L’apertura della successione non comporta l’acquisto della qualità di erede in favore dei successibili ex lege o ex testamento, ma soltanto l’acquisto della qualità di chiamato alla eredità.
Soltanto ove avvenga l’accettazione, anche tacita, il chiamato si considera erede.
In base all’articolo 521 del codice civile, chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato, con la conseguenza che, per effetto della rinuncia, viene impedita retroattivamente l’assunzione di responsabilità per i debiti facenti parte del compendio ereditario.
La Corte di Cassazione ha affermato rilevanti considerazioni in tema di rinuncia all’eredità, anche retroattiva e suoi effetti su eventuali azioni accertative.
Rinuncia all’eredità: il caso
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che, in controversia su impugnazione di cartella di pagamento in dipendenza di avviso di accertamento per imposte relative all’anno 2006, aveva accolto l’appello proposto dai contribuenti, in qualità di chiamati per legge all’eredità del defunto.
La Commissione Tributaria Regionale aveva riformato la decisione di primo grado sul presupposto che la rinuncia all’eredità del defunto contribuente escludesse la responsabilità per i debiti tributari.
L’Amministrazione finanziaria, nell’impugnare la sentenza, deduceva, per quanto di interesse, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 467, 519, 525, 752 e 2941 cod. civ., e 65 del Dpr. 29 settembre 1973 n. 600, per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che la rinuncia all’eredità esonerasse i vocati da ogni responsabilità per i debiti tributari del de cuius ed invalidasse l’avviso di accertamento emesso nei loro confronti anche in assenza di impugnazione dinanzi al giudice tributario.
Secondo la Suprema