1999 – che ammette le fondazioni bancarie, in presenza di specifiche condizioni, al beneficio della riduzione a meta’ dell’aliquota dell’imposta sui redditi  la Corte di Cassazione si e’ piu’ volte pronunciata nel senso di escludere l’efficacia retroattiva del nuovo regime, confermando quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria con la risoluzione n. 145/E del 2 ottobre 2001 (cfr. le citate sentenze nn. 19305, 19299, 19298, 18978, 17113, 16244, 10253, 10251 e 7883 del 2007).

6. Gestione del contenzioso pendente

Le pronunce della Corte di Cassazione, intervenute successivamente alla citata sentenza delle sezioni unite, concordano nel negare alle fondazioni bancarie le agevolazioni in esame (oltre alle pronunce richiamate nel paragrafo 5, si citano anche le seguenti sentenze: n. 18980 e n. 18981 del 10 settembre 2007; n. 16924 del 31 luglio 2007; n. 14363 del 20 giugno 2007; n. 10329 del 7 maggio 2007; n. 10258 del 4 maggio 2007; n. 9564 del 23 aprile 2007; n. 5740 del 12 marzo 2007).

Le predette decisioni sono essenzialmente motivate con il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte delle fondazioni bancarie, rilevato che tale onere deve essere assolto secondo le regole proprie del processo tributario, mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

I casi esaminati dalla Suprema Corte, infatti, erano accomunati dalla circostanza che l’impianto difensivo allestito in primo grado dalla ricorrente, diretto a dimostrare l’esistenza dei presupposti per ottenere l’agevolazione, si era limitato ad un mero richiamo delle disposizioni legislative e statutarie che regolavano i fini istituzionali, senza alcun riferimento all’attivita’    effettivamente   espletata          dall’ente,          con      il risultato che      restava preclusa l’introduzione nei successivi gradi di giudizio delle questioni non dedotte con il ricorso introduttivo.

In proposito va, quindi, ribadito che le questioni non esposte nel ricorso introduttivo del giudizio non possono essere introdotte mediante una memoria successiva, in quanto, ai sensi dell’art. 24, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, l‘integrazione dei motivi del ricorso e’ consentita solo allorquando sia “resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione”, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha avuto notizia di tale deposito (cfr. Cass. n. 24970 del 25 novembre 2005 e n. 6416 del 22 aprile 2003).

Inoltre, le questioni non dedotte nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, se proposte nel grado successivo, costituiscono domanda nuova, improponibile nel giudizio d’appello ai sensi dell’articolo 57 del D.lgs. n. 546 del 1992.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha chiarito che “si ha domanda nuova, improponibile nel giudizio d’appello ex art. 57 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546…, quando il contribuente, nell’atto di appello, introduce, al fine di ottenere l’eliminazione… dell’atto impugnato, una causa petendi diversa, fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado,    sicche’  risulti inserito nel processo un nuovo tema di
indagine” (Cass. n. 3681 del 16 febbraio 2007; n. 10864 del 23 maggio 2005).

Alla luce di quanto esposto, fermo restando in caso di avviso di accertamento l’assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere della motivazione in relazione alle risultanze istruttorie, si evidenzia che la fondazione bancaria aveva l’onere di affermare e dimostrare:

1. Il possesso dei requisiti richiesti dalle norme agevolative.

Per quanto attiene all’agevolazione prevista dall’art. 6 del DPR n. 601 del 1973, la fondazione deve dimostrare di essere un soggetto ricompreso in una delle specifiche categorie di enti indicate dal comma 1 del citato art. 6. Ai fini che ci occupano vengono in rilievo le categorie previste dal citato comma 1, lett. a), cioe’: “enti ed istituti di assistenza sociale, …, enti di assistenza e beneficenza” e lett. b), cioe’ “istituti di studio e sperimentazione di interesse generale che non hanno fine di lucro, …, fondazioni e associazioni storiche, letterarie, scientifiche, di esperienze e ricerche aventi scopi esclusivamente culturali”.

Per quanto attiene all’agevolazione prevista dall’art. 10-bis della legge n. 1745 del 1962, occorre dimostrare – come gia’ evidenziato nel paragrafo 5 – il possesso di due requisiti: essere tra i soggetti destinatari dell’agevolazione di cui all’art. 6 del DPR n. 601 del 1973 e possedere lo scopo esclusivo “di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica”.

In proposito si richiama l’indirizzo della Cassazione secondo cui “le finalita’ statutarie d’interesse generale dell’ente possono ricondursi a categorie previste dalle due norme agevolative, senza necessita’ di ricorso all’analogia. E’ evidente, pero’, che tale operazione ermeneutica non risolve il problema della spettanza dell’agevolazione, ove si accerti che dette finalita’ non abbiano avuto, rispettivamente per l’esonero dalla ritenuta e per l’agevolazione IRPEG in contestazione, carattere esclusivo o assolutamente preminente rispetto ad un’attivita’ di impresa o, comunque, avente carattere economico” (Cass. n. 19299 del 17 settembre 2007; in senso conforme, Cass. nn. 19305 e 19298 del 17 settembre 2007).

Peraltro l’Amministrazione finanziaria, con riguardo all’art. 6 del DPR n. 601 del 1973, ha sottolineato come il particolare regime agevolativo, configurando un’eccezione al principio di corrispondenza tra capacita’       contributiva      e            soggettivita’      tributaria, trovi giustificazione nella       peculiarita’        dell’attivita’ esercitata dal soggetto, che deve essere preordinata alla soddisfazione di quei particolari fini che il legislatore ha inteso, di volta in volta, tutelare. In proposito, conformandosi al parere del Consiglio di Stato n. 1296 dell’8 ottobre 1991, l‘Amministrazione finanziaria ha precisato che le attivita’ “commerciali o a scopo di lucro”, ancorche’ svolte con carattere di marginalita’ e sussidiarieta’ rispetto al fine perseguito dall’ente, sono escluse dall’agevolazione di cui all’art. 6 del DPR n. 601 del 1973, ad eccezione delle attivita’ di “strumentalita’ immediata e diretta” rispetto al fine istituzionale (cfr. risoluzione n. 91/E del 19 luglio 2005) . In tal senso, per la sussistenza di detto rapporto di strumentalita’, non e’ sufficiente il solo fatto che l’attivita’ commerciale sia volta al reperimento di mezzi economici da destinare allo svolgimento dell’attivita’

istituzionale, ma occorre altresi’  che l’attivita’ medesima sia “coerente” con  il          fine       perseguito        e non sia indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine.

E’ inoltre necessario che la qualificazione giuridica delle fondazioni, ai fini della riconducibilita’ nelle categorie previste dalle norme agevolative, sia effettuata – come gia’ evidenziato al paragrafo 4.1 – sia da un punto di vista formale (con riferimento agli scopi della fondazione individuati dalle norme e dallo statuto) sia da un punto di vista sostanziale (con riferimento all’attivita’ svolta in concreto dalla fondazione).

2. La    natura   non imprenditoriale dell’ente ai fini del diritto comunitario in tema di concorrenza.

La fondazione e’ tenuta ad esibire la documentazione (in specie, lo statuto, nella versione anteriore alla vigenza del D.Lgs. n. 153 del 1999; il bilancio; gli estratti dei libri contabili; le deliberazioni assembleari; le certificazioni dell’organo di controllo della fondazione o delle societa’ partecipate) che consenta di escludere le seguenti circostanze:

.           il          possesso          della     maggioranza delle azioni nella societa’

bancaria conferitaria     che       assicuri l’ingerenza        negli     indirizzi

operativi dell’azienda    bancaria           (dominio          nell’assemblea  degli
azionisti e influenza nella nomina degli amministratori);

.           l’eventuale        partecipazione  ad        accordi parasociali        e,
specialmente, a patti di sindacato sull’esercizio del diritto di voto,

attraverso i       quali l’azionista – anche non maggioritario – puo’

svolgere una     determinante    influenza           sulla     gestione sociale (ad

esempio, sulla   nomina degli     amministratori   o          sugli     assetti
proprietari);

. l’esistenza di un obbligo statutario di mantenimento della maggioranza assoluta delle azioni con diritto di voto nella societa’ conferitaria;

. l’acquisto – conseguente alla cessione o ad altra operazione che abbia fatto perdere alla fondazione il controllo, diretto o indiretto, della maggioranza delle azioni con diritto di voto nell’assemblea ordinaria della societa’ conferitaria – di un’altra partecipazione, sempre di controllo, in un’altra banca;

.           l’esercizio dei poteri di azionista in modo da assicurare che una
parte dei componenti del consiglio di amministrazione della societa’

per azioni         sia        costituito          da        membri del proprio consiglio di
amministrazione;

. la compravendita di partecipazioni di minoranza al capitale di imprese bancarie e finanziarie diverse da quella conferitaria. Tale attivita’, infatti, potrebbe essere configurata come trading, ossia

compravendita di partecipazioni a scopo speculativo, e rafforzare l’idea di una gestione professionale – ossia non occasionale – dei pacchetti azionari delle banche e finanziarie partecipate;

. la destinazione di una percentuale elevata dell’utile, anziche’ a finalita’ di utilita’ sociale, ad accantonamento a riserva per la sottoscrizione di aumenti di capitale della banca conferitaria;

.           la cumulabilita’ tra incarichi rivestiti negli enti conferenti e
funzioni esercitate nelle imprese bancarie;

.           l’utilizzo dei proventi, derivanti dall’eventuale dismissione –

anche totale – delle partecipazioni di origine nella banca conferitaria, per acquisire altre partecipazioni in imprese, anche non bancarie (cfr. Cass. n. 16927 del 2007).

Si evidenzia, infine, che il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte della fondazione puo’ essere rileva