Il patto di famiglia, istituito nel 2006, è uno strumento di tutela che stenta a decollare.
Tra le problematiche emerse non è ancora del tutto chiaro se la liquidazione dei legittimari non assegnatari possa essere effettuata dal disponente e che trattamento fiscale dovrà subire.
Patto di famiglia: definizione e criticità
Il patto di famiglia può essere sinteticamente definito come un contratto, da stipulare sotto la forma dell’atto pubblico, al quale devono partecipare tutti i legittimari, con il quale un soggetto (il disponente) “attribuisce” la titolarità di una azienda o di una partecipazione societaria a favore di uno o più dei suoi discendenti (legittimari assegnatari) i quali a loro volta dovranno procedere alla liquidazione di una somma a favore degli altri legittimari (legittimari non assegnatari, figli e coniuge del disponente).
Così prevede la legge n. 55 del 14 febbraio 2006 che però non ha trattato l’aspetto fiscale.
A ciò ha provveduto la successiva legge n. 296 del 27 dicembre 2006, che ha introdotto l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni per i trasferimenti di azienda o di partecipazioni (di controllo per le società di capitali) a favore del coniuge e/o dei discendenti del disponente.
Unica condizione, il mantenimento della azienda/partecipazione per almeno cinque anni.
Per esplicito richiamo, questa norma, di applicazione, generale, si applica anche ai patti di famiglia, con assegnazioni ai soli discendenti (coniuge escluso).
Per una analisi dettagliata dell’istituto, vedasi il documento della Fondazione Nazionale dei Commercialisti, Patto di famiglia: l’inquadramento tributario e civilistico, ottobre 2016.
Tra le varie problematiche sollevate da questo istituto, una, rilevante, riguarda chi debba liquidare i non assegnatari, necessariamente il legittimario assegnatario oppure in alternativa il disponente? e che trattamento fiscale avrà questa liquidazione?
Aspetti che analizzeremo in seguito.
Patto di famiglia: chi deve liquidare i familiari non assegnatari?
Il patto di famiglia è utilizzato per “passare”, con certe garanzie successorie, l’azienda e/o le partecipazioni ad uno o più figli, tacitando gli altri eredi legittimari (coniuge ed altri figli) con delle assegnazioni, ove invece non ci sia una esplicita rinuncia.
Ci si è chiesto se il legittimario assegnatario potesse essere sostituito dal disponente, richiamandosi anche alla relazione al disegno di legge, che appunto ciò prevedeva.
Però, ove questo fosse l’orientamento, la problematica della valutazione dell’azienda e/o delle azioni o quote societarie che, ai fini del patto famiglia, deve essere fatta con riferimento alla data della stipula dello stesso patto di famiglia, e nemmeno potrebbe essere diversamente, mal si concilia con questa impostazione.