Il consulente risarcisce i danni se non esegue l’incarico

se il contribuente ha incaricato il proprio consulente tributario di appellare la sentenza di primo grado, in caso di omessa impugnazione il professionista può essere chiamato a risarcire i danni al cliente

Nell’ambito del rapporto professionale riveste una particolare importanza la dimensione della responsabilità contrattuale, attesa la delicatezza dell’incarico affidato dal cliente al commercialista o fiscalista di fiducia.

A questo proposito è opportuno ricordare, da subito, che l’articolo 1176 del Codice Civile dispone che nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Inoltre, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.

Un’importante chiave di lettura delle disposizioni testé riportate – in particolare per quanto attiene alle figure professionali del settore fiscale – è stata fornita dalla Cassazione, con la sentenza 10189 del 9 maggio 2014. La Seconda Sezione Civile si è occupata del caso di un contribuente che aveva adito le vie legali nei confronti del suo commercialista, colpevole – a suo dire – di non aver appellato una sentenza della Commissione tributaria provinciale, cagionando così i danni derivanti dall’impossibilità di agire giudizialmente nel grado successivo e di aderire al condono di cui alla legge 413/1991.

Al di là del caso specifico, la pronuncia assume una valenza fondamentale per tutti quei casi in cui il professionista sia a chiamato ad agire attivamente per conto del cliente, come nell’ipotesi di proposizione di ricorso tributario, o comunque debba stabilire con l’assistito una strategia che potrebbe anche consistere nel non porre in essere alcuna azione.

Ciò che rileva, allora, come confermato dalla Cassazione nella parte motiva della sentenza in commento, è il consenso informato del cliente. In particolare, il professionista deve porre il cliente in grado di decidere consapevolmente, sulla base della valutazione ponderata di tutti gli elementi favorevoli e contrari della situazione dedotta in rapporto ragionevolmente prevedibili, se affrontare o meno i rischi, di varia natura a seconda della attività richiesta la professionista, ai quali questa lo esponga o possa eventualmente esporlo.

Secondo la Cassazione, quanto sopra indicato assume ancora maggior peso con riguardo a quegli elementi ragionevolmente prevedibili (quali, ad esempio, quelli riguardanti le possibilità connesse alla pendenza della controversia tributaria per effetto della proposizione di gravame).

Nel caso di specie, tuttavia, la Corte territoriale non aveva, con compiuta, adeguata e logica motivazione, dato conto della verifica dei presupposti di fatto, per come risultanti dalle emergenze istruttorie, giustificanti il predetto e pur corretto assunto solo astrattamente affermato.

In sostanza, per la Cassazione, ai fini del risarcimento del danno richiesto dal cliente al professionista, i giudici di merito avrebbero dovuto verificare che effettivamente risultasse agli atti la sussistenza di un incarico dato dal cliente al consulente affinché quest’ultimo procedesse all’impugnazione della sentenza di primo grado. Infatti, l’esistenza o meno di tale incarico conferiscono diversa valenza al citato onere professionale di informazione. Tant’è che quest’ultimo – quale fonte di responsabilità risarcitoria – sarebbe escluso nell’ipotesi – che invero avrebbero dovuto verificare i giudici di merito – di manifestazione ostativa o di mancato conferimento dell’incarico professionale de quo.

È appena il caso di aggiungere che in passato la Suprema Corte si era già occupata di risarcimenti danni richiesti dai clienti ai propri consulenti. In particolare, con la sentenza 8860/2011, gli Ermellini hanno esaminato il caso di un commercialista incaricato della compilazione delle denunce dei redditi del cliente, che aveva commesso degli errori nella redazione dei documenti.

La Suprema Corte ha stabilito che appariva corretto il richiamo, da parte del primo giudice, al canone della diligenza contenuto nell’art. 1176 cod. civ. e del tutto condivisibile la considerazione che il commercialista non avesse adempiuto all’incarico di predisporre le dichiarazioni dei redditi dei clienti con la diligenza e la perizia che si richiedono al professionista nell’espletamento dell’incarico ricevuto. In conclusione, pertanto, il professionista è stato condannato al risarcimento del danno.

Con la sentenza 13284/2011, invece, i Giudici di piazza Cavour hanno affrontato il caso di un cliente che aveva affidato al suo professionista di fiducia l’incarico di trovare un finanziatore per una nuova impresa. Il professionista aveva trovato una società, la quale però si era poi dimostrata priva di qualsivoglia serietà.

Il consulente, in sede di giudizio di legittimità, aveva cercato di difendersi, lamentando che i giudici di merito avevano erroneamente ritenuto carente di diligenza professionale l’esecuzione del contratto, sovrapponendo confusamente e contraddittoriamente il mandato al contratto di prestazione d’opera professionale al quale la diligenza del mandatario è estranea perché gli obblighi del professionista sono autonomi, senza peraltro individuare quali obblighi erano stati assunti dal professionista nei confronti del cliente. Inoltre, il consulente lamentava il fatto che il finanziamento richiesto dal cliente esulasse dalle attività esigibili dal commercialista, mentre il cliente stesso poteva conoscere meglio il mercato in base alla propria esperienza di banche e istituti finanziarie, quindi se mai l’omessa diligenza era imputabile al cliente stesso.

La Cassazione, però, non ha condiviso l’assunto del professionista e, dando ragione al cliente, ha condannato il consulente a pagare i danni cagionati dalla sua negligenza.

16 maggio 2014

Alessandro Borgoglio