L’equo compenso nella professione deve essere rispettato, pena la nullità della pattuizione, non solo da parte del cliente ma anche dal professionista, il quale ultimo, se non lo dovesse osservare ovvero pretendere, potrebbe essere sanzionato dal Consiglio del suo Ordine.
Si evidenzia che alcune nuvole si stanno addensando sulla normativa…
Equo compenso nella professione – Argomenti trattati:
- La definizione di equo compenso
- L’ambito di applicazione
- La nullità delle clausole che prevedono un compenso non equo
- L’indennizzo in favore del professionista
- La disciplina dell’equo compenso
- La presunzione di equità
- Il parere di congruità con efficacia di titolo esecutivo
- Le professioni non organizzate
- Ostacoli per l’adozione della Legge
- Alcune sentenze della Corte di Cassazione
- Allegato A – Valore della pratica nelle prestazioni dei dottori commercialisti ed esperti contabili
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La definizione di equo compenso
L’art. 1, della L. 21 aprile 2023, n. 49 (in seguito: Legge), contiene le disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali.
Cosa si intende per equo compenso?
Per equo compenso si intende il pagamento “di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente”:
- per gli avvocati, dal Decreto ministeriale del 10 marzo 2014, n. 55, del Ministro della giustizia, emanato in base all’art. 13, comma 6, della L. 31 dicembre 2012, n. 247.
Ai sensi del predetto art. 13, della L. n. 247/2012, tra l’altro:
- il compenso attribuito al professionista è concordato, normalmente, per iscritto al momento dell’affidamento dell’incarico professionale.
In ordine ai compensi per avvocati, secondo l’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. II, del 9 giugno 2023, n. 16383, qualora il giudice accerti la mancanza di un accordo vincolante tra professionista e cliente, si deve applicare l’art. 2233, comma 3, c.c. (“Sono nulli se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”), che ha imposto, a pena di nullità, la forma scritta per l’accordo di determinazione del compenso professionale tra l’avvocato e il suo cliente.
Al riguardo, la norma indicata non può considerarsi caducata a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 13, comma 2, della L. n. 247/2012, lì dove ha disposto che “il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale“, in quanto la novella, lasciando impregiudicato l’obbligo contenuto nel detto art. 2233, comma 3, codice civile, ha voluto regolamentare non la forma del patto, che resta quella scritta a pena di nullità, ma soltanto il momento in cui redigerlo.
Pertanto, la prova scritta non può essere sostituita con mezzi probatori diversi dal documento e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono consentiti soltanto nei soli casi di sua perdita incolpevole [ex artt. 2724 (Eccezioni al divieto della prova testimoniale) e 2725 (Atti per i quali è richiesta la prova per iscritto o la forma scritta) c.c.], perché l’osservanza dell’onere formale ad substantiam non è imposta soltanto “ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere”.
Inoltre, la Corte di Cassazione, Sez. V, con ordinanza del 4 aprile 2023, n. 9266, ha affermato che i compensi dei dottori commercialisti, con riferimento al patrocinio tributario con prestazione di esclusiva attività di procuratore legale, comporta l’applicabilità delle tariffe relative agli avvocati, e non quelle previste per i dottori commercialisti;
- la determinazione dei compensi è libera: è consentita……“la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione”;
- è fatto divieto di concordare il compenso in tutto o in parte quale quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.
A tal proposito, la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con sentenza del 5 maggio 2023, n. 25766, ha affermato che rientra, nel reato di truffa contrattuale, il comportamento del professionista che fa sottoscrivere al cliente,…“senza informarlo circa l’effettiva valenza, un patto di quota lite, non rilevando l’intervenuta sottoscrizione del patto e la mancanza di querela di falso, ove la mancata adeguata rappresentazione del suo contenuto sia frutto di condotte decettive susseguitesi per tutto il periodo intercorrente tra la formale sottoscrizione del negozio e la revoca del mandato”
e realizzandosi nel non avanzare formale richiesta di pagamento del debito (sebbene stabilita nella stessa pattuizione), ma nell’avviare una serie di azioni giudiziarie in breve tempo, utilizzando la mancata conoscenza dei fatti opportunamente studiata, tese a raggiungere il pignoramento e la successiva consegna di consistenti somme di denaro da parte dell’istituto di credito depositario delle stesse che l’autorità giudiziaria aveva riconosciuto in favore del cliente;
- è dovere del professionista, in ossequio al principio di tr
- il compenso attribuito al professionista è concordato, normalmente, per iscritto al momento dell’affidamento dell’incarico professionale.