Il rimborso dei finanziamenti effettuati dai soci deve essere postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori; è questo il principio offerto dalla Corte di Cassazione che ha condannato un amministratore per il reato di bancarotta fraudolenta e tassata la restituzione del finanziamento operato in violazione della par condicio creditorum.
La tassazione dei proventi illeciti
Il trattamento tributario relativo ai proventi derivanti da attività illecite è stata disciplinato dall’art. 14, comma 4, Legge 24 dicembre 1993, n. 537 e successivamente integrato dall’art.14, comma 4-bis, Legge n. 537/1993, inserito dall’art.2, comma 8, Legge 27 dicembre 2002, n.289 [1].
Secondo la definizione più accreditata, per attività illecite si intendono quelle derivanti dai furti, dal commercio di armi o droghe, dallo sfruttamento della prostituzione, dall’esercizio abusivo di professioni o attività commerciali, ecc.
Sono ricomprese nelle categorie di reddito individuate dall’art. 6 del D.P.R. 22/12/1986, n. 917, (redditi fondiari, di capitale, da lavoro dipendente, da lavoro autonomo e d’impresa) secondo le regole di rispettiva appartenenza, i proventi derivanti da “…fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo, se non già sottoposti a sequestro o a confisca penale…”.
Il citato art. 14, comma 4, della L. n. 537/1993, dispone infatti che i proventi derivanti da attività “qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo” debbono essere assoggettati all’IRPEF, purché sussistano due condizioni:
- che tali proventi posseggano i requisiti necessari per trovare albergo in una delle categorie reddituali previste dal DPR 917/1986;
- che essi non siano già stati assoggettati a un provvedimento di sequestro o confisca penale.
Qualora i proventi illeciti non siano effettivamente classifi