Il diritto alle ferie non può tradursi in una penalizzazione economica. La retribuzione durante il riposo deve rispecchiare quella ordinaria, comprese le indennità collegate alle mansioni svolte. Una recente pronuncia chiarisce un principio fondamentale: il riposo va garantito senza decurtazioni, per tutelare salute e dignità del lavoratore.
Ferie e retribuzione da lavoro ordinario: la Cassazione fissa il principio dell’equità
Le ferie sono oggetto di un diritto fondamentale del lavoratore subordinato, ma – oltre a dover essere riconosciute entro uno specifico “perimetro” temporale e nel rispetto dell’art. 36 della Costituzione, dei contratti collettivi e dell’art. 10 del d. lgs. 66/2003 (attuativo delle direttive UE in tema di orario di lavoro) – debbono essere adeguatamente retribuite.
Come è noto, infatti, il legislatore garantisce al dipendente un periodo di sospensione dal lavoro senza perdita di reddito, per permettere il recupero delle energie psicofisiche. E a spiegare in che modo, e in che misura, le ferie debbono essere remunerate dall’azienda, fugando così eventuali dubbi e incertezze, ha recentemente pensato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6282 di quest’anno. Vediamola insieme e scopriamo perché ha una portata generale che non può essere trascurata da tutti i datori di lavoro.
La vicenda e le contestazioni del lavoratore dipendente
Nel caso giunto all’attenzione della Suprema Corte, un dipendente con mansioni di macchinista ferroviario, si era rivolto alla magistratura affinché accogliesse la sua domanda mirata a incassare – in riferimento al periodo di ferie – il trattamento economico commisurato a quello percepito per il lavoro ordinariamente svolto. Durante il periodo di godimento delle ferie annuali, infatti, la sua retribuzione veniva decurtata o ridotta in relazione a somme pur previste contrattualmente.
In particolare, l’uomo chiedeva al giudice che il suo trattamento economico “feriale” comprendesse anche l’indennità di utilizzazione giornaliera professionale, sia nella parte fissa che nella parte variabile, e l’indennità di assenza dalla residenza (voce retributiva correlata alla tipicità di una funzione che viene svolta in diversi luoghi e non in una specifica sede), ossia compensi previsti dai Ccnl e dai contratti aziendali applicati al rapporto.
In primo grado, il macchinista vide accolte le sue richieste di remunerazione ma, in appello, la magistratura fece dietrofront. Ecco perché il lavoratore ricorse in Cassazione.
La decisione della Cassazione e il rilievo delle norme e della giurisprudenza comunitarie
Sulla stessa linea della precedente sentenza n. 14089/2024, i giudici di piazza Cavour hanno dato ragione al dipendente, ribadendo un principio giurisprudenziale di chiaro valore: la portata del diritto alla retribuzione, nei giorni di ferie annuali, equivale a quello riferito alla retribuzione incassata ogni mese in costanza di rapporto, incluse le indennità correlate al normale e continuativo svolgimento delle mansioni contrattuali. Infatti, eventuali riduzioni – rimarca la Cassazione – potrebbero essere fonte illegittima di disincentivo alla fruizione dei periodi di recupero delle energie psicofisiche.
Questa affermazione della Corte è il fulcro della sentenza n. 6282/2025 della Corte di Cassazione che – anche sulla scorta delle regole generali dell’Unione Europea in materia – ha così accolto il ricorso del macchinista in merito all’asserito diritto di percepire anche le indennità previste dal CCNL applicato al suo rapporto.
In particolare, ricordano i giudici di piazza Cavour, una delle più significative sentenze della Corte di Giustizia UE – la sentenza Williams del 16 settembre 2011 – sul punto sancisce che:
“la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore (…). L’ottenimento della retribuzione ordinaria durante il periodo di ferie annuali retribuite è volto a consentire ai lavoratori di prendere effettivamente i giorni di ferie di cui hanno bisogno”.
La nozione di retribuzione nel periodo di godimento dei riposi annuali – applicabile dal giudice nazionale – deve perciò aderire alla costante interpretazione della giurisprudenza comunitaria che, in tema di remunerazione dei giorni di vacanza, ha chiarito il significato da dare all’espressione “ferie annuali retribuite”, di cui alla norma UE applicabile – l’art. 7 n. 1 della direttiva 88/2003/CE.
La nozione di retribuzione rilevante nelle ferie, secondo il giudice UE
In particolare, la Corte di Giustizia UE ha affermato che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento del riposo annuale include ogni importo in denaro che sia collegato allo svolgimento delle mansioni contrattuali e allo status personale e professionale del lavoratore.
La giurisprudenza comunitaria – come ad es. CGUE C-350/06 e C-520/06 del 20/01/2009 oppure C-385/17 del 3/12/2018 – è assolutamente lineare in materia e ribadisce il diritto alla retribuzione integrale, anche facendo perno sul rilievo per cui una arbitraria diminuzione – quasi una sorta di “ricatto” – potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare uno dei suoi diritti fondamentali, peraltro collegato al diritto alla salute. Ciò sarebbe in contrasto con i principi dell’Unione. Ma il dipendente (Cassazione, ordinanza n. 25840/2024) non deve essere indotto a rinunciare alle ferie per timore di subire una perdita economica.
Non solo. In tali decisioni comunitarie, è stato anche precisato che ogni incentivo o sollecitazione che risultino mirate a indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo, il quale si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio del riposo effettivo, anche per un’efficace tutela delle condizioni psicofisiche.
Ecco perché la Cassazione, invero già nella sentenza 13425/2019, aveva specificato che la retribuzione feriale – ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE per come interpretata dalla Corte di Giustizia – include ogni importo pecuniario direttamente connesso a mansioni e figura professionale del lavoratore.
Inoltre, considerato che, secondo consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, le sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in quanto espressione dell’interpretazione autentica del diritto dell’UE, hanno efficacia vincolante diretta nell’ordinamento interno, i giudici nazionali, di ogni ordine e grado, sono tenuti a uniformarsi a tale interpretazione. In tal senso, la giurisprudenza della Corte di Giustizia non costituisce una fonte del diritto in senso stretto, ma ne rappresenta una componente essenziale, determinandone contenuto, significato e limiti applicativi, con efficacia vincolante per tutti gli Stati membri.
Che cosa cambia?
La Cassazione ha ribadito che la retribuzione delle ferie annuali deve essere sempre commisurata a quella ordinaria, comprese le indennità mensili (fisse e variabili) eventualmente spettanti per le mansioni e il ruolo. Coerentemente, le norme dei contratti collettivi devono essere interpretate in modo conforme alla direttiva 2003/88/CE e, quindi, nessun sacrificio economico può ostacolare il godimento effettivo delle ferie.
In altre parole, il lavoratore non può e non deve essere disincentivato a fruire del riposo annuale a causa della decurtazione di alcune voci stipendiali, stabilmente incassate e correlate allo svolgimento delle mansioni. Ecco perché, a fronte di rivendicazioni di voci non corrisposte nel periodo feriale, è necessario accertare giudizialmente il nesso tra l’elemento retributivo e il compimento delle mansioni affidate e, quindi, se l’importo pecuniario sia effettivamente in rapporto di collegamento funzionale con l’esecuzione delle attività, e sia correlato allo status personale e professionale di un certo dipendente.
Inoltre, per valutare se una certa voce retributiva debba essere compresa nella retribuzione per ferie, l’analisi va svolta con riferimento alla retribuzione mensile (e non al reddito annuale), poiché è questa la misura effettivamente incassata nel periodo di astensione.
Concludendo, ai fini del calcolo dell’ammontare da corrispondere durante le ferie annuali retribuite, possono essere esclusi unicamente quegli elementi della retribuzione che abbiano natura occasionale, accessoria o rimborsuale, e che non siano connessi all’attività lavorativa normalmente svolta dal dipendente. In tal senso, la retribuzione feriale deve riflettere il trattamento economico ordinario del lavoratore, in coerenza con l’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE e l’art. 36 della Costituzione italiana. Resta pertanto in capo al legislatore italiano, ai giudici e ai datori di lavoro l’onere di assicurare il rispetto dei principi europei, garantendo il diritto alla fruizione del riposo annuale con retribuzione ordinaria.
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Claudio Garau
Giovedì 7 agosto 2025