Il litisconsorzio nel processo tributario

il concetto di litisconsorzio può assumere una valenza particolare nel processo tributario: presentiamo l’analisi di un caso che analizza il problema del litisconsorzio fra società e soci della stessa

 

Una società, a cui era stata notificata una cartella di pagamento e successivamente la relativa intimazione di pagamento, aveva proposto ricorso avverso l’intimazione di pagamento, lamentando la mancata notifica della cartella esattoriale e comunque la sua tardività. Il ricorso veniva però rigettato dalla CTP, con sentenza resa nei confronti della contribuente, dell’Agenzia delle Entrate e del concessionario della Riscossione.

L’appello della contribuente, notificato esclusivamente all’Agenzia delle Entrate, veniva poi accolto dalla CTR, sulla base della tardività della notifica della cartella.

La Cassazione, con la sentenza n. 10934 del 27 maggio 2015, ha però rimesso tutto in gioco, rilevando l’omissione dell’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti del concessionario, da considerarsi, nel caso di specie, litisconsorte necessario processuale.

Il giudice di appello avrebbe infatti dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti del giudizio di primo grado.

 

Il concetto di causa “inscindibile” (art. 331 c.p.c.) va riferito infatti non solo alle ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale, ma anche a quelle di litisconsorzio necessario processuale, che si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti nei confronti di quei soggetti che siano stati parti dell’unico giudizio.

Tuttavia, la mancata impugnazione della sentenza, pronunciata tra più parti, nei confronti di tutte le parti non determina l’inammissibilità del gravame, bensì l’ordine del giudice d’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa.

La mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello, dice la Corte nella sentenza in esame, “determina dunque la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità”.

 

Il litisconsorzio è regolato, quanto al processo tributario, dall’art. 14 del D.Lgs. 546/92, che stabilisce che “Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi”.

Il litisconsorzio sussiste dunque se l’oggetto del ricorso, o dell’appello, concerne in modo inscindibile più soggetti, ossia se il ricorso o l’appello deve essere proposto congiuntamente da o nei confronti di più soggetti. La fattispecie, pertanto, si concretizza ogni qual volta la sentenza debba provvedere necessariamente e in modo indivisibile nei confronti di più soggetti.

Solo in caso di litisconsorzio necessario il ricorso o l’appello deve essere notificato nei confronti di tutti i soggetti inscindibilmente collegati, tanto è vero che se a ciò non si è provveduto, deve essere ordinata dal giudice l’integrazione del contraddittorio, mediante la chiamata in causa entro un termine perentorio.

 

Dato che, in caso di ordine di integrazione del contraddittorio, a tale adempimento, da attuarsi mediante la notifica del ricorso o dell’appello e del provvedimento della Commissione che ordina l’integrazione, deve provvedere la parte che ha interesse alla prosecuzione del giudizio, chi vi deve procedere?

Per rispondere alla domanda bisogna rilevare come, in caso di mancata integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’articolo 45, comma 1 del D.Lgs 546/92, il processo si estingue.

La giurisprudenza prevalente ritiene che l’estinzione della causa travolga tutte le fasi intermedie del procedimento, facendo rivivere l’atto impositivo originariamente impugnato.

La sentenza della CTR della Toscana, n. 158/1/2010 del 18.10.2010, ha per esempio stabilito che “la pronuncia di estinzione del giudizio comporta il venir meno dell’intero processo ed in forza dei principi in materia di impugnazione dell’atto tributario la definitività dell’avviso di accertamento e quindi l’integrale accoglimento delle ragioni erariali”.

Secondo la stessa sentenza, infine, “l’estinzione del processo travolge le sentenze di merito, ma non l’atto amministrativo, che come noto non è un atto processuale, bensì l’oggetto dell’impugnazione”.

La Corte di Cassazione, però, nella sentenza in esame, dice espressamente che la mancata integrazione “determina dunque la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità”, lasciando così intendere che resta valida la sentenza di primo grado (nel caso di specie favorevole al contribuente).

E dunque, in questo caso, l’interesse ad integrare (pena l’estinzione del giudizio) non sarebbe del contribuente, ma dell’Amministrazione.

Certo resta il dubbio che l’Ufficio, a seguito dell’estinzione, ritenga comunque consolidato il proprio titolo di riscossione, è dunque si riapra un altro defatigante contenzioso.

E la sentenza richiamata comunque riguarda l’ipotesi in cui comunque il giudizio di primo grado si sia svolto nei confronti sia dell’Agenzia che del Concessionario (con dunque, come visto, litisconsorzio processuale).

 

Cosa ben diversa sarebbe stata invece se l’Agenzia avesse eccepito fin dal primo grado il proprio difetto di legittimazione passiva.

Con la Circolare 51 del 17.07.2008 è stato peraltro indicato che per la gestione delle controversie nelle quali sia stata chiamata in causa soltanto l’Agenzia delle Entrate, per questioni concernenti esclusivamente la regolarità e la validità degli atti dell’agente della riscossione, gli Uffici devono eccepire, in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva e, successivamente, chiamare in causa, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica del ricorso, lo stesso agente della riscossione.

Già la sentenza della Corte di Cassazione, n. 14668 del 12 luglio 2005, richiamava del resto l’attenzione sul tema dell’esatta delimitazione dei confini della legittimazione processuale tributaria nelle ipotesi di impugnazione di atti della riscossione.

Nella citata pronuncia, infatti, i giudici della Suprema Corte hanno enunciato il principio secondo cui, nell’ambito del contenzioso tributario, ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in caso di impugnazione della cartella esattoriale, se l’impugnazione concerne vizi propri della cartella o del procedimento esecutivo, sussiste la legittimazione passiva del solo concessionario del servizio di riscossione dei tributi, mentre sussiste anche quella dell’Agenzia delle Entrate qualora i motivi di ricorso attengano alla debenza del tributo.

Del resto sulla stessa questione si è pronunciata ancora la Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 3242 del 14 febbraio 2007, ha stabilito cheIl concessionario alla riscossione è unico legittimato a contraddire non ogni qual volta sia impugnato un atto da lui formato, bensì solo ove si deduca che tali atti siano viziati da errori a lui imputabili, ossia nel caso di vizi propri della cartella di pagamento e dell’avviso di mora…”.

La Corte conclude poi affermando che “È pertanto inammissibile il ricorso proposto soltanto avverso l’ufficio impositore in cui venga dedotta l’illegittimità dell’avviso di mora per omessa pregressa notifica dell’avviso di accertamento” (Cfr. la sentenza della Corte n. 2798 dell’8 febbraio 2006).

In tali controversie, peraltro, l’Agenzia, pur non essendo parte necessaria nei giudizi promossi dal contribuente nei confronti del concessionario, può essere da quest’ultimo chiamata in giudizio, se la lite non concerne esclusivamente la validità di atti esecutivi, ma, almeno in primo grado, nelle suddette controversie (aventi ad oggetto la denuncia di vizi propri dell’atto ed al concessionario unicamente ascrivibili) non è configurabile un rapporto di litisconsorzio sostanziale necessario tra ente impositore e concessionario.

Litisconsorzio (processuale) necessario che però, come visto, si realizza, ai fini della validità del giudizio di secondo grado, una volta che il processo si sia svolto nei confronti di entrambe le parti.

26 ottobre 2015

Giovambattista Palumbo