L’efficienza nella produzione non può essere raggiunta attraverso l’umiliazione dei dipendenti. Pertanto, il manager che vessa i dipendenti con contestazioni disciplinari pretestuose, creando un clima di terrore in azienda, può essere condannato per atti persecutori.
E’ quanto emerge da una recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha emesso una condanna per stalking aggravato nei confronti di un datore di lavoro.
Cosa si intende per mobbing
Con il termine mobbing si intende, in linea generale, un insieme di comportamenti posti in essere da superiori (mobbing verticale) e/o colleghi (mobbing orizzontale) nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso.
Quasi sempre con il mobbing si cerca di vessare il dipendente o il collega di lavoro con forme di violenza psicologica o addirittura fisica, al fine di indurre il lavoratore stesso a dimettersi dal posto di lavoro, anziché ricorrere al licenziamento.
Trattasi di un atteggiamento che impedisce alla vittima di lavorare o di svolgere serenamente la propria attività.
Il raggiungimento degli obiettivi e gli stimoli per migliorare la produzione possono essere dei punti di partenza di un atteggiamento negativo che può sfociare nel mobbing.
Ci sono poi da considerare anche altri aspetti non propriamente professionali, che rientrano nella sfera delle relazioni umane.
Azioni che qualificano il mobbing
Per parlarsi di mobbing, le azioni compiute dovrebbero:
- ripetersi per un lungo periodo di tempo;
- reiterarsi in modo sistematico e continuato;
- avere uno scopo preciso.
Il “mobbizzato” viene aggredito dal c.d. “mobber” che pone in essere strategie volte a distruggere psicologicamente, socialmente e professionalmente la vittima.
In linea di massima la vittima è sempre in una posizione di inferiori