IRAP: chiariamo in quali casi non è dovuta dal professionista

ai fini IRAP il lavoro autonomo deve essere tassato solo se organizzato in forma sostanzialmente imprenditoriale

adereddiIl soggetto passivo dell’Irap è il professionista-imprenditore e non il professionista semplice, attesa la prevalenza del requisito dell’autonoma organizzazione in cui l’attività viene svolta.

Il principio è contenuto nella sent. 22 giugno 2016 emessa dalla CTR Lombardia (Sez. XIII) da cui emerge che il lavoro autonomo deve essere tassato solo se organizzato in forma sostanzialmente imprenditoriale, meglio se l’attività è svolta in forma societaria e con le caratteristiche dell’associazione.

Natura del tributo

L’Irap è stata istituita con il D.Lgs. n. 446/1997 ed è un tributo di natura reale che colpisce la ricchezza in quanto tale, senza tener conto delle condizioni personali del contribuente.

Il presupposto del tributo, quindi, è l’esercizio abituale di un’attività organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi (art. 2 D. Lgs n. 446/1997, come modificato dal D. Lgs n. 137/1998).

I lavoratori autonomi o imprenditori sono tenuti, quindi, a versare l’Irap qualora svolgono l’attività mediante una “organizzazione autonoma”, che sussiste solo ove il contribuente impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio della stessa in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, sostenendo i relativi costi. L’autonoma organizzazione deve essere valutata dal giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità e sussiste quando il contribuente è il responsabile dell’organizzazione e non sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altri, impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Fattispecie

Il caso portato al vaglio dei giudici tributari ha riguardato un libero professionista (commercialista) il quale, ritenendo di non porre in essere un’attività con  “autonoma organizzazione” e di essere fuori dal dettato normativo, ha chiesto il rimborso di quanto versato ai fini Irap.

La Commissione di primo grado ha accolto i ricorsi ordinando all’ufficio di restituire l’imposta versata, che ha proposto appello alla competente CTR.

I giudici tributari di appello, fornendo preliminarmente un quadro esaustivo sulla natura dell’Irap, hanno affermato che il presupposto d’imposta è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione di beni o servizi.

Le parole “autonoma organizzazione” non rappresentano una specifica del requisito della “abitualità” ma integrano un elemento strutturale del presupposto dell’imposta.

In particolare, il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre allorché il contribuente che esercita attività di lavoro autonomo risulti essere:

  • il responsabile dell’organizzazione senza essere inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità;

  • impieghi beni strumentali eccedenti le quantità secondo l’id plerumque accidit, costituiscono il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Il soggetto passivo dell’IRAP non è il “professionista semplice” ma il professionista-imprenditore, secondo la distinzione espressa dalle Sezioni Unite (sent. n. 12109/2009). Da ciò deriva che “non è l’oggettiva natura dell’attività svolta ad essere alla base dell’imposta, ma il modo – autonoma organizzazione – in cui la stessa è svolta, ad essere la razionale giustificazione di una imposizione sul valore aggiunto prodotto, un quid che eccede il lavoro personale del soggetto agente ed implica appunto l’organizzazione di capitali o lavoro altrui”.

Come affermato dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 156/2001, nel caso dell’Irap, è stato individuato un nuovo indice di capacità contributiva ossia il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, risultando tassabile il lavoro autonomo solo se organizzato in forma sostanzialmente imprenditoriale, dandosi così la stura a un quid pluris diverso dal mero reddito personale. La soluzione è più agevole nel caso i cui l’attività sia svolta in forma societaria e con le fattezze proprie dell’associazione

Per quanto sopra i giudici tributari non hanno accolto l’appello dell’ufficio in quanto il contribuente non è risultato responsabile di un’autonoma organizzazione. Quanto ai compensi non è emerso l’impiego di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività id il lavoro altrui non ha superato la soglia del necessario in ragione della necessità dello studio professionale.

Il fatto che il professionista sia anche socio di una impresa non equivale in sé ad avallare la tassazione IRAP.

Orientamento giurisprudenziale

La giurisprudenza più recente ha affermato che “… il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente, sotto qualsiasi forma, è il responsabile dell’organizzazione ed impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività i assenza dell’organizzazione”.

L’Irap è a carico dell’avvocato che svolge attività in forma associata, disponendo della sede di proprietà e avendo sostenuto spese per beni strumentali.

Il principio è contenuto nella sent. n. 11327/2016 della Suprema Corte da cui emerge che il reddito dello studio associato è assoggettato all’Irap a meno che il contribuente non dimostri che tale reddito è conseguenza del lavoro del singolo associato.

Il caso ha riguardato i contribuenti, componenti di uno studio legale associato, i quali ritenendo non dovuta l’Irap hanno presentato istanza di rimborso dell’imposta. Sia in primo che secondo grado i giudici tributari hanno riconosciuto la carenza del presupposto impositivo rilevando l’assenza di elementi organizzativi quali l’impiego di grossi capitali e di gestione del personale. L’ufficio finanziario ha proposto ricorso per cassazione.

L’impiego di una segreteria o collaboratore che esplichi mansioni meramente esecutive non fa scattare il pagamento dell’Irap da parte del professionista, quando lo stesso impieghi beni strumentali eccedenti il minimo e l’onere della prova circa l’assenza di tale requisito grava sul contribuente che chiede il rimborso dell’imposta (Cass, SU, n. 9451/2016).

La Suprema Corte ha ritenuto che l’esercizio in forma associata di una professione liberale fa presumere l’esistenza di un’autonoma organizzazione di strutture e mezzi anche se di modesta rilevanza economica, nonché dell’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenze, così da ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ogni componente dello studio. Ne consegue che il reddito dello studio associato deve essere assoggettato all’Irap, a meno che il contribuente non dimostri che il reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati (cfr. Cass. nn. 4578/2015 e 1575/2014).

Recentemente la Circolare n.20/E/2016 dell’Agenzia delle entrate, nel commentare le novità introdotte dalla Legge di Stabilità 2016 (art. 1 cc. 70 – 73 – 125 L. n. 208/2015), ha precisato che non rientrano più tra i soggetti passivi dell’Irap:

– i soggetti che esercitano un’attività agricola ex art. 32 Tuir;

– le cooperative ed i loro consorzi che forniscono servizi nel settore selvicolturale, ivi comprese le sistemazioni idraulico-forestali;

– le cooperative della piccola pesca e loro consorzi ex art. 10 Dpr n. 601/73.

Sulla questione in esame, attese le diverse interpretazioni fornite dai giudici di legittimità, sarebbe auspicabile che il legislatore rivedesse normativamente l’ambito applicativo del tributo al fine di chiarire in modo definitivo il presupposto impositivo per l’attività svolta dalle categorie di contribuenti interessati.

14 luglio 2016

Enzo Di Giacomo