Possono forme di protesta non proclamate dal sindacato, ma collettive, giustificare il licenziamento? Una recente decisione chiarisce i limiti entro cui il datore può agire, tutelando l’iniziativa dei lavoratori anche al di fuori dello sciopero formale. Un caso concreto aiuta a comprendere quando la sanzione disciplinare è davvero legittima.
Proteste atipiche e licenziamenti: la Cassazione rafforza la tutela sindacale
Licenziamento e diritti sindacali sono due grandi temi del diritto del lavoro e, proprio per la loro rilevanza e delicatezza, danno spesso origine a controversie giudiziarie, che talvolta giungono fino alla Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi su casi di particolare importanza giuridica o interpretativa.
In un recente caso, i giudici di legittimità hanno ricordato che i datori debbono prestare particolare attenzione tutte le volte in cui intendano sanzionare in forma individuale un comportamento che, per caratteristiche e scopo, sia riconducibile all’esercizio di una legittima forma di protesta organizzata per la tutela di un interesse collettivo di ambito sindacale.
Vediamo più da vicino la recente sentenza della Cassazione e scopriamo perché offre indicazioni di portata generale.
Il caso concreto e i licenziamenti disciplinari
La vicenda finita all’attenzione della magistratura si collegava ai licenziamenti per asserita giusta causa, inflitti ad alcuni dipendenti da una Srl operante nel settore dei trasporti. L’accusa era quella di grave insubordinazione, ossia il rifiuto di eseguire ordini legittimi impartiti dal datore o dai superiori